le voci che corrono

dada Pompidou

 

Tutto è Dada

La mostra parigina DADA ha qualcosa della chiesa mormone, che battezza retroattivamente generazioni di fedeli. C'insegna che nel primo Novecento tutti sono stati dadaisti: dal grande fotografo di moda Blumenfeld, a Charlie Chaplin, attore debuttante ma già emblematico di una visione iconoclasta del mondo. Ci sono le opere dada d'artisti che non lo furono, per esempio il Ballet mécanique filmato da Leger, o la "musica d'arredamento" di Satie. Ci sono le riviste dada mai pubblicate, come Dadaglobe e Dadaco. L'effimero è l'essenza stessa del Dada: «Il pensiero si fa in bocca», insegnava Tzara. Ma nella rassegna figurano anche piccoli capolavori di fattura preziosa: i burattini di Tauber-Arp, le scatole intarsiate di Schwitters.

Ufficialmente, il movimento nato a Zurigo nel 1916, al Café Voltaire, incomincia a svanire nei primi anni Venti – anche se qualcuno pretende che il Dada abbia resistito fino alla vigilia della seconda guerra mondiale. Viene da chiedere se il celebre Senza titolo (1992) di Maurizio Cattelan – uno struzzo maschio imbalsamato che nasconde la testa – non sia un'ultima fioritura dadaista, discendente da Lo struzzo dagli occhi chiusi (1924) di Ribemont-Dessaigne, a sua volta figlio dello struzzo onnivoro, di nome Dada, protagonista del romanzo di Verne La stella del sud (1880).

Nell'evocazione dei rapporti travagliati del Dada con il futurismo italiano, la figura di Julius Evola assume un rilievo particolare. La sua rinuncia alla pittura nel 1921, paradossalmente molto dadaistica, avviene dopo la pubblicazione di sentenze lapidarie del tipo «l'arte deve essere in malafede».

Qualche osservazione rispetto all'organizzazione della rassegna. Invece d'imporre alle centinaia di opere – che i dadaisti chiamavano "artefatti" – una sequenza cronologica, i curatori hanno creato un labirinto tematico, fatto di cubi bianchi, abbastanza grandi per esporre fogli autografi, taccuini e manifesti, un tantino esigui per i quadri e le proiezioni. Un modo di favorire l'approccio aleatorio, giocoso, dada insomma, imponendo a ciascun visitatore di tracciare i propri percorsi. Lo stesso vale per il catalogo, che segue una presentazione alfabetica: la Bibliografia segue la voce Berlino, l'Introduzione segue il capitolo dedicato al genio georgiano Ilia Zdanevitch, alias Iliazd. Autore del linguaggio "transmentale" dei futuristi russi, lo zaum, Iliazd insiste che una scarpa rotta o una camicia stracciata sono più belle assai della Venere di Milo; più tardi, espatriato in Francia, inventerà i più avanzati telai tessili per la fabbrica di Coco Chanel ad Asnières…

La Rivista dei libri”, novembre 2005