Luigi Corvaglia
l'anarchia. Un approccio pestilenziale. Recensione del nuovo lavoro di Colin Ward
Robert Wolff, autore la cui unica ragione di
menzione risiede nel merito storico di essere stato il primo difensore
“accademico” dell’idea anarchica, trova stranamente posto fra i personaggi
citati nel libello di Colin Ward appena pubblicato da Eleuthera, L’
Anarchia. Un approccio essenziale. Quest’operetta che rende
onore al suo sottotitolo per essere, appunto, smilza, essenziale, schematica,
vorrebbe essere una sorta di Bignami dell’anarchismo, utile per un primo
approccio del profano alle concezioni anarchiche. Ciò che stupisce, però, è il
livello qualitativo di un’opera che, pur avendo così limitati fini e delimitati
confini, imbarazza quanto a semplificazioni ed imprecisioni, soprattutto
considerando la statura dell’autore, uno dei più celebrati anarchici
contemporanei. L’architetto inglese, infatti, riesce a citare appena un gigante
come Malatesta, liquida l’individualismo, senza neppure nominare, che dire,
Armand, affermando di non aver mai letto Stirner (“l’ho sempre trovato
incomprensibile”, pag. 79) ma di averne un pregiudizio basato su una lettura
nietzschiana, riduce il problema penitenziario a un luogo comune borghese che
accoglie un’idea essenzialista del crimine (“il carcere non fa nulla per
ridurre il numero di reati”, con tanto di citazione del Segretario di Stato di
Margaret Tatcher, pag. 61) e riduce il programma anarchico ad un federalismo
che esalta l’Europa delle Regioni dei movimenti, spesso destroidi, che
rivendicano diritti secessionisti in seno ai parlamenti sovranazionali (pag.
103). In compenso, cita l’incolpevole Wolff. Il bello è che lo fa assolutamente
a sproposito, assimilandolo all’anarco-capitalismo, corrente di pensiero che l’autore
sembra conoscere quanto chi scrive conosce il sanscrito. Ora, poche cose si
possono dire del povero Wolff, non trattandosi di un pensatore ma di un
divulgatore, ed una di queste, al limite, è che il suo anarchismo è un po’
annacquato da ipotesi di democrazia (diretta?) elettronica. Farne un apologeta
dell’anarchismo di mercato o anche semplicemente un esponente dell’indirizzo
individualistico, però, è francamente delirante. Significa, ad esempio,
ignorare che questo minore del pensiero libertario si è definito “in politica
anarchico, in religione ateo, in economia marxista”. Uno così, nei club
anarco-capitalisti non lo farebbero neppure entrare. Quei clubs, quegli
ambienti che tanto autore liquida affermando con inappropriato
snobismo essere popolati da “accademici, non attivisti sociali, e la loro
inventiva sembra limitarsi a fornire le basi ideologiche a un capitalismo
mercantile libero da ogni vincolo” (pag. 88). Bene, se critiche la
teorizzazione anarco-capitalista merita – e le merita - queste sono ben
altre rispetto a quelle evidenziate da Ward (e che sarebbero
condivise dal “marxista” Wolff..) che fanno del pensiero libertarian una
sorta di baluardo a difesa dei privilegi delle classi dominanti, una sorta di
esagerazione del “liberismo” attuale, oggi fortunamente frenato dalle benefiche
strutture dello Stato. Che poi l’autore vanti Proudhon, Warren, Spooner, Tucker
e altri apologeti del libero scambio rientra solo fra le contraddizioni di
questo confuso autore che pure, in apertura del suo prescindibilissimo
volumetto, scriveva “nell’evoluzione delle idee politiche, l’anarchismo può
essere visto come una elaborazione estrema sia del liberalismo che del
socialismo, e le diverse correnti del pensiero anarchico possono essere
correlate all’enfatizzazione dell’una o dell’altra” (pag. 9). Ward, enfatizza,
secondo lui, il socialismo, e ritiene, come la buona maggioranza degli
anarchici di specchiato pedigree “di sinistra”, di possedere quella superiore
moralità che permette e quasi impone di ergersi a censore di chi manifesta
opzioni meno assolutiste, anche quando ciò è palesemente falso, come nel caso
di Wolff, e anche quando la purezza incontaminata che si intende difendere
dalle infiltrazioni liberali è una sciapita versione d’anarchismo doroteo, quella
che può trovare la ragione della non affermazione dell’idea anarchica nel fatto
che, in passato, “una minoranza di anarchici” ritenne praticabile l’uccisione
di monarchi e dittatori (pag. 19). Che tristezza vedere l’anarchismo dibattersi
fra la destroide Scilla del conservatorismo morale pseudo-liberale
dell’anarco-capitalismo e la doppia Cariddi sinistra rappresentata dall’ impotentia
coeundi dell’anarchismo pseudo-intellettuale da salotto e dal priapismo
troglodita dell’insurrezionalismo.