Il presente saggio è stato inizialmente pubblicato in appendice al volume Poteri Democrazia Virtù (Montesquieu nei movimenti repubblicani all'epoca della Rivoluzione francese) curato quest'anno da Domenico Felice per l'editore Franco Angeli.
Salvatore Rotta
Montesquieu
, la Repubblica di Genova e la CorsicaNelle note di viaggio a Genova (9-20 novembre 1728)1 Montesquieu non fa parola della Corsica. La "paix génoise" vi regnava da centosessanta anni. Dopo la pax romana mai più l'isola godrà di un cosi lungo "intervalle de tranquillité"3. Nessun còrso si era levato in tutti quegli anni a reclamare l'indipendenza o almeno qualche forma di autonomia. E nessuno, dentro o fuori l'isola, aveva criticato i metodi coloniali della Repubblica. Più nessuno - dopo la sua vittoria su Sampiero e il suo partito nel 1569, che le lasciava l'isola in possesso "pieno, intero, incondizionato" - aveva diritto "de lui demander compte de la façon dont elle traitait ses sujets insulaires"4. Che il governo genovese avesse allora saputo "malgré les inimitiés extérieures et les complots intérieurs [...) sauver à la fois sa liberté et l'intégrité de ses possessions, témoigne - riconosce il maggiore storico della riconquista - d'une fermeté d'àme et d'une constance dans les desseins qui ne manquent pas de grandeur"5. L'aver saputo conservare per sé l'isola, eliminando Francia, Spagna e Toscana, era stato un successo del quale giustamente la Signoria andava tuttora fiera. Ora però quei pretendenti si erano rifatti accaniti; e purtroppo gli equilibri internazionali non permettevano più il rinnovarsi di quel miracolo. Montesquieu a ogni modo non metteva in discussione il possesso genovese dell'isola. Ridisegnando per gioco la carta politica dell'Italia aveva per un momento preso in considerazione l'ambizioso progetto accarezzato da Vittorio Amedeo Il fino alla morte: impossessarsi del Finale e di Savona e farsi "re di Liguria"6. Abbandonata la riviera di Ponente e collocato nella genovesissima Bonifacio "le centre de leur puissance", i Genovesi avrebbero potuto formare laggiù "une grande puissance maritime"7. Ma aveva cassato quella fantasticheria.
Il dominio di Genova sulla Corsica aveva cominciato a incrinarsi di lì a poco, alla fine del 1729; e si trasformerà con il tempo in volontà assoluta di secessione8. L'Europa fu inondata a partire dal 1731 dai manifesti degli insorti. Le Gazzette diedero puntualmente notizia di quei segnali di malcontento. Ma neppure ora, verso il 1731, nella velenosa Lettre sùr Génes, tutt' altro che benevola verso l'oligarchia dominante ("je n'ai pas vu un seul Génois qui ne déteste ses souverairs"), Montesquieu accenna ai rumori di Corsica9.
Silenzio tanto più curioso in quanto il Saint-Olon nel suo Mémoire (1682), che Montesquieu mostra di conoscere, aveva tanto insistito sul vantaggio per la Francia di togliere alla Repubblica inetta e impotente quella gioia rara.
I Còrsi intanto si erano mossi in direzione della Spagna; ma la situazione internazionale non aveva permesso a Filippo V d'intervenire. Intervenne invece volentieri, e proprio perché inquieto delle mire spagnole, l'imperatore Carlo VI, che accettò l'invito di Genova d'inviare nell'isola nell'agosto del 1731 un contingente di ottomila uomini e artiglieria a rafforzamento delle scarse milizie genovesi. L'esercito imperiale al comando prima del colonnello conte di Wachtendonck poi del principe di Wlurttemberg ottenne, dietro promesse di un perdono generale e di serie riforme, la sottomissione degli insorti. Fedele alla parola data e premuto dai suoi più stretti collaboratori (il conte di Sinzerdorff, il Rialp, il principe Eugenio, il governatore di Milano, conte di Daun) Carlo insisterà, anche personalmente, per una politica di riforme. Ne seguì una concitata trattativa tra Genova, Milano e Vienna circa gli articoli da essere garantiti dall'imperatore e quelli no. Mia fine, il 23 e 28 gennaio 1733, vennero approvate da Minor Consiglio rispettivamente le Concessioni graziose fatte dalla Ser.ma Repubblica di Genova a 'popoli, e sudditi del Regno di Corsica colla interposizione della Cesarea Garantia (17 articoli) e i Nuovi ordini, e decreti della Ser.ma Repubblica di Genova da osservarsi nel Regno di Corsica per il buon regolamento di quell 'Isola (40 articoli)11. Le Concessioni grariose erano "assez habilement nuancées pour désarmer la rébellion par des mesures où chaque classe sociale trouvait son intérèt"12. In realtà non ottennero che una tregua. All'inizio del 1734 l'insurrezione si riaccende. Nel gennaio del 1735 la Consulta di Corte organizza la Corsica in Stato sovrano. Questa prima costituzione, confezionata dall'avv. Sebastiano Costa, attrasse l'attenzione del Montesquieu che la fece trascrivere per intero nel suo Spicilège, così come era stata riprodotta dalla Gazzetta di Amsterdam il l° aprile 173513.
Il potere di deliberare e decidere di tutti gli affari, tasse e imposizioni del Regno era riservato alla dieta generale composta dai deputati di ogni città e villaggio del paese. Ogni tre mesi essa doveva nominare una giunta sovrana di sei membri che assieme ai tre generali -Andrea Ciaccaldi, Giacinto Paoli, Luigi Giafferi- avrebbe assunto i poteri di governo. La dieta non poteva essere convocata che per ordine dei generali. Le deliberazioni del Consiglio di guerra, del magistrato dell'abbondanza, di quello dei padri del Comune, di quello delle monete (tutti composti di quattro membri), dovevano essere approvate dalla giunta. Grande importanza veniva data ai titoli di ciascun magistrato: quello di altezza reale competeva ai tre generali e ai capi della dieta; quello di eccellenza ai membri della giunta; ai membri di tutti gli altri comitati quello di illustrissimo. La pena di morte era generosamente comminata non soltanto a coloro che si rifiutassero di accettare incarichi o impieghi conferiti loro dalla giunta e che venivano perciò dichiarati ribelli, ma anche a coloro che osassero disprezzare o ridicolizzare i titoli conferiti ai generali, alla giunta di governo e a tutti gli ufficiali e ministri della dieta. Una segreteria di Stato composta da due membri era incaricata di vigilare sulla quiete del regno e soprattutto sui traditori della patria o supposti tali con il potere di giudicarli con processo segreto e di condannarli a morte.
Montesquieu purtroppo non commenta gli articoli fondanti questo nuovo Stato che aveva per protettrice la Vergine e per gonfaloniere Cristo e che per molti aspetti può essere considerato, almeno nelle intenzioni, democratico14. Probabilmente gli articoli sul crimae lesae e quello sui sospetti dovettero suscitargli qualche perplessità15.
Poco più di un anno dopo, il 15 aprile 1736, venne eletto re di Corsica il westfaliano Teodoro di Neuhoff, deposto da nave inglese il 12 marzo sulla spiaggia di Aleria. La costituzione di Corte venne prontamente sostituita da una nuova costituzione monarchica, sempre fattura del Costa, che prevedeva una dieta di ventiquattro membri, un'imposta modesta, un'università, un ordine di nobiltà, l'accesso dei Corsi a tutti gli impieghi pubblici con esclusione dei Genovesi, che avrebbero dovuto lasciare la Corsica e con loro i coloni greci di Paomia, e i loro beni confiscati, e infine, cosa sorprendente: libertà di coscienza. Ma durò soltanto sei mesi: resosi conto della rapida disaffezione dei sudditi, Teodoro lasciò segretamente l'isola l'11 novembre 1736, non senza però speranza di ritorno (e infatti ritornò nel 1738 e nel 1743)16.
Il personaggio diventò ben presto un eroe da teatro; ma Montesquieu non si divertì alle sue spalle come farà più tardi Voltaire nel Candide. Quel breve regno era stato comunque un primo, aperto tentativo di dar corpo all'indipendenza della Corsica. Indipendenza difficile da ottenere e soprattutto da conservare. Le maggiori insidie venivano dalla Francia, che proprio in quegli anni aveva manifestato, o meglio stava per manifestare, un interesse violento per il possesso dell'isola. L'envoyé extraordinaire Campredon aveva speso molto della sua attività nel 1735 a or dirvi, con l'applauso e l'appoggio del segretario di Stato agli affari esteri Chauvelin, un colpo di mano'7. Ma all'ultimo momento lo Chauvelin si era tirato indietro: un 'azione così brutale avrebbe messo la Francia in troppo cattiva luce di fronte all'opinione europea. Meglio una penetrazione lenta e capillare, sempre che (come faceva sperare il Canipredon) i Genovesi non volessero vendere l'isola. Idea, questa, tipicamente francese, alla quale Genova mai si piegò. Anche la cessione del 1768 non fu un atto di vendita: tanto e' vero che il governo di Luigi XVI le offrirà nel 1790 la possibilità di una retrocessione18. A perseguire dunque quel fine in forme più vellutate provvide il vecchio Fleury: "L'habilite consista - scrive l'Antonetti à associer, sur le papier, le Roi de France et l'Empereur"19. Il 12 luglio 1737 Luigi XV e Carlo VI stipularono infat~i un trattato chè garantiva la sovranità genovese sull'isola. E a nome dei due garanti, il 5 agosto successivo, negoziò con Genova l'invio di un corpo di spedizione di tremila uomini per pacificare l'isola. Il corpo sbarcò a Bastia l'8 febbraio 1738. Lo comandava il conte di Boissieux, uomo di pace. Per rendere più efficace la pacificazione il buon conte era impaziente di ricevere un nuovo regolamento che ampliasse le già larghe concessioni fatte dalla Repubblica nel 1733. La Repubblica vi si piegò; e inviò a Versailles Gian Francesco Brignole Sale per concordare con i principali ministri francesi (Amelot, Maurepas, Angervilliers, Orry) il testo definitivo. Avanti l'apertura della prima conferenza (l'affaire fu sbrigato in due sedute) il Brignole fece pervenire al ministero delle sue Remarche. Tra le osservazioni spicca una sdegnata denunzia dell'inumanità dell'Ordonnance criminelle. In armonia con quella, gli estensori della bozza di regolamento avevano previsto la condanna a morte anche per coloro che avevano ucciso per legittima difesa o preterintezionalmente, riservando loro soltanto l'alea della grazia:
Non può la Repubblica occultare la somma ripugnanza che prova a costringere i giudici a condannar di morte chi avesse commesso un omicidio involontario o fatto a legittima difesa in modo che, a risalva della grazia, la quale da alcun contigibile accidente può tal volta essere frastomata, abbia a punirsi di morte un uomo, che dinanzi a Dio sarebbe innocente20.
Ma i ministri francesi non vollero sentir ragioni: obiettarono che "così praticavasi in Francia onde non fu possibile rimuoverli"21.
La conoscenza sommaria dell'art. VI del regolamento, letto però verso il 1746 nella Gazzetta di Amsterdam del novembre del l7~, fece esplodere l'ira del Montesquieu. Non su questo punto, come sarebbe stato ovvio, ma sul comma successivo, nel quale si ritirava al governatore dell'isola il potere, concessogli nel 1658, di punire ex informata conscientia a tre anni di galera portati poi a cinque) falsi testimoni,. falsamonete e complici. Ma egli credette che con quella procedura il governatore mandasse a morte i suoi governati. Il tono che assume nei confronti di Genova è sferzante: "Oui l'eùt dit que les maximes les plus cruelles du despotisme ce seroit un peuple qui se vante d'etre libre qui les auroit établies contre de malheureux sujets?". Oppressi in quel modo, i Corsi erano stati costretti a chiedere il rispetto del diritto naturale: "Les Corses, dans leurs traités, ont été obligés de stipuler le Droit naturel, & la République de Génes a signé le traité qui la couvre à jamais de confusion, par lequel elle s'engage de ne plus faire mourir les Corses sans procès, ni sur la conscience informée du gouverneur". La ininterrotta richiesta di aiuto alle corti straniere (tutte, a cominciare dalla Francia, notoriamente disinteressate) per conservare alla Repubblica la sovranità sull'isola faceva dei suoi agenti diplomatici dei grandi seccatori: "Cette République, dans l'impuissance de reduire des peuples maltraités, envoye, de cour en cour, importuner tous les rois & acheter d'eux la vie de ces peuples, après l'avoir tant de fois vendue"22.
Montesquieu stava allora lavorando a dare l'ultima mano al suo capolavoro. Non seppe astenersi dal manifestare la propria indignazione in un capitolo dell'opera23. Nel manoscritto parigino (che come prova il passo in questione rappresenta la penultima stesura di essa, come aveva congetturato lo Shackleton) troviamo già il su J'accuse:
Les Génois tenoient la Corse dans sa sujetion; mais il n'y avoit rien de si corrompu que leur droit politique, ni de si violent que leur droit civil. On se souvient de ce Tiaité dans lequel le Sénat leur promet qu'on ne les feroit plus mourir sur la conscience informe' du gouvemeur. On a vu souvent des peuples demander des privilèges, ici le peuple demande, ici le souverain accorde le droit naturel méme24.
Meglio si era condotta -diceva nel capitolo successivo, il 9°- l'Inghilterra nei confronti dell'Irlanda. L'aveva sì soggiogata per pura gelosia commerciale e la teneva alla sua stretta dipendenza ("l'accable par le droit des gens"); ma le aveva dato almeno un "bon gouvemement politique et un bon gouvernement civil", ossia le sue proprie leggi, di modo che "l'État est esclave et les citoyens sont libres"25. Non poteva scegliere esempio più infelice: l'Irlanda del Settecento era "il popolo più oppresso dell'Europa occidentale"26.
Buona regola a ogni modo del diritto di conquista era evitare la distruzione del popolo vinto. La violenza era stata purtroppo necessaria al momento della conquista; ma una volta fatta, toccava al conquistatore riparare una parte dei mali che esso aveva causato. Il diritto di conquista era insomma "un droit nècèssaire, légitime et malheurex, qui laisse toujours à payer une dette immense pour s'acquitter envers la nature humaine"21. Il relativismo portava Montesquieu a distinguere gli obblighi di ogni forma politica che si faceva conquistatrice: monarchie, repubbliche, Stati dispotici. Nel caso della repubblica, la differenza tra quelle aristocratiche e quelle democatiche non era sensibile: "Ce que j'ai dit de l'État populaire, se peut appliquer à l'aristocratie". Era il caso di Genova. Enunciava dunque la regola: "Quand une république tient quelque peuple sous sa dépendance, il faut qu'elle cherche à réparer les inconvénients qui naissent de la nature de la chose, en lui donnant un bon droit politique et de bonnes lois civiles". Proprio quello che la Repubblica di Genova, a parer suo, non aveva saputo fare, continuando ad abusare del diritto di conquista.
Nell'edizione ginevrina del 1748 si registrano tre piccole varianti: "Les Génois" è diventato une république d'Italie"; la parola "Sénat" è stata sostituita con "elle" (=Republique); "le droit naturel mème" è diventato "le droit de toutes les nations". Ecco dunque per comodità del lettore il testo quale si legge (o piuttosto, come vedremo, si leggeva).nell'editio princeps (Genève, Barrillot, 1748):
Une republique d'Italie tenoit des insulaires sous son obéissance. Mais son droit politique et civil à leur égard étoit vicieux. On se souvient de ce traité dans. lequel el1e leur promet qu'on ne les feroit plus mourir sur la conscience informée du Gouvemeur. On a vu souvent des peuples demander des Privilèges; ici le peuple demande, ici le souverain accorde le droit de toutes les nations.
L'opera era appena giunta nelle mani di Mme de Tencin (fu la prima copia a giungere a Parigi) allorché due frequentatori assidui del suo salotto, che proprio nelle sue mani l'avevano rivoltata, la pregarono di comunicare all'autore le loro osservazioni su due passi dell'opera: quello riguardante il Banco di S.Giorgio28; quello relativo appunto alla Corsica. Si trattava di due coetanei, i quali avevano ricoperto entrambi in tempi diversi incarichi diplomatici a Parigi: Agostino Lomellini e Gian Francesco Pallavicini. Il Pallavicini era ancora all'epoca ministro plenipotenziario alla corte di Versailles. Erano entrambi intellettuali eminenti, il Lomellini soprattutto29. Ma anche Pallavicini (1709-1792) era uomo di buona cultura. Il Galiani, che del fratello cardinale, Lazzaro Opizio, era amicissimo, lo portava alle stelle'0. Frequentatori assidui sia del salotto di Mme de Tencin sia di quello da poco aperto di Mme Geoffrin trovarono facilmente il canale per raggiungere Montesquieu. A uscire in avanscoperta fu, il 28 marzo 1749, Mme Geoffrin. Si può ammirarne il tatto:
M. de Lomellini & M. de Palavicini sont au nombre de vos plus granda admirateurs: ce demier est, comme vous savez, ministre de la République. C'est un homme qui a beaucoup d'esprit & de droiture & qui est fort attaché à sa patrie; il croit que les François doivent etre contents des Génois [nella recente guerra] & par conséquent, il est très persuadé que votre intention n'a pas été d'offenser une république qui s'est sacrifiée pour nous & dont nous avons reçu bien réellement des services & des secours bien essentiels. Ayant entendu dire qu'on alloit faire une seconde édition de l'Esprit des loix, il m'a priée de vous envoyer le petit mémoire ci-joint. Je vous supplie, mon cher Président, de ne sçavoir aucun mauvais gré de m' etre chargée de cette commission. J'ai assuri M. de Palavicini que vous recevriez cette représentation avec la douceur & la politesse qui ne vous abandonnent jamais dans les disputes les plus vives & que les lumières de votre esprit & la droiture de votre coeur vous feroient sentir tout d'un coup la justice de sa cause31.
Il 2 aprile era la volta di Mmc de Tencin: "Je vous envoie, mon cher Romain, les remarques de M. de Pallavicini; peut-etre les avez-vous de'jà. Il y a longtemps qu'il les a donne' à Mme Geoffrin".
Questa memorietta era rimasta tra le carte conservate a La Brède, che soltanto di recente sono state depositate presso la Bibliothéque Municipale de Bordeaux32. Ne do in appendice la trascrizione. Eccone ingoni modo il succo.
Quello che l'autore citava non era un trattato: era il testo di un'amnistia e delle concessioni che la Repubblica aveva fatto ai Còrsi nel 1738. Tra i Còrsi e i Genovesi non c'era stato, né poteva esserci, trattato, data la loro posizione di sudditi. In questo editto non era stato promesso ai Còrsi "qu'on ne les feroit plus mourir sur la conscience informée du Gouverneur"; soltanto era stato tolto al governatore il potere di condannare i Còrsi ex infor mata conscientia a pene afflittive. Errore tanto più grave, quello del Montesquieu, in quanto avrebbe potuto far credere che in passato egli fosse stato autorizzato a mandare a morte i Còrsi "sur sa conscience informée". Inoltre il potere di procedere ex informata conscientia in occasione di certi delitti concesso ai tribunali di Genova non aveva mai escluso né in Corsica né altrove la necessità d'istruire un processo scritto e di osservarvi tutte le formalità ordinarie: la sola differenza consisteva nell'esigere più o meno prove o nel dispensarne, ma mai quando si trattava di infliggere la pena di morte33. Ne conseguiva che mai i Còrsi erano stati nelle condizioni di "demander" né la Repubblica "d'accorder le droit de toutes les nations". Ergo: non si poteva dire che "le droit politique et civil à l'égard de ces insulaires étoit vicieux". Montesquieu non accettò la conclusione di questo sillogismo, ma fu sensibile alle altre osservazioni:
Vous ne devez - rispondeva a Mme Geoffrin forse il 25 aprile - nullement douter que je ne donne à MM. les marquis Palavicini & Lomellini toute la satisfaction qu'ils souhaitent, que je ne fasse usage du memoire & qu'en conséquence dans les nouvelles éditions que je pourrai découvrir [...] & je vous prie de les assurer & du respect infini quej'ai pour leurs personnes & de l'envie que j'ai de conserver leurs bontés & leur amitié. Cette amitié m'est d'autant plus précieuse qu'elle nous est comme avec la votre & qu'elle forme pour ainsi dire un tout dont il ne faut pas òter l'intégrité34.
In realtà Montesquieu fece di più. Non attese una seconda edizione, ma intervenne già sulla prima. Inserì cioè uno dei tredici cartons nell'opera già stampata. Diede dunque atto al Pallavicini che il "trattato" del quale aveva parlato non era un trattato, bensì un "acte d'amnistie"; non fece più morire i Còrsi "sur la conscience informée du Gouverneur"; rinunziò ad un efficace antitesi ("ici le peuple demande, ici le souverain accorde") che poteva apparire una giustificazione della ribellione; fece risaltare al contrario la clemenza della Repubblica; l'abuso c'era stato ("son droit [...] étoit vicieux") ma la Signoria con l'editto di pacificazione (dcl quale nell'edizione del 1750 fornirà la data e il testo italiano) lo aveva di sua iniziativa corretto.
Ecco dunque il brano che, eseguita la toilette, i lettori dell'editio princeps (tranne i possessori dei tre esemplari non cartonnés) ebbero sotto gli occhi:
Une république d'Italie tenoit des insulaires sous son obéissance; mais son droit politique et civil à leur égard étoit vicieux. On se souvient de cet acte d'amnistie, qui porte qu'on ne les condamneroit plus à des peines afflictives sur la conscience informée du Gouvemeur. On a vu souvent des peuples demander des privilèges; ici le souverain accorde le droit de toutes les nations.
Il capitoletto perdeva un po' della sua enfasi; ma almeno fugava ogni sospetto che l'autore volesse incoraggiare le rivolte, anche quelle nobilmente motivate.
Va tuttavia notato che in armi nei quali, soprattutto in Francia, l'opinione sui Còrsi era pessima, Montesquieu costituisce una felice eccezione per la sua sensibilità all'oppressione che Genova aveva fatto pesare sull'isola e "à l'aspiration à la liberte' de ce petit peuple": così l'Antonetti, forzando un po' i testi35. È quest'accenno lusinghiero verso il suo popolo, che rese Montesquieu caro a Pasquale Paoli? La risposta non è facile. Innanzi tutto bisogna dimostrare che nel novembre del 1754, allorché da Longone scrisse al padre per avere quell'opera come una "delle più necessarie in Corsica", l'avesse già 1etta36. Cosa difficile a credersi, visto che sperava di trovare in essa schemi e progetti di costituzione, del genere di quelli che andava in quel tempo febbrilmente fabbricando lui stesso. In ogni caso, il 16 marzo 1755 non era stato ancora accontentato, e rinnovò la richiesta, Ammesso pure che quel libro gli arrivasse tra le mani non ebbe certo il tempo di farne tesoro nella confezione dei testi costituzionali da lui redatti nel luglio e nel novembre del 1755. Ne' vi fece mai più accenno. Eppure da molti si dice che da Montesquieu il Paoli apprese la teoria della separazione dei poteri. Ancora Franco Venturi sacrifica a questo mito37. In realtà - osserva giustamente l'Ettori - "la théorie comme la pratique du Géneral a toujours ignoré de telles distinctions, inconcevables d'ailleurs dans un état de guerre où tous les ressorts du pouvoir devaient e'tre tendus [?]par la meme main". Quanto al potere giudiziario, è nota la spietatezza della sua giustizia. Le garanzie elementari non erano rispettate: "unee demi-preuve suffit -confidò al Boswell-, un peu de sang versé en épargne beaucoup". Se si identificasse il giacobinismo con il terrore, questo degno rappresentante di un governo "virtuoso" potrebbe a buon diritto figurare tra gli antenati. Per trovare un liberale (e ben di liberali andiamo in cerca, trattandosi di Montesquieu) in quell'ambiente tendenzialmente unanimistico bisogna rivolgersi al suo amico e poi antagonista Matteo Buttafoco, che apriva la sua memoria presentata alla consulta di Casinca nel 1764 con queste parole: "Perciò bisogna, come dice il celebre Montesquieu, che il potere arresti il potere"38.
note
1. Montesquieu, Oeuvres complètes, publ. sous la direction d'A.Masson, 3 voll., Paris, Nagel, 1950-55, vol. Il, pp. 1052-1064.
2. F. Ettori, La paix génoìse; in Hlstoire de la Corse, publ. sous la direction de P. Arrighi, Toulouse, Privat, 1971, pp. 245-306.
3. R. Emmanuelli, Génes et l'Espagne dans la guerre de Corse, 1559-1569, Paris, Picard, 1964, p. 446.
4. Ibid.
5. Ibid.
6.0. Pastine, La Repubblica di Genova e le Gazzette, Genova, F.lli Walser & C. 1923, p. 81.
7. Pensée 313 (Oeuvres, cit., 11, p. 133).
8. G. Oreste, La prima i~urrezione còrsa del secolo XVIII (1730-1733), "Archivio storico di Corsica", XVI (1940), pp. 1-12; 147-164; 292-315; 393430; XVII (19~), pp. 32-79; 159-209. Ingannato dalle sue fonti, l'Oreste anticipa al 1731 la volontà di secessione datando a quell'anno la costituzione che fii invece votata a Corte quattro anni dopo (XVI, p. 418). Quanto alla consulta dei teologi a Orezza (ibid., p. 420), non era stata affatto proclamata in essa la guerra "giusta e santa". I Còrsi erano stati invitati anzi ad aspettare l'esito dei negoziati aperti con Genova (F. Ettori, Le congres des théologiens à Orezza, 4 mars 1731. Mythe et réalité, "Études corses", I ~1973], p. 77 ss.). E vero tuttavia che dal dicembre 1730 la rivolta si dl dei capi, poco entusiasti in verità e accomodanti con Genova (P. Antonetti, Histoire de la Corse, Paris, Laffont, 1902, pp. 312-313). È dei primi mesi del 1731 il manifesto che s'intitola: Ragioni che vengono allegate dai popoli della Corsica per la loro sollevazione (Copia:
Archivio di Stato, Genova, RibelL Corsica, F. 3/3001). ~ sono riassunti' i 29 capitoli, ossia i cahiers de doléances presentati in aprile dai capi della rivolta al nuovo commissario generale Veneroso (1'. Pomponi).
9. Oeuvres, cit., Il, pp. 1303-1312.
10. Oeuvres, cit., Il, pp. 1058, 1311. Il Mémoire des revenues et des forces de la République de Gennes [dèc. 1682] si legge in: Recueil des instructions, XIX, pubì. par E. Driault, Paris, Alcan, 1912, pp. 185-199, ch. VI, De la Corse, pp. 197-199.
11. La storia minuta di queste trattative è stata tessuta da G. Oreste (La prima insurrezione, cit., XVII, pp. 159-209).
12. Biblioteca Civica Berio, m. r. XIV, 5, 13 e 14. Il testo è riprodotto da G. G. Cambiagi, Istoria del regno di Corsica, voi. III, Firenze, 1771, pp. 46-51. Cfr. P. Antonetti, Histoire, cit., p. 137.
13. Spicilege no 611.11 testo intero (ma con i nomi storpiati) si legge nell'edizione curata da L. Desgraves (Paris, Laffont, 1991). Mi permetto di rinviare all'edizione critica di questo testo, apprestata da me e da R~ Minuti, per le oeuvres comple'tes, XIII, di prossima pubblicazione presso la Voltaire Foundation.
14. Su questo testo "obscur et informe" (Ettori), cfr. R. Emmanuelli, Précis d'histoire de Corse, Ajaccio, Éditions Cymos et Méditerranée, 1970, pp. 80-82; F. Ettori, Histoire de la Corse, cit., pp. 319-321. In questa occasione fu varato l'inno nazionale Dio vi salvi regina (5. B. Casanova, Histoire de l'Église de Corse, Ajaccio, Impr. Typographique, voi. Il, 1932, pp. 76-77): a mia conoscenza il primo inno nazionale. Il Godsave the King fu cantato a Drury Lane il 25 settembre 1745 ~. R. Scholes, "Godsave the King": its History and its Romance, Oxford, Oxford University Press, 1943).
15. Esprit des lois, XII, 12.
16. A. Le Glay, Théodore de Neuhoff, mi de Corse, Monac~Paris, 1907; Sebastiano Costa, Mémoir's, publ. par R. Luciani, Paris-Aix en Provence, 1972-1975; P. Antonetd, Histoire de la Corse, cit., pp. 322-327.
17. D. Spadoni, La trama di un ambasciatore in Genova per darla Corsica alla Francia, 173S, "Archivio storico di Corsica", XVII (1 941), pp. 145-158; 5. Rotta, "Une auss perfide nation". La "Relation de Génes" déJacques de Camp~don, 1737, "Quaderni Franzoniani", Xl (1998), pp. 609-708.
18. N. Savelli, La Corsica non fu venduta alla Francia, "Archivio storico di Corsica", XIII (1937), pp. 351-360; R. Emmanuelli, Le gouvernement de Louis XVI offre à la République de Génes la rétrocession de la Corse, 1790, "Annales historiques de la Revolution francaise", XLVII (1974), pp. 623-640.
19. P. Antonetti, Histoire de la Corse, cit., p. 239.
20. Archivio di Stato/Genova, Archivio segreto 2222. G. F. Brignole Sale ai Seren.mi, Fontainebleau 18 ottobre 1738. Annesso A. Il Brignole Sale sarà eletto doge in anni difficili (1746-1748).
23. Esprit des bis, X, 8.
24. Bibliothèque NationaleIParis, F. F. Nouv. Acquis. 12833, f. 135.
25. Ibld., f 136; Esprit des bis, XIX, 27.
26. ~ Palsner-J. Colton, Storia del mondo moderno, Roma, Editori Riuniti, 1982, voi. I, p. 174.
27. Esprit des lois, X, 4.
28. Esprit des lois, Il, 3.
29. Cfr. S. Rotta, Documenti per la storia dell 'illuminismo a Genova: lettere di A. Lomellini a P Frisi, "Miscellanea di storia ligure", 1(1958)" pp. 189-329. Envoyé extraordinaire alla corte di Versailles dal 1739 al 1742, aveva aperto liberalmente la sua casa e vissuto in intimita con i più promettenti giovani scienziati: Alex Fontaine, Alexis Clalraut, e sopratutto il giovanissimo d'Alembert (C.Y. Cousin d'Avalon, D'Alembertiana, 1913, pp. 36-37, cit. da E. Badinter, Les passions intellectuelles, I, Désires de gIoire, 1735-1751, Paris, Fayasd, 1999, p. 200). Amicizia, quest'ultima, che durerà nel tempo. Nel luglio del 1749 d'Alembert dedicherà a quel generoso signore e "profond géomètre" una delle sue più ardue opere astronomiche: le Recherches sur la précession des équinox. E di nuovo parlerà di lui con lode nel 1754 nell'Essai sur la société de gens de lettres et des grands (Saggio sui rapporti tra intellettuali e potenti, a cura di F. Brunetti, Torino, Einaudi, 1977, pp. 34-35, n. 1). L'anno prima il Lomellini aveva elegantemente t:radotto nelle sue parti essenziali il suo Discours préliminaire (1751) dell'Encvclopédie. Rimasto con lui in assidua corrispondenza purtroppo perduta) gli fece inutilmente sperare tra il 1758 e il 1770 una sua visita a Genova. A Parigi il Lomellini aveva frequentato il Montesquieu, sia all'epoca del primo soggiorno sia durante la sua seconda dimora (1748-1749) (Oeuvres, cit., II, p. 455; III, p. 1113).
30. Cfr. 5. Rotta, L'illuminismo a Genova Lettere diP P Celesia a F Galiani, Firenze, La Nuova Italia, 1971-1973, voI. I, p. 219; vol. 11, pp. 7, 10,28,43,93,96,98> 113, 139> 148, 164, 166,250,252,267; Gli archivi Pallavicini di Genova, I' Archivi propri Inventario, a cura di M.Bologna, "atti della Societa Ligure di Storia Patria", n. 5. xxxrv (CVIII) (1994), fasc. I, p. 139. Gian Francesco III mori celibe, pp. 28-29).
31. Oeuvres, cit., III, pp. 1213-1214.
32. Bibliothèque Municipale de Bordeaux, Fonds de la Brède, ms. 2526.
33.11 primo storico a mettere in discussione l'uso della procedura er informata conscientia è stato l'Ettori: "La procèdure ex informata conscientia, mieux comprise, n'est pas, Cn son prin cipe, la monstreuse barbarie qu'on a denoncée" (La paix génoise, cit., p. 287). A far velo a molti storici filofrancesi della Corsica fu forse l'esperienza dell'eta della Restauaazione. Malgrado l'art. 65 della carta del 1814, la giuria non fii ripristinata e la corte criminale di Bastia giudicò er informata conscientia condarando a morte: "Quindi si videro cadere sul palco dell'infamia teste innocenti" (1'. O. Ranucci, Storia di Corsica, Bastia, 18~4, pp. 368-369, 409). Il governatore di Corsica aveva ricevuto il potere di condannare e:: informata conscienda nel 1658. Poteva condannare da uno fino a tre anni (poi a cinque) a suo arbitrio non solo i testimoni i quali nelle cause deponessero il falso, ma anche quelli che li producessero e presentassero per esaminare. La Stessa facolta di condannare a pena di galera gli era stata concessa per i coniatori di monete false e anche quelli che le prendessero e dessero o tenessero mano a spenderle (Statuti civili e criminali di Corsica, pubblicati da G. C. Gregoij, Lione, 1843, voi. Il, p. 139). A Genova una sistematica ricognizione eseguita dall'amico Rodolfo Savelli delle sentenze delle cause criminali conservate nella Biblioteca dell'Archivio di Stato e nel fondo Manoscritti ha rivelato che tali pene erano state irrogate dal Magistrato degli Inquisitori di Stato, da quello dei Censori e da quello di Guerra. Cfr. O. Forcheri, Doge, Governatori, Procoratori, Consigli e Magistrati della Repubblica di Genova, Genova, Società Ligure di Storia Patria, 1968, pp. 117-118: "[...] in talune materie, nonostante l'avvenuta assoluzione da parte della Rota, era possibile agli Inquisitori di Stato di condannare egualmente ex informata conscientia o anche commutare le pene inflitte dal giudice ordinario in altre più gravi". Procedura praticata anche da parte del governatore di Corsica, ma ora espressamente vietata dall'ultimo comma dell' art. VI dell'Editto del 18 ottobre 1738 (v. sopra, nota 21).
34. Oeuvres, cit., III, pp. 1222-1223.
35. P. Antonetti, Histoire de la Corse, cit., p. 361.
36. F. Ettori, Laformation intellectuelle de Pascal Paoli, 1725-1755, "Annales historiques de la Révolution Irancaise", XLVIII (1974), pp. 485-507. Indagine esemplare.
37. F. Venturi, Settecento nformatore, V, I, Torino, Einaudi, 1987, p. 25.
38. Bibliothèque Publique et Universitaire de Neuchitei, ms. 7940 (cit. da F. Ettori, La formation, cit., p. 497, nota 63).
appendice
Bibliothèque Municipale di Bordeuax, Fonds de La Brède, ms. 2526
Remarque sur le chapitre VIII du Xe livre de 1'Esprit des loix où il est dit:
Une Republique d'Italie tenoit des insulaires sous son obeissance. Mais son droit
politique et civil à leur égard étoit vicieux. On se souvient de ce traité Claris lequel elle leur promet qu'on ne les feroit plus motirir sur la conscience informée du Gouverneur. On a vu souvent des peuples demander des Privilèges; ici le peuple
demande, ici le souverain accorde le droit de toutes les nations.
Ce qu'on croit que l'autheur veut citer n'est point un traite'; c'est une publication de l'amnistie et des concessions, que la Republique de Genes accorde aux Corses en 1738. Cependant non seulement l'autheur le nomme un traitè, mais il donne lieu à des gens peu instruits de croire que c'en est un entre la Republique de Genes et ìes Corses p& ces mots: "ici le peuple demande, ici le souverain accorde".
Ori n'a pas prornis aux Corses dans ces Concessions qu 'on ne les feroit plus mourir sur la conscience informée du Gouverneur, mais on a deffendu au Gouverneur de l'Isle de condamner les Corses ex informata coriscientia à des peines afflictives. Cette difference est d'autant plus essentielle que l'erreur dans la quelle est tombe' l'autheur prouveroit que le Gouverneur de Corse à e'té autorisé autrefois a punir les Corses de mort sur sa consciense informée, ce qui n'est point.
L'autheur ignore peut-etre que le pouvoir de proceder ex informata coscientia àl'occasion de certains delits est accord~ par les loix de Genes à d'autres tribunaux qu'à ceux de Corse, mais que cette maniere de proceder n'a jamais exclu ni en Corse ni ailleurs la necessité d'instruire un procés par écrit, et d'y observer toutes les formalités ordinaires, et que la difference ne consiste qu'à exiger plus ou moins de preuves, ou à en dispenser, mais jamais pour la peine de mort.
Il s'en suit que les Corses n'ont jamais été dans le cas de demander, ou la Republique dans le cas d'accorder le droit de toutes les nations, ce qu'on ne sauroit dire pas le droit politique et civil à l 'égard de ces insulaires etoit vicieux.