Lucetta Frisa

il corvo

>Edgard Allan  Poe, Il corvo, a cura di Beppe Manzitti, Interlinea, 2006, collana Lyra

Questo libriccino è una vera piccola boîte à surprise. È uno di quei cocktail per palati raffinati e forse un po’demodé come qualcuno è ancora. Personalmente non considero fuori moda cose come queste, vanno fatte conoscere anche a un pubblico giovane e non specialistico. Cominciamo per ordine: il librino presenta  subito un saggio di grande interesse di Yves Bonnefoy, intitolato Il corvo e i suoi traduttori,  seguito dal testo originale della celebre e terribile poesia, ormai considerata il codice del simbolismo e del decadentismo; le altrettanto celebri versioni in francese di due poeti come Baudelaire e Mallarmé con rispettivi testi a fronte; la riproduzione dei disegni in bianco e nero di Manet che impreziosivano la prima edizione della versione mallarmeana del 1875; e il saggio, dello stesso Poe, The Philosophy of Composition,  tradotto ancora da Baudelaire. A chi dobbiamo questo libro? A un flâneur di librerie, il saggista bibliofilo Beppe Manzitti che ci racconta, nella nota introduttiva, come ha trovato il libro per caso, in una libreria antiquaria di Losanna, in un’edizione numerata, che la casa editrice La Guilde du Livre pubblicò nella cittadina svizzera, nel 1949. Il fortuito scopritore diventa il curatore dell’edizione italiana, aggiungendo la versione di Ernesto Ragazzoni (Orta 1870 - Torino 1920), brillante e tragico scrittore e poeta “minore” di cui ogni tanto qualcuno si ricorda per recitarne i versi in pubblico. Li abbiamo ascoltati, a suo tempo, da Vittorio Gassmann (Ballata) e recentemente da Davide Riondino (I lapponi). Di Ragazzoni questa è una delle prime versioni in italiano de Il Corvo (prima di lui in 5 si cimentarono con risultati disdicevoli)  e venne pubblicata per la prima volta in volume nel 1896. Ragazzoni amava Mr. Raven, aveva spirito non provinciale, pur essendo nato nel delizioso hortus conclusus del suo lago d’Orta (il nome non è casuale) e, oltre Il Corvo, tradusse, del mitico autore americano,  altre 5 poesie e 2 prose.

A noi resta da verificare se questa traduzione d’epoca meriti o no la riscoperta. Per Arrigo Cajumi, curatore di una raccolta post-mortem di Poesie e traduzioni di Ragazzoni (1927), proprio le versioni da Poe erano tra le sue cose migliori perché ”…il nostro ha sentito quasi sempre il ritmo di Poe e lo ha reso con incomparabile arte”. Anche Montale era d’accordo: “Conservano… intatto il loro fascino le poche versioni che Ragazzoni ci ha lasciato delle liriche di Poe. Versioni tutt’altro che letterali ma poeticamente assai intonate”.

Baudelaire e Mallarmé non affrontano la traduzione in versi ma “fedeli”trascrizioni in  prosa. Ospitate dal nostro librino siamo in grado di confrontarle e subito ci colpisce la loro esemplare diversità: come Baudelaire è drammatico e ornato, un po’ magniloquente, se vogliamo, al contrario Mallarmé ci lascia smarriti in un’atmosfera quasi astratta e slontanante, molto vicina al nostro moderno e sobrio “sentire” e forse più profondo è il brivido che comunica.

L’italiano Ragazzoni, invece, si avventura coraggiosamente nella versificazione e il risultato è ancora adesso apprezzabile. Quel Nevermore  tragico e conclusivo che strazia ossessivamente il protagonista, in inglese assume un’eco buia, atona, strascicata verso il basso. Come renderla tonicamente simile in traduzione? Nel francese Jamais plus ci sono almeno due sillabe in più rispetto all’italiano Mai più che risulta contratto, troppo breve, e la sua u finale accentata suona come un trillo sospeso verso l’alto. Sarà meglio tradurlo con Null’altro ancora come farà, in seguito, Mario Praz che giudica quel Mai più meglio adatto al chiù o ad un assolo piuttosto che a un corvo? Vale la pena di leggere il commento dello stesso Ragazzoni alle scelte della sua traduzione e la bella appendice critica Il Corvo vola ancora dell’esauriente curatore, che traccia la storia di The Raven e del suo successo fornendoci varie notizie sia sull’edizione inglese sia sulle due francesi.

Come sappiamo, Baudelaire fu il primo a far conoscere Poe in Francia e per il poema del Corvo scrisse in proposito Genesi di un poema, breve introduzione esplicativa alla propria traduzione  (apparsa sulla Revue française nel 1859) il testo di cui viene anche qui riportato. Si rammaricò di non avere completato il suo dovere di far conoscere meglio l’opera di Poe in Francia affermando “…que ma très humble et très devouée faculté de traducteur ne me permet pas de suppléer aux voluptés absentes du rythme et de la rime… “. Curiosamente è proprio la capacità ritmica, che spesso conserva quella dell’originale, il punto forte della traduzione di Ragazzoni. 

Ho sotto gli occhi un’edizione de Il Corvo pubblicato nella ormai scomparsa collana I grandi libri Illustrati della BUR, con traduzione e introduzione di Mario Praz, appunto, e con le splendide, numerose illustrazioni del Doré, apparse a distanza di 8 anni da quelle - scarse - che Manet dedicò alla stessa opera: fitte di angeli seducenti, demoni e languidi fantasmi come di luminescenti atmosfere tardo romantiche.  In breve, il lettore sfizioso può divertirsi a confrontare illustri versioni e illustri illustrazioni. Ad esempio, della prima strofa del poema, quale preferirà, tra queste due? In seguito  altre traduzioni (soprattutto in prosa) hanno tentato di catturare il tenebroso Raven, ma per ora limitiamoci a queste.

 

Once upon a midnight dreary, while I pondered, weak and weary,

Over many a quaint and curuous volume of forgotten lore,

While i nodded, nrearly napping, suddenly there came a tapping,

As of some one gently rapping, rapping at mychamber door.

“’Tis some visitors,”I muttered “tapping at my chamber door-

   Only this and nothing more”.

 

Una volta, a mezzanotte, mentre stanco e affaticato

meditavo sovra un raro, strano codice obliato,

e la testa greve e assorta - non reggevami più su,

fui destato all’improvviso da un rumore alla mia porta.

Un viatore, un pellegrino, bussa”, dissi, ”alla mia porta

solo questo e nulla più”.  (E. Ragazzoni)

 

Una mezzanotte grave, meditavo affranto e frale

su volumi strani e rari di dottrina ch’or s’ignora:

in sopor quasi ero assorto, quando giunse un sùbito urto,

come l’un picchiasse sordo l’uscio della mia dimora.

Mormorai.”Sarà qualch’ospite ch’urta l’uscio alla dimora:

questo sol: null’altro ancora. (M. Praz)