Wolf Bruno
io parto per Calcutta, poi vado nel Perù
(leggendo in India di William Darlymple)Confesso che pur avendo già sentito parlare in modo incoraggiante di William Darlymple da parte di quello stesso amico che mi ha passato in India (the Age of kali), mi sentivo poco attratto dall'affrontarne la lettura. Contro Darlymple lavorava il fatto che la malsana fantasia dei gazzettieri culturali ne aveva fatto il nuovo Bruce Chatwin, scrittore che ho sempre trovato francamente indigesto: un finocchietto biondo e perbene che parlava chissà di che senza la necessaria scaltrezza, uno che guardava al mondo armato di tutto il cretinismo antropologico affogato come un gelato nel vecchio collaboratore di Sotheby's a Bond Street che era stato. I libri di Chatwin sono come quel suo libretto di storia dell'arte, simili ad un album di francobolli, con tutte le immaginette affiancate. Probabilmente fu quello il suo libro migliore, se lo si vuol definire un libro. Il peggiore resta quello delle fotografie. I suoi libri famosi, gli altri, avevano ottenuto il plauso dei Rushdie, dei Naipaul, dei Theroux , dei Kapuscinski, quasi a sottolineare l'esistenza di una fraternità internazionale degli scrittori "di viaggio", una vera e propria lobbie costituita affinché si potesse credere che non tutto era finito con i grandi scrittori degli anni venti e trenta. La prova dell'insicurezza legata ai tempi nostri (il Kali Yuga, off course). Ci si imbatte in chi abbassa le sue indubbie qualità a quelle dello snob di successo, magari soltanto per imparentare la propria scrittura a una malintesa prosa d'arte (che non è una specialità solo italiana e magari non è nemmeno una specialità letteraria, è un atteggiamento, un modo di farsi cogliere, come nelle istantanee che colgono Chatwin, semplicemente disgustose). In India di Darlymple l'ho letto e ho fatto bene. Mi mancano ancora il milione e dalla montagna sacra (come l'altro pubblicati da Rizzoli). Il mio amico ha detto che il migliore è il secondo. Si è offerto tuttavia di prestarmeli ambedue, sono dunque in una botte di ferro.
Quel che sapevo (da qualche recensione) della biografia di Darlymple non sarebbe stato anch'esso troppo adatto a persuadermi. Una dozzina di anni fa, a ventidue anni, si era messo in cammino sulle orme di Marco Polo con due amiche (una per ogni metà del viaggio). Ne nacque il Milione (in Xanudu all'origine). Sembrava un'avventura biecamente costruita da agenzie letterarie a corto di idee, tanto più che l'enfatica qualifica di "esploratore" attribuita a Darlymple ritengo che avrebbe dovuto far sorridere qualsiasi persona di buon senso. A me il buon senso fa difetto ma risi comunque (forse sono di buon gusto). Fortunatamente spulciando l'introduzione a in India, quando l'amico mi offriva il volume, lessi il ringraziamento dello scrittore alla Greaves Travel per avergli organizzato le sistemazioni alberghiere necessarie ai suoi spostamenti. Tutto mi apparve finalmente famigliare e ruppi gli indugi. Dirò con quale profitto.
Non credo che il libro possa convincere chi cerca un po' più di sapore di quello già offerto dalle voluminose guide turistiche del giorno d'oggi. Immagino che ci siano altri libri adatti allo scopo. Quanto ai cultori di tradizioni remote, o al tipo di pivello "originale" -quello troppo diverso dagli amici per continuare a trastullarsi coi video-giochi- che decenni e decenni fa si sarebbe rivolto ad Arthur Avalon (nel migliore dei casi) o a Ramacharaka (in tutti gli altri) e oggi non ha trovato ancora niente di meglio da leggere, il libro di Darlympe penso sia fatto soltanto per generare irritazione. Il campo è già dunque quello delle benemerenze.
Mi basta sfogliare distrattamente il libro per trovare esempi di ciò che voglio dire: "Quest'uomo è un'ossessione nazionale. Egli racchiude in sé lo statuto della regalità, il prestigio di un ministro e offre gli spunti di pettegolezzo di una pop star in un paese privo di famiglia reale e dotato di ministri irrimediabilmente corrotti". Son di questo genere -e numerosi, senza praticamente alcuna soluzione di continuità- i rapidi colpi di penna cui ci abitua Darlymple lungo tutta la lettura. Qui siamo verso la fine del libro, in Pakistan, si sta parlando di Imran Khan, ex capitano della squadra nazionale di cricket poi entrato in politica. Il racconto prosegue con una conversazione in ricsciò: "Imran Khan ha troppe ragazze- ha detto il mio conducente il giorno stesso in cui ho varcato il confine. -Ho sentito dire che ha un debole per le ragazze inglesi- ho ribattuto. -Ragazze inglesi, sì- ha obiettato il conducente. -Ma anche pachistane, indiane, tedesche e del bangladesh: Dicono anche che gli piacciano le ragazze dello Sri lanka, le americane, le francesi, le italiane, le spagnole, le africane e le cinesi". Se ciò non fosse sufficiente e lo si stimasse un dialogo troppo affine a quelli di Charles Williams, Horace McCoy o Raymond Chandler per un libro del genere (cosa per me tutt'altro che sgradita proprio in un libro del genere) mi sento serenamente in grado di assicurare che non si tratta del migliore, è solo quello che il caso mi ha offerto aprendo il lbro. E la parte migliore non è questa finale sul Pakistan musulmano.
L'India degli indù, quella che una certa consuetudine (mi pare) ci spinge a ritenere, attraverso i suoi dei pagani, più buona e tollerante, è quella che ci viene offerta per quel che ha di ebete e di deforme. Anche qui troviamo delle pop star. La prima è Baba Sehgal, rapper hindi. In un suo pezzo canta: "Madonna è grande amica mia, madonna la star di Hollywood, Baba la star di Bollywood" (dove Bollywood sta per Bombay). Baba è finito anche nelle trasmissioni di MTV Asia, solitamente occupate dal cupo heavy metal dei musi gialli. Deve stare però attento a dosare ben bene le nudità delle ragazze che l'accompagnano nei video per non scatenare l'ira dei compaesani. Una di queste ragazze dice: "pensano che vada bene se le staniere mostrano i seni, ma rimarrebbero scioccati se lo facessi io … devo stare molto attenta: togliere un primo strato, poi un altro, poi accorciare un po' la gonna …". Meno prudente è la scrittrice Shobba Dé. I giornali la definiscono "imperatrice dell'erotismo" e "Maharani della malignità", dicono che sia "letame allo stato puro" che il suo linguaggio "ha il sapore della fogna in cui raccoglie i suoi putridi contenuti". Riceve perfino minacce di morte. E' niente di più che la Jackie Collins del subcontinente indiano, ma se l'inglese "ha una cosa, Shobba ne ha due". Organizza feste da soap opera e ritrae nei libri i personaggi della buona società di Bombay, che a volte, furiosi, vi si riconoscono. Ciò nondimeno vende da matti. In un paese dove la verginità ha migliore reputazione che in Irlanda o in Sicilia, Shobba è quasi una libellista rivoluzionaria: "detesto il sotterfugio e l'ipocrisia" ha confidato a Darlymple, "vivo la mia vita senza finzioni e descrivo quel che succede realmente in questa città".
In India racconta inoltre di stupri nei quali sono implicati uomini politici, della realtà delle caste, delle signore goane che hanno nostalgia del Portogallo e di Salazar. Racconta degli studenti di Lucknow, dove ha sede la più antica e raffinata scuola privata dell'India, i quali, indianissimi, sono ottimi conoscitori di Milton, di Hume e di tutta la cultura inglese sulla quale si basa l'insegnamento, giocano a cricket e alle cinque prendono il tè. La serata la concludono in modo alquanto eccentrico anche per dei veri "british eccentrics": taglieggiando i commercianti del luogo e commettendo ogni sorta di violenze sulle caste inferiori. Nel collegio è stato ucciso anche un insegnante. Si sa che gli assassini erano due, ma non sono mai stati scoperti.
Suggestivo è il racconto che concerne la regina guerriera di Gwailor, un'anziana donna che si muove in aviogetto e allo sbarco trova prostrati i membri del comitato di accoglienza che fanno a gara per toccarle per primi i piedi. La simpatica vecchietta è l'emblema di una coalizione di fondamentalisti indù che costituisce il braccio politico di quella RSS (associazione dei volontari nazionali) che al momento della divisione col Pakistan fu responsabile di molte delle più orribili atrocità commesse a danno dei musulmani. Fu un suo membro, peraltro, ad uccidere Gandhi. Devotissima a krisna, la regina confessa di aver goduto al crollo di una moschea. Sembra che questa sorgesse proprio sul luogo di nascita del dio Ram. Una folla eccitata dai discorsi suoi e dei politici alleati, al grido di "a morte i musulmani, vittoria a Ram", l'aveva ridotta in briciole. "Gli indù sono gente pacifica" dice l'anziana dignitaria, "accolgono di buon cuore tutti, perfino gli ebrei". Il comandante Angre, suo consulente e accompagnatore, aggiunge che "ai mussulmani bisogna far capire che devono essere orgogliosi di vivere nell'Hindustan. Non possiamo tollerarli in questo paese se loro stessi non si sentono indiani. Guardi cosa succede agli incontri di cricket. I musulmani tifano regolarmente per i pachistani".
Ram e Krisna non sono, ovviamente, le uniche divinità di cui si parla. Darlymple incontra il signor Venugopal che si offre di accompagnarlo al santuario della dea Para Sakti. Venugopal lo riceve indossando soltanto un leggero perizoma. E' un pensionato, ma è stato ingegnere capo dell'azienda elettrica del Kerala. Una grande scala conduce al tempio. Alla base c'è un albero che ha dei chiodi conficcati nella corteccia. L'ingegnere in pensione spiega allo scrittore che lì vengono consegnati gli spiriti dei posseduti alla dea Kali (che è la forma terrifica di Para Sakti) in modo che non possano creare alcun disturbo. I chiodi devono essere piantati "con le teste dei pazienti". Darlymple crede di non aver sentito bene: "ha detto con le teste?". "Certamente", risponde il signor Venugopal, "ma prima la persona posseduta deve essere in stato di trance". "Ma come convincete Kali?" chiede lo scrittore. "Oh, è facile… Offrendole dodici bacinelle piene di sangue". Venugopal si era presentato in questo modo: "Sono un pensionato che si interessa solo di questioni spirituali … Di tutti i templi che ho visitato, la dea di questo luogo è di gran lunga la più potente. Glielo assicuro, se si abbandona a lei otterrà un'assoluta pace della mente".
Gli dei non hanno colpa di niente. Nemmeno gli indiani ce l'hanno. L'assoluto pregio, veramente raro, del libro di Darlymple è di mostrare gli uomini per quel che sono. D'altra parte nemmeno lui è perfetto. I reportage di questo libro li ha scritti per "Granta", "the Observer", "Spectator" o altre celebrità della stampa inglese. Non gli si può fare una colpa di esser nato oltre-Manica, benchè in quei posti vi possa essere qualcuno che non gli perdona l'origine scozzese.