Rothbard o Bakunin?
l’avvenire di un’illusione (di alternativa)
Non
mordermi il dito; guarda dove indica.
Warren
S. McCulloch
“Nazionalsocialismo o caos bolscevico?” recitava un manifesto che la Gestapo aveva fatto affiggere nelle città tedesche, reagendo però molto male quando qualche ignoto si preoccupò di incollarvi sopra dei foglietti con su scritto “Erdapfel oder Kartoffel?” (“patate o patate?”). Paul Watzslavick, da psichiatra, ci descrive i deleteri effetti prodotti dall’illusione di alternative apparentemente antitetiche ma risultanti, alla fine, entrambe afferenti ad un unico polo di una coppia di opposti più generale. Nell’ambito ideologico da cui lo slogan citato scaturisce, ad esempio, non si dà una terza possibilità, cosa che fa percepire i due concetti come opposti assoluti. Da un punto di vista “democratico”, però, le due possibilità afferiscono entrambe al polo del totalitarismo, al quale è da contrapporre, quale antitesi, la “democrazia”. I due poli costituiscono, dunque, una meta-coppia di contrari. Searles, d’altro canto, descrive dei pattern comunicazionali che definisce “sistemi per far diventare matto l’altro” e, anche in questo caso, si tratta di creare situazioni in cui il partner comunicativo venga ingabbiato in una situazione di scelta impossibile fra due opzioni solo apparentemente alternative (tertium non datur). Fatto è che, laddove non si riesca a cogliere una terza possibilità, forse è il caso di guardare meglio. Lo stesso Watzslavick, in una nota del suo Il linguaggio del cambiamento, pur temendo che l’indagine potrebbe sfociare nella metafisica, riconosce che una metacoppia di contrari (quali, appunto, dittatura e democrazia) potrebbe, a sua volta, essere iscritta in un unico cerchio concettuale che diventa nuovo estremo di una nuova coppia di opposti di livello superiore. Democrazia e dittatura, infatti, rientrano entrambe nel cerchio della statualità. “Statalismo o antistatalismo?” sarebbe la domanda.
All’aumentare del livello concettuale, diminuisce la capacità inibitoria ed ansiogena della proposta. Fermandoci momentaneamente a questo livello e curiosando in uno dei due termini della diade in considerazione possiamo valutare quanto ci si trovi in alto, cioè possiamo chiederci se l’ambito del pensiero antistatale sia scevro da simili trappole logiche. Si direbbe proprio di no. Non è un azzardo affermare che l’elemento di demarcazione più netto fra gli anti-statalisti sia costituito dalla questione del mercato e della (propedeutica) proprietà privata. La domanda, insomma, diventa: “comunismo anarchico o anarco-capitalismo?”. Anche qui si ha l’impressione che ci si trovi in presenza di opposti assoluti e, nell’ambito culturale di riferimento, una volta, cioè, messa fuori dalla competizione l’opzione statale, non sembra darsi una terza possibilità. Chi scrive ritiene, invece, anche questo un esempio di difficile scelta fra patate e patate. Le navate delle chiese anarchiche risuoneranno a questa affermazione delle eco dei gridolini delle vergini violate di cui, si sa, esse traboccano. Del resto, questa sarebbe la reazione del bolscevico che si vedesse accumunato al nazionalsocialista, ma, dall’alto del meta-livello, gli uomini si vedono molto piccoli e si assomigliano molto più di quanto non si direbbe guardandoli da quella distanza alla quale, si dice, “nessuno è normale” . Entrambe le categorie considerate (anarchici tradizionali e “libertarians”), infatti, presentano analoghe caratteristiche di integralismo e conseguente cecità selettiva alle caratteristiche omologhe (o “omologabili”) dell’altra proposta. L’abolizione della proprietà o la sua estensione diventano la panacea di ogni male. Ognuno utilizza la propria concettuale cassetta degli attrezzi per fronteggiare qualunque tipo di avversità.
Come diceva Mark Twain, “quando disponi di un martello tutti i problemi ti sembrano chiodi”. Utilizzando la terminologia dell’epistemologo Lakatos, possiamo dire che a difesa del proprio “nucleo metafisico” i partigiani di entrambe le posizioni utilizzano molte “euristiche negative”, cioè dei processi logici volti a salvaguardare la propria teorizzazione dalle invalidazioni, e pochissime “euristiche positive” volte a modificare la propria concezione al fine di inglobarvi gli elementi di realtà contrastanti. La consapevolezza di questo stato di cose muove quindi i fautori dell’ “anarchismo analitico” ad una revisione del pensiero e dell’azione anti-statale. La definizione è ripresa dal “marxismo analitico” (Cohen, Elster, ecc.), la scuola di pensatori tesa ad una analisi concettuale rigorosa dei fondamenti generali e dei micro-fondamenti particolari della visione marxista per produrre una proposta dotata di coerenza interna, chiarezza espositiva e rigore intellettuale. Simile l’intendimento di questi anarchici critici. Un’opera questa che comporta il far pervenire alla coscienza il fatto che l’utopia anarchica classica si scontra con molte contraddizioni, la prima delle quali è nel fatto che è una concezione della libertà che, non tollerando altro da sé, si basa su un principio anti-libertario. In altri termini, un’organizzazione comunista, se vuol dirsi davvero non autoritaria, non può non ammettere il diritto di exit e la secessione individuale, consentendo la produzione separata e autonoma di forme organizzative alternative.
Tuttavia, se così è, il comunismo anarchico finisce col negare sé stesso, consentendo il riprodursi del mercato e della concorrenza. D’altro canto, questo lavoro significa anche considerare che l’anarco-capitalismo rothbardiano tende ad identificare il mercato col capitalismo storico ed a presentare quest’ultimo come antagonista dello stato, piuttosto che come il prodotto della deformazione che lo stato produce sul mercato. Mercato, quindi, è qui termine da intendersi quale confronto, scambio, concorrenza, non solo e non tanto di beni, ma anche di idee, concezioni, stili di vita, pretese ed aspettative, è parola che sta a significare l’autopoietico organizzarsi, l’ acefalo processo dal quale è sempre scaturito tutto ciò che naturalmente regge al tempo fra le creazioni umane: le lingue, i costumi, i sistemi simbolici di scambio, il diritto consuetudinario, e così via. La proposta di questo “nuovo”, ma in realtà vecchissimo, anarchismo prevede quindi il recupero dello spirito “laico” e genuinamente “liberale” che informa da sempre il pensiero libertario meno perso dietro alle chimere dell’organicismo mitico di quel “popolo” uniformemente senziente ed agente sul quale ironizzava Berneri. Tertium datur.
Certo, per alcuni anarchici duri e puri che conoscono Proudhon per sentito dire e che credono che Malatesta e Fabbri fossero dei comunisti e non degli apologeti del commercio, del confronto e della libera sperimentazione, la sole parole “mercato” e “liberale” sono in grado di elicitare anatemi e scomuniche. Korzybski sta però lì a ricordarci che la parola cane non morde. Altrettanto fanno gli anarchici analitici. In definitiva, la questione, al meta-livello, diventa “ottusità ideologica o analisi critica?”. E così parlando ci siamo allontanati dal campo di patate.