Luigi Corvaglia
perché non possiamo essere statalisti (e meno che mai marxisti).
Apologia
(anarco)socialista del libero mercato
Lo ammetto. Ho simpatia per gli antipatici. Spiego meglio il paradosso: rientrando nella categoria oggetto di tale etichettamento, mi sento affratellato a quel sottogruppo di antipatici che si sono meritati tale definizione, non in virtù di caratteristiche fisiche, caratteriali o comportamentali, bensì perché elicitano reazioni di fastidio nella maggioranza per una supposta tendenza a strafare dal punto di vista intellettuale. I famosi “tuttologi” che, si dice, possono pretendere di sentenziare sui più svariati ambiti dello scibile solo grazie ad una cospicua dose di presunzione.
E’ chiaro che per noi antipatici qui stia parlando l’invidia per le nostre esagerate virtù. Insomma, a me il “matematico impertinente” Piergiorgio Odifreddi è molto simpatico. Il personaggio dimostra, nella sua poliedricità rinascimentale, di saper maneggiare una gran quantità di conoscenze in ambiti che vanno dalla matematica – sua professione, in cui eccelle a livello internazionale - alla fisica e alle altre scienze, ma anche alla letteratura, l’ arte, la filosofia e la religione. In questo ultimo ambito, ad esempio, si è distinto quale divulgatore di concezioni ateiste dimostrandosi anche attento studioso dell’esegesi biblica.
In realtà, non avevo affatto bisogno di Odifreddi che mi spiegasse “perché non posso essere cristiano (e meno che mai cattolico)”, come recita il suo recentissimo volume edito da Longanesi. Già lo sapevo. Però leggere uno studio così puntuale di incongruenze, mistificazioni ecclesiastiche ed assurdità, scritto in modo così scorrevole e lieve, ironico, è sempre un piacere che si tende a consigliare agli altri. Questo ci fa soprassedere su alcune cadute di tono, in verità gravi per un logico-matematico, come quando, per parafrasare l’autore che cita Linneo, “facit saltus”, cioè salta a conclusioni di pseudo-sillogismi in mancanza di quelli che Darwin chiamerebbe gli anelli di congiunzione. Esiste però un problema. Infatti, gli antipatici di questa fattispecie, essendo molto intelligenti, hanno la tendenza a creare collegamenti trasversali fra quelle quattro o cinque materie in cui si muovono a menadito e altre che solo la prosopopea che li/ci contraddistingue li/ci illude di maneggiare. Agli adoratori della dea Ragione, infatti, capita talvolta di sovrastimare la quota di detta divinità che li pervade. Come nel dogma della transustanziazione di cui nel citato libro, sembra che il rituale dello studio scientifico permetta al prete razionalista – quale anche io mi considero – di mutare, tramite la semplice introduzione di pochi elementi di positivismo, la substantia di qualunque sentenza per renderla “scientifica”, lasciandone immutata la forma irrazionale. Lo so bene, perché è proprio in tal modo che ho preso gli abbagli più gravi.
Bene, Odifreddi palesa perfettamente tale abitus in varie occasioni. Voglio qui soffermarmi su un suo scritto in cui tale pratica di imposizione delle mani dello scienziato pretende di dare incontrovertibile razionalità a quella che è la sua passione politica. Una giustificazione ex-post. Il lavoro è datato ma si ha ragione di credere che rispecchi ancora le opinioni dell’autore. Il titolo del sagace articolo è “Capitalismo e comunismo. Da che parte sta la scienza?”. La scienza non lo so, ma Odifreddi sta dalla parte dei rossi. Niente di male, sia chiaro. Ciò che invece mi sembra discutibile è la pretesa alchemica di trasformare in oro della logica alcune frattaglie concettuali di minor nobiltà. Una buona capacità cognitiva non è la pietra filosofale. Prima di passare ad esaminare gli esempi di tale logica, è utile notare che il primo a parlare di scientificità del marxismo fu lo stesso Marx che mostrava appunto sufficienza nei confronti del “socialismo utopistico” degli anarchici. Sennonché la pretesa scientificità del paradigma marxista era basata su concetti illogici quali il valore-lavoro e la fiducia irrazionale sul “compimento della storia” dovuta alla zavorra a-scientifica dello storicismo hegeliano. L’aggiornamento ai tempi nostri della dimostrazione della razionalità socialista, la statura scientifica dell’autore dovrebbe farcelo sperare, dovrà basarsi su qualcosa di molto più valido. Non ne sono sicuro, però. Infatti, con consueta arguzia, il professor Odifreddi porta l’implacabile logica di alcuni slogans, letti però alla luce di varie discipline scientifiche! Vediamoli.
Odifreddi si appella
innanzitutto alla Filosofia: “ Il comunismo pensa in termini di classi,
privilegiando quella dei diseredati (in special modo, il proletariato); il
capitalismo si interessa degli individui, privilegiando i ricchi (primi fra
tutti gli industriali)”. Già questa prima affermazione contiene molto di
luogo comune e poco di scientifico. Ad ogni modo, dopo aver azzardato che
questa contrapposizione è riproposta dalla dicotomia idealismo tedesco-
empirismo inglese (?), non è in alcun modo spiegato perché sarebbe meglio
pensare in termini collettivo-tedeschi piuttosto che anglo-individuali;
mancanza rilevante, sia in considerazione del fatto che il pur coltissimo
autore ignora che l’individualismo metodologico è ormai accettato quale
inconfutabile verità anche dai “marxisti analitici” (no bull-shit marxism), sia
perché, a voler seguire semplificazioni di analogo tenore, si potrebbe
ricordare che
Ad ogni modo, l’autore tradisce una poco scientifica concezione organicistica affermando che “il comunismo vuole” una certa cosa, mentre “il capitalismo si interessa” ad un’altra. E’ contraddittorio (non solo per un logico) affermare che una concezione che giustamente si definisce centrata sull’individuo e la sua sovranità “si interessa” ai ricchi. Non esiste il capitalismo come unità pensante, è una astrazione che cela i singoli capitalisti, persone che si muovono sulla base di incentivi personali e che non sono certo animate da un sogno di edificazione di una società che privilegi questa o quella “classe”. Ad ogni modo, è ben diverso giudicare un’azione o una dottrina a partire dalle intenzioni o dai risultati.
Ammesso e non concesso che il capitalismo, inteso come sistema di libero mercato, privilegi i ricchi, ciò non è programmatico ( a meno che dietro l’etichetta “capitalismo” il buon Odifreddi non intenda definire, con poca rigorosa estensione, non un sistema di libero scambio, ma il regime politico-affaristico che preme al fine di perpetuare quella condizione di soffocamento proprio del libero mercato e che alimenta la sperequazione economica). Se, invece, è programmatica l’attenzione per il povero nel comunismo, l’esito della pratica comunista ci pare totalmente diverso rispetto alle intenzioni. E’ interessante notare che Odifreddi giudica il comunismo a partire dai buoni propositi e non dagli effetti (evidentemente frutto di non ortodossa applicazione di formule scientifiche), mentre giudichi il capitalismo in modo assolutamente inverso, cioè a partire da quelli che ritiene esserne gli esiti nefasti.
Si passa quindi ad appellarsi alla Logica: “il comunismo vuole cambiare il mondo, e perseguire dunque il progresso; il capitalismo si accontenta invece di capire il mondo, e combatte per la conservazione”. Affermazione molto discutibile. Discutiamone. Non esiste progresso se non nato dal confronto. Il libero confronto delle idee, ad esempio. Il comunismo vorrebbe imporre il monopolio ideatico, sempre ad esempio. In tal senso, il comunismo è fortemente conservatore, perché vuole conservare l’assetto di potere, limitare la circolazione di nuove idee, ecc. Ma niente di ciò che regge fra le creazioni umane nasce per imposizione esogena. Lingue, cucina, usi e costumi, diritto consuetudinario, ecc. Tutto ciò è autopoietico. Ovviamente vi rientrano anche i sistemi di scambio fra merci, dato che il mercato anticipa di molto lo stato. Bisogna ricordare, anzi, che l’economista Von Hayek, autore di un noto saggio dal titolo “Perché non sono conservatore”, è stato criticato in quanto descrive l’evoluzione per libero confronto in termini chiaramente darwinistici, cioè basata sulla sopravvivenza del mezzo e del sistema più adatto in un processo autopoietico senza sosta. Shumpeter ha centrato la sua opera sullo sviluppo prodotto dal capitalismo sotto forma di nuovi beni, nuove qualità, nuove tecnologie, nuovi materiali e fonti di approvvigionamento ecc. , ma, in realtà, è proprio contro questo sviluppo, ritenuto causa di disastri ecologici che, da sempre, i comunisti – che nei paesi del socialismo reale hanno prodotto statalmente i più grandi disastri ecologici – gli anarchici, i primitivisti e tutta la fauna di sinistra si battono da sempre.
Ma forse Odifreddi intendeva porre sotto il termine “progresso” esclusivamente il progresso economico ed esclusivamente quello di una classe, quella povera. Allora, questo ci porta alla necessità di discutere un’altra delle argomentazioni “scientifiche” portate da tanto illuminista, quella relativa all’ Economia, ma si tratta di un’ economia da salone da barba: “capitalismo e comunismo hanno obiettivi opposti e simmetrici per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza: il primo pretende di far star meglio i ricchi, anche a costo di far star peggio i poveri; il secondo desidera arricchire i poveri, anche a costo di impoverire i ricchi”. Si dà per scontato che arricchire tutti i poveri sia cosa buona, che impoverire tutti i ricchi lo sia altrettanto. E’ chiaro, così dicendo, che si suppone che i ricchi lo siano per aver rubato ai poveri. Se ragioniamo sulle appropriazioni originarie, si può convenire. Anche se ragioniamo sulla scorta di un capitalismo inteso come braccio economico dello stato. Insomma, ridistribuire vuol dire rubare, tramite il furto legalizzato denominato fisco. A legittimare tale frutto non può che essere la idea che i ricchi abbiano a loro volta rubato.
Questa logica, però, denuncia l’ignoranza di due concetti. Il primo è che il mercato non è un “gioco a somma zero” in cui quello che io guadagno tu lo perdi e viceversa. Nello scambio fra due individui entrambi guadagnano qualcosa, altrimenti non si avrebbe scambio alcuno. Questo avviene anche quando oggetto di tale scambio sia la forza-lavoro. Che questo possa comportare il rischio di “sfruttamento” è più che vero, e motivo della mia dissonanza con i libertari anarco-capitalisti, ma il problema è nella sussistenza di forti sperequazioni economiche la cui causa è, non nella mancanza dell’intervento statale, ma proprio nella commistione fra apparato statale e affari e finanza, commistione che è madre delle bolle speculative e nelle concentrazioni economiche e di potere che schiacciano gli individui e che difficilmente avrebbero tali caratteristiche in un mercato realmente libero. Questo era il secondo concetto. B. Proudhon, B. Tucker e F.S. Merlino, tre “socialisti”, da tre diverse angolazioni, hanno detto queste stesse cose, cioè che il socialismo non è antitesi del liberalismo, ma suo compimento.
Veniamo allora allo
slogan "confermato" dalla Fisica: “Il comunismo persegue un’ideale
di uguaglianza, in cui ciascuno dà secondo le proprie possibilità ed ottiene
secondo i propri bisogni; il capitalismo cerca di mantenere e accrescere la
diversità, in special modo fra chi produce e chi guadagna”. Mi sembra un
ottimo slogan a favore del capitalismo. Primo, perché la concezione del
“ciascuno fa quel che può, ma prende all he can eat” è utopistica anziché no.
Secondo, perché, essendo gli uomini tutti diversi, e in ciò risiede la
ricchezza dell’umanità e il motivo di tutti i suoi progressi (che, lo abbiamo
detto, derivano dal confronto), non si avrebbe altro che una sterile staticità
e una uniformazione ottenuta tramite il soffocamento e la mortificazione delle
caratteristiche individuali. A voler giocare al gioco di Odifreddi – il gioco
si chiama “ma quante ne so” – si può citare lo schema struttural-funzionalista
di Merton che rappresenta una società armonica e funzionale solo se tutti
perseguono conformisticamente gli stessi fini e tramite gli stessi mezzi. Che
questo comporti la pace sociale è verissimo. Ma affermare, come Odifreddi
afferma, che la società senza frizioni porti al progresso è risibile. Galilei
sarebbe considerato disfunzionale nello schema mertoniano. Per inciso, gli
struttural-funzionalisti utilizzavano quale esempio di tale società ideale
Ma il bello inizia ora, con l’aumentare del tasso “scientifico”. E’ il turno delle Scienze Cognitive: “Il comunismo propone un’organizzazione della società basata sulla ragione; il capitalismo propone uno sviluppo basato sull’istinto”. Interessante argomento che poco ha a che vedere con le scienze cognitive (e con le scienze tout-court) e che finisce col produrre schematismi antropologici per cui “la lateralizzazione del cervello è dunque coinvolta nella determinazione del comportamento neuronale, in modo tale da riflettere (forse non solo per ironia della sorte) le tendenze politiche: gli individui “di sinistra” (in cui l’emisfero di sinistra abbia cioè la prevalenza) saranno più razionali e scientifici, quelli “di destra” più istintivi e artistici.”. Stranamente, però, la maggior parte degli artisti sono di sinistra e buona parte degli imprenditori sono molto razionali. Nel primo caso, la cosa è probabilmente dovuta alla apertura mentale di cui l’artista necessita per esplicare la propria libera creatività, nel secondo, nel calcolo e nell’ inventiva che chi investe e rischia deve necessariamente mettere in atto, certo, accanto anche all’istinto. Ad ogni modo, la fallacia e il pericolo dell’affermazione dell’impertinente matematico è nell’idea che esiste un sistema razionale perché “giusto” (o giusto perché razionale) . Ma questa è considerazione etica. Hume ci ricorda che una affermazione etica non può trasformarsi in prescrizione (la conclusione di un sillogismo può essere imperativa solo se lo sono anche le premesse) e Nozick che non esiste una società “perfetta” che accontenti tutti. E’ in nome di indimostrabili superiorità che si danno gli integralismi e le guerre di religione. Se qualcosa è realmente gradita a tutti, si impone da sola. Se una cosa è realmente oggettiva, non è necessario imporla. Diceva Voltaire che non esistono sette in geometria. Ma non è il caso di ricordarlo ad un matematico.
All’argomento della razionalità è strettamente legata anche lo slogan che l’autore fa supportare dall’Informatica: “il comunismo è a favore della pianificazione centrale; il capitalismo canta le lodi del libero mercato”. E’ chiaro che ciò esprime l’idea che il comunismo è razionale, perché pianifica. Pianificare significa ragionare. Cogito ergo pianifico. Invece, il libero mercato, in ragione appunto della propria libertà, non pensa, quindi è stupido. In realtà, il maggior tallone d’Achille dell’intelligenza del comunismo è proprio nell’idea di pianificazione. La pianificazione prevede conoscenza. Conoscenza dei bisogni, dei tassi di sostituzione marginale, di dove allocare le risorse ecc., tutte cose che nessun organismo, neppure onnisciente come Odifreddi o il platonico “governo dei custodi”, possiede. Tali conoscenze, invece, sono possedute, in frammenti, dai vari individui. Solo il sistema dei prezzi è, diceva Hayk, un meccanismo perfetto per comunicare informazioni, conoscenza, velocemente e ovunque. Questo autopietico meccanismo conoscitivo è acefalo – cibernetico, professore - e non dotato di concretezza fisica. Risponde, cioè, alle stesse caratteristiche che, nella conclusione del suo bel libro, Odifreddi attribuisce, in un rigurgito di naturalismo, alla dea natura, al logos. Non antropomorfica divinità senziente e pensante ma semplice descrizione delle leggi che governano ed equilibrano l’universo. Insomma, in religione il matematico è ateo, in economia è pio. Bene, ora è il momento delle Scienze politiche: “Il capitalismo si ritiene indissolubilmente legato alla democrazia rappresentativa, che produce un parlamento di cittadini; il comunismo si organizza in soviets, che esprimono le classi”. Anche questo non è male come slogan a favore del liberalismo (si noti come il termine “capitalismo” sia polisemantico per l’impertinente). In verità, in verità ci dice, però, che quello che può sembrare un vantaggio, cioè la democrazia, è uno svantaggio, perché la democrazia è una truffa. Anche per giungere a questa conclusione non avevo bisogno di Odifreddi. Egli cita il paradosso dell’elettore di Arrow che dimostra come le regole di Condorcet, normalmente utilizzate nel rito della celebrazione elettorale, sono assolutamente irrazionali, perché non consentono una scala di preferenze che rispecchi realmente quella espressa dagli elettori. Bene. A conoscenza di questo stato di cose, è da che ho l’ età della ragione che non voto. Non so come si comporti al riguardo Odifreddi, però, inquietantemente, questi scrive che Arrow ha dimostrato che “esiste solo un sistema che non presenti le stesse caratteristiche paradossali (…) questo solo sistema è la dittatura”. Forse anche a Odifreddi non piace votare..
Passiamo quindi alle Scienze Naturali: “Il comunismo – scrive il matematico - teorizza la rivoluzione come mezzo per la conquista del potere e la trasformazione radicale della società; il capitalismo contrappone il cambiamento graduale come espediente per la conservazione di entrambi”. Qui Odifreddi afferma che nella scienza moderna la discontinuità è l’ipotesi più in voga ( e si cita, fra le altre cose, quale paradigma epistemologico, solo quello di Kuhn, unico basato sul principio “dialettico” marxiano di tesi-antitesi-sintesi…). Non manca dotta citazione di Sofocle. Non capisco l’argomento. Forse ci si riferisce al concetto nichilista molto in voga nei circoli anarchici e di estrema sinistra per cui il sistema non si riforma ma si distrugge. Un’ottica, dunque, palingenetica. Si può esser d’accordo o meno, solo che non capisco in che modo la scienza, dalla fisica quantistica alla teoria delle catastrofi – entrambi esempi del professor Odifreddi – arrivi in soccorso all’idea palingenetica. La scienza, come l’etica, descrive, non prescrive. Qui, mi pare, neppure descrive nulla di ciò che riguarda gli esseri umani.
Ma il meglio l’autore
non può che darlo sulla sua materia d’elezione:
Il dilemma si pone a
due complici arrestati, a cui si presenta una triplice scelta: se uno dei due
denuncia l’altro ma non viceversa, il delatore viene liberato ed il tradito
viene condannato a 20 anni; se entrambi denunciano l’altro, ricevono 20 anni
ciascuno; se nessuno denuncia l’altro, essi vengono condannati entrambi a 10
anni.
Un capitalista sceglierà di denunciare il complice, nella speranza di ottenere per sé il massimo vantaggio (la liberazione); un comunista sceglierà di non denunciare il complice, nella speranza di evitare tutti il male peggiore (la condanna a 20 anni). Fra due capitalisti, entrambi vengono condannati a 20 anni; fra due comunisti, entrambi vengono condannati a 10 anni; fra un capitalista ed un comunista, il primo va libero ed il secondo è condannato a 20 anni; in nessun caso entrambi sono liberati.
Due commenti: il primo è che prima l’autore descrive il capitalismo come un “gioco a somma zero”, poi, proprio quando utilizza l’esempio di un “gioco a somma diversa da zero”, quale è il mercato, cerca di utilizzarlo come arma impropria contro il concetto di mercato! Il secondo commento: questo è proprio un esempio di gioco di prestigio in cui si passa, senza che il pubblico se ne avveda, dalla “razionalità” all’ “istinto”, dalla a-valutatività scientifica al moralismo degli affetti. Ancora una volta, infatti, non si capisce il senso delle definizioni. Qui “capitalista” non è la persona che partecipa ad un sistema di produzione e libero scambio. C’è una connotazione morale che funge da gioco delle tre carte in cui tu credi di vedere una cosa e ne vedi un’altra. Lo schematismo prevede che “capitalista” sia sinonimo di carogna e “comunista” di samaritano. Il gioco, comunque, non mira in origine a dimostrare che una data idea politica è più adatta a non prendere fregature dagli altri. Descrive solo quella condizione hobbesiana di homo homini lupus per cui, in condizioni strategiche di tale fatta, è più probabile, per chiunque, dimostrasi egoisti a danno altrui, e alla fine anche proprio, perché la scelta più comune è quella della defezione di entrambi.
Ma questo avviene solo
se il gioco è a singola presentazione, perchè, sempre in base alla logica del
bene proprio, il gioco può comportare la cooperazione, un “altruismo a proprio
favore”, se è a n-ripetizioni. Cioè, chi è costantemente immesso in dilemmi del
prigioniero ha comportamenti differenti da quello esemplificato in questa
artificiale situazione singola. Altrimenti i danni totali (i pay off negativi)
di ripetute defezioni sono troppo alti e sconvenienti. Si impara, cioè, che la
scelta “defezionate” (nel gioco, la delazione) non paga. Il mercato è appunto
un gioco in cui la scelta di defezione non paga. Cioè, io mi fido di tutti,
nessuno mi paga, oppure tu mi paghi e io non ti fornisco un bene o una
prestazione. Il mercato, se questa fosse la regola, non si manterrebbe un
giorno. Se parliamo di “persona defezionante” e “persona cooperante” ci
rendiamo conto che, nell’ambito del mercato, che è proprio un sistema per
uscire dal dilemma del prigioniero, il capitalista, qui inteso come persona
disposta a scambiare, è il cooperante (altruista per egoismo), mentre il
comunista, qui inteso come persona non disposta a scambiare, è il defezionante
(egoista per altruismo). Dato, insomma, il problema di uscire da questa
condizione di natura in cui si è immessi in dilemmi del prigioniero, esistono
due soluzioni: il mercato e lo stato. Ma, come scrive Riccardo
A questo punto, è giunto il momento di togliermi la maschera con cinematografico gesto: io la penso come Odifreddi! Anch’io vorrei un mondo in cui tutti fossero comunisti! Cioè, mi piacerebbe che tutti fossero animati dallo stesso spirito di comunione e fratellanza e nessuno sfruttasse nessun altro, esattamente come vorrei i torrenti di latte e le fontane di LSD. Ma, come fa giustamente notare Odifreddi, “non solo il comunismo può funzionare come sistema universale, ma funziona soltanto se lo diventa”. Bisognerebbe essere tutti genuinamente comunisti. Purtroppo, non tutti gli esseri umani sono dotati delle stesse qualità di sensibilità, cultura, intelligenza, disgusto per la mercificazione e banalizzazione della vita quotidiana, rigetto per l’agonismo e spirito fraterno che contraddistinguono me e Odifreddi. Tutte queste qualità sono, come il Dio di Pascal, sensibili al cuore e non all’intelletto, con buona pace dell’ esprit de geometrie che permea il provocatorio e arguto saggio del matematico. Ma i cuori sono diversi. Allora non resta che dare ascolto a David Friedman che ci ricorda che ci sono solo tre modi di indurre gli altri a comportarsi come noi vogliamo, cioè l'amore, la forza e lo scambio. L'amore funziona se tutti amiamo. Altrimenti si può scegliere fra le altre due. Ricordando, come sempre Friedman dice, che una società socialista con uomini perfetti – cioè, socialisti - funziona sicuramente meglio di una società imperfetta, come quella liberale, con uomini imperfetti; ma una società socialista con uomini imperfetti è peggio di una società liberale formata da uomini egualmente imperfetti. Pertanto, per quanto sia apprezzabile e condivisibile affermare che il sole è più bello della pioggia e si voglia raccomandarlo urbi et orbi, cioè che “è meglio indossare un bikini quando c’è il sole che un impermeabile quando piove”, beh, dice Friedman “Questa non è una buona ragione per non portare mai con sé l’ombrello”.