Sandro
Ricaldone
Constant Nieuwenhuys (1920-2005)
"E' il nostro
desiderio che fa la rivoluzione": così Constant Nieuwenhuys, il
pittore-architetto olandese scomparso il primo agosto ad Utrecht, all'età di
ottantacinque anni, intitolava il suo primo manifesto, pubblicato nel 1949 su
"Cobra", la rivista pubblicata dall'omonimo gruppo di
artisti sperimentali.
"Parlare del
desiderio" - annotava allora - "per noi, uomini del ventesimo secolo,
è parlare dell'ignoto, perché tutto ciò che sappiamo dell'impero dei nostri
desideri è che questi si riconducono ad un immenso bisogno di libertà". Un
bisogno al quale Constant ha dato espressione dapprima nella pittura,
realizzando alcune delle tele più dirompenti del secondo dopoguerra che
traggono linfa dall'arte popolare, dai graffiti, dai disegni dei bambini la cui
sola legge "è quella che dà loro, spontaneamente, il senso della
vita". Nascono allora dipinti come "La piccola scala" (1949),
ora al Gemeente Museum dell'Aja, popolata di pupazzi multicolori e di
schematici profili d'uccelli, o "Festa della tristezza", dello stesso
anno, ove campeggiano inquietanti animali fantastici.
Dopo la metà degli anni
'
Il primo progetto in
questa nuova prospettiva nasce ad Alba, dove Constant si era recato per il
Primo Congresso Mondiale degli Artisti Liberi (1956) ed aveva poi soggiornato
per un certo periodo.
Qui, Pinot Gallizio,
inventore della Pittura Industriale e Re degli Zingari, chiede all'artista di
progettare una struttura per ospitare i nomadi in transito. A partire dalla
maquette per l'Accampamento degli Zingari Constant sviluppa progressivamente
l'idea di New Babylon, città utopica, fondata - come ha scritto Jean-Clarence
Lambert - "su due postulati: la nomadizzazione della popolazione; la
generalizzazione del comportamento ludico, che sostituisce gli svaghi
mercificati".
Una provocazione che ha
investito in maniera a un tempo critica e creativa uno degli aspetti più
controversi della società contemporanea, sul quale si è concentrato non solo
l'interesse dei gruppi, come l'I.S. e in seguito i Provos olandesi che, secondo
prospettive diverse, miravano ad un radicale mutamento della vita quotidiana ma
la riflessione degli architetti e degli storici dell'arte, consegnandogli una
fama planetaria.
Tornato quindi a
dipingere, con immagini labili e raffinate che svariano fra il mito ("La
conversione di Venere", 1977; "Orfeo" 1988-89) e la realtà
dolente del nostro tempo ("Il massacro di My Lai, 1972; "I
rifugiati", 1991), Constant ha continuato sino all'ultimo ad operare fra
gli estremi di quello che chiamava "il dilemma del creatore"
contemporaneo. Stretto fra un passato conchiuso ed un futuro appena abbozzato,
questi "deve continuare ad essere un ideatore flessibile; deve suggerire
quando vorrebbe agire, tracciare schizzi quando vorrebbe costruire. Ma questi
schizzi sono importanti, perché iniziano a ribaltare il mondo utilitario dove
la creatività non è che fuga e protesta; perché delineano l'uomo nuovo, homo ludens".
“Il SecoloXIX”, 4 agosto 2005