Carlo Luigi Lagomarsino
Cose e non. Byung-Chul Han
Byung-Chul Han: LE NON
COSE. Come abbiamo smesso di vivere il reale. Einaudi, 2022
Ci sono ancora i “Venerati Maestri?
Mi verrebbe da rispondere con le espressioni di Arbasino e Berselli, vale a
dire che sono altri quelli a prevalere (“i soliti stronzi”). Se ci sono
sembrerebbero comunque possedere le problematiche sembianze di uno Slavoj Žižek, tali da lasciare
perplessi chi ai “maestri” presta fede.
Dissimile ma non meno problematica sul piano della venerabilità risulta
essere la fisionomia di Byung-Chul Han, filosofo di origini sud-coreane attestato come
studioso in Germania che si è preparato in teologia cattolica
nell’heideggeriana Friburgo ed ha insegnato a Berlino. In Italia è stato
tradotto un buon numero delle sue agili opere (ognuna circoscritta al centinaio
di pagine o poco più).
Che faccia riferimento a Foucault,
Agamben, Schmitt o Richard Sennett la cadenza di
questi saggi rammenta piuttosto quella “francofortese”, e se pure nutre Walter
Benjamin fra i venerati maestri (ma basta!) il succo sembra essere più che
altro marcusiano e con Herbert Marcuse condivide del
resto una formazione heideggeriana (la sua tesi di dottorato del 1994 era
dedicata a Heidegger). Rispetto però alla civiltà dei
consumi del neocapitalismo, entriamo nel caso di Byung-Chul
Han in quella algoritmica dell’informazione che ci sorveglia, influenza e
sfugge alla comprensione cosicché “l’essere umano perde sempre più il proprio
potere di agire, la propria autonomia”. La sensazione, impossibile negarlo, è
quella dell’aria fritta (delle frasi fatte che fa buona ogni occasione per
ribadirle).
Già il titolo del libro sembra
portarci tuttavia in una fenomenologia strapazzata (da Heidegger
come da Sartre) delle cose. Le cose sono come quelle dei cartoni animati che
non solo sviluppano una vita propria ma possiedono “una caparbietà da agenti
imprevedibili” che espongono i malcapitati all’arbitrio, alla frustrazione
delle trappole in cui si imbattono. Fra queste c’è, al pari della fotografia
secondo Roland Barthes, la natura ectoplasmatica
dell’intelligenza artificiale. In una digressione finale Byung-Chul
Han associa questa natura anche alla musica dei juke-box (ma non si capisce
perché non si allarghi a tutta la musica riprodotta) e dichiarandosi innamorato
della cantane francese Barbara (1930-1937) non dispera di riportarla in vita.
Auguri.