Bo Botto

Sei gradi di cinema

Alberto Crespi: SHORT CUTS. IL cinema in 12 storie. Laterza, 2022 | Quentin Tarantino: CINEMA SPECULATION. La nave di Teseo, 2023

I libri dedicati al cinema oltre ad essere rari offrono negli ultimi tempi ben poche soddisfazioni. Ho sciolto tuttavia ogni riserva al riguardo di un libro dalla struttura inusuale e dalle scelte estetiche che trascinano di buon grado alla partecipazione. Alberto Crespi, l’autore, già critico al vecchio “l’Unità”, è fra i conduttori (con Steve Della Casa, Roberto Silvestri e tutti gli altri, numerosi, che si sono avvicendati) della seguita trasmissione di Radio 3 della Rai “Hollywood Party” curata dapprima, nel lontano 1994, da Silvia Toso. Short Cuts parte dall’idea di scegliere un punto comune per l’inizio e la fine di un discorso che coinvolgerà complessivamente la storia attraverso stili, analogie, contatti di cineasti e film come nella teoria adottata dai semiologi dei “Sei gradi di separazione” che, formulata in un racconto del 1929 dallo scrittore dal davvero multiforme ingegno Frigyes Karinty, sostiene che chiunque, con non più di cinque intermediari, può accedere a una concatenazione di conoscenze, teoria ripresa in seguito da alcuni esperimenti psicologici ed entrata in qualche misura anche nel discorso pubblico. Inizio e fine del volume di Crespi sono rappresentati da “Un dollaro d’onore” (bel titolo italiano, bello ed evocativo, meglio dell’originale “Rio Bravo” che in Italia era già stato utilizzato per “Rio Grande” di Ford) e da “Fino all’ultimo respiro” di Godard, rispettivamente del 1959 e del 1960. In mezzo, con rimandi astuti, ritroviamo di tutto, da Walt Disney al Lubitsch touch, e tutto condito con buone argomentazioni e affascinanti annotazioni. Difficile scegliere un capitolo rappresentativo per tutti. Ce ne sono anche di scontati. Ma anche questi non sono mai ordinari. Per esempio quello intitolato a l’Appartamento di Billy Wilder passa per Lubitsch e arriva a Woody Allen ma con ampie puntate su Jerry Lewis dal quale fa discendere Blake Edwards per Hollywood Party e non per il resto della filmografia passibile di essere collegata al punto di partenza del capitolo.  Non è per niente ordinario quello che parte da I Magnifici sette che se messo in pista con Kurosawa e I sette samurai per passare al Sergio Leone di Per un pugno di dollari (copia western de La sfida del samurai) coinvolge poi in maniera singolare Ėjzenštejn, il regista africano (del Senegal) Djibril Diop Mambéty, Glauber Rocha e Coppola con una bella digressione su un attore stravagante e pazzoide come Klaus Kinski.  Chiaro quindi che le 12 storie evocate nel titolo del libro si moltiplicano in un numero indefinito.

Una pista per passeggiare nella storia del cinema la offre anche Quentin Tarantino rinunciando per una volta al bric a brac più italo che americano rivolgendosi alle opere maggiori e classiche attraverso i suoi ricordi di piccolo spettatore nei cinema di Los Angeles al seguito dei genitori ma anche in Tennessee, dove è nato nel 1963, con la nonna. In Tennessee vide per la prima volta Organizzazione Crimini (1973, diretto da John Flyynn) e da qui, attraverso catene di analogie, fa partire un discorso non dissimile da quello di Crespi che arriva a coinvolgere perfino il Lou Grant della serie televisiva avendo come punto di partenza il Parker di Westlake-Stark e quindi, in questo caso con naturalezza, Senza un attimo di tregua di Boorman ma coinvolgendo in maniera un tantino bizzarra Nove settimane e mezzo di Adrian Lyne e Sei donne per l’assassino di Mario Bava. Non manca un accenno a De Palma al quale dedicherà due dei saggi più belli del libro uno dei quali decisamente fuori schema: “Se il regista di Taxi Driver fosse stato De Palma”. Con questo penso di esser riuscito a descrivere la varietà di segnali che contraddistinguono un libro sì di buona lettura, ma credo più per chi è un po’ addentro alla gamma dei film che per lo spettatore (e lettore) generico. Immagino che non servirà a far cambiare idea ai cinefili che detestano il cinefilo Tarantino.