Omar Wisyam
Il comunismo “rozzo” e la comunanza delle donne
Ricordo (perfettamente…) che la dicitura
“comunismo rozzo”, la prima volta che la incontrai, mi colpì immediatamente per
l’uso dell’attributo e perché afferiva a diversi campi tematici, in uno dei
quali Marx evocava la “comunanza delle donne”.
Ero un ragazzo e da poco avevo scoperto il
sorprendente “marxiano” invece dell’usuale “marxista”. Due locuzioni curiose,
dunque, vicine nel tempo passato. L’aggettivo scagliava Marx
sul pianeta rosso come sulla Luna i proiettili di Verne e di Melies (la discesa era appena stata celebrata dalla
telecronaca della RAI), ma pure in quell’inaudito aggettivo si insinuava il lavoro
della psicoanalisi, a corrodere sottilmente il granito o l’acciaio in cui si era
materializzato (la miracolosa “Invarianza storica del marxismo” secondo Bordiga
che un pochino lo cambiò d’aspetto e di abito – perché non si dà il caso di una
teoria che non muti migrando di capa in capa - e poi di Camatte,
invarianza variata alquanto, quella del pervicace autore di “Invariance”). Infine in un luogo celato del corpo, ma non dell’attributo,
si nascondevano i favi dello studioso tedesco che si riprometteva di far pagare
alla borghesia i dolori dei foruncoli con tutti gli interessi maturati dalla storia
sociale dell’oppressione.
Il comunismo è rozzo, mi dicevo allora (e ne
è passato di tempo…). Ma che altro avrebbe dovuto essere? – mi dicevo. Educato?
Raffinato? Un affare da gentlemen? Gli schiavi di Spartaco, i contadini di Muntzer, i giacobini di Parigi erano gente dai gusti delicati?
Ricevevano nei salotti mondani? Rozzamente giudicava l’adolescente che ero.
Il “comunismo rozzo” compare nei “Manoscritti
economico-filosofici del 1844”. Marx si riferiva ai
socialisti utopisti, al loro socialismo, grossolano ma non disprezzato (“non
ignobile”, baloccava il comunista napoletano, insignendo il rozzo comunismo di
un pencolante quarto di nobiltà) che, secondo lui, apparteneva a qualche forma
preliminare rispetto a quello “scientifico”. A parte (ma solo in parte…) l’intuizione
del “gigante” Gracco Babeuf che aveva compreso che
“la forza saprà contare più che la ragione”, come scriveva Bordiga in “I
caratteri della società comunista…” apparso nel 1959 sul “Programma comunista”.
“Il comunismo nella sua prima forma è soltanto la generalizzazione, e quindi il compimento (dialetticamente, il conato di
soppressione si converte in completo sviluppo) della proprietà
privata. A questo titolo (quel
comunismo) si presenta in una duplice forma. Anzitutto, la
dominazione della proprietà privata è ai suoi occhi così tremenda, che esso
vuole annientare tutto ciò che non può essere posseduto da tutti come proprietà privata. Poiché per esso il
possesso fisico immediato (sciogliamo la
nostra riserva: nel comunismo propriamente detto l'uomo consegue tutte le
facoltà e soddisfazioni, non per attribuzione individua immediata, ma mediata, traverso il "salto" della persona "privata" alla
umanità comunista) ha il valore di scopo unico della vita e
dell'esistenza, l'attività determinata degli operai (leggi
manuali) non viene soppressa (come nella società non salariale soltanto potrà
essere) ma estesa a tutti gli uomini”.
L’ampia citazione soprastante (doppia! - di Marx
e tra parentesi tonda di Bordiga) è tratta dagli “Appunti sui Manoscritti del
1844” del 1959. In sostanza il comunismo “rozzo” si trova a coincidere con il primo
passo del socialismo cioè la proprietà statale dei mezzi di produzione, in cui
consiste il primo e unico passo compiuto storicamente dalla “rozzezza
sovietica” e dalle altre posteriori rozzezze ispirate e in una certa maniera somiglianti.
Il chiosatore Amadeo spiega: “Nella società
descritta nel nostro programma rivoluzionario il lavoro pagato, la proprietà,
il capitale non devono essere resi comuni, ma soppressi, scomparsi. Chi non
capisce questo è comunista rozzo; ma oggi è uno che tenta di girare la ruota
all'indietro”.
Nella “Critica del programma di Gotha” del 1875 Marx, senza più adoperare l’espressione giovanile e datata
del comunismo rozzo (oppure volgare oppure grossolano), individuava due tappe del
trapasso dal capitalismo al comunismo e, nel corso della prima, la proprietà
privata veniva sostituita dalla statale – provvisoriamente - in attesa che
maturi la seconda fase. Quanto provvisoriamente si può ancora oggi constatare.
Ora, tornando indietro al Marx dei Manoscritti
del ’44 abbina il rozzo comunismo e la “comunanza delle donne”:
“Infine tale movimento che
consiste nell’opporre la proprietà privata generale alla proprietà privata, si
esprime in una forma animale come la seguente: al matrimonio (che è
indubbiamente una forma di proprietà privata esclusiva) si contrappone
la comunanza delle donne, dove la donna diventa proprietà della comunità,
una proprietà comune. Si può dire che questa idea della comunanza
delle donne è il mistero rivelato di questo comunismo ancor
rozzo e materiale. Allo stesso modo che la donna passa dal matrimonio alla
prostituzione generale, così l’intero mondo della ricchezza, cioè dell’essenza
oggettiva dell’uomo, passa dal rapporto di matrimonio esclusivo col
proprietario privato al rapporto di prostituzione generale con la comunità.
Nel rapporto con la donna, in quanto essa è la preda e la
serva del piacere della comunità, si esprime l’infinita degradazione in cui
vive l’uomo per se stesso: infatti il segreto di
questo rapporto ha la sua espressione inequivocabile,
decisa, manifesta, scoperta, nel rapporto del maschio con
la femmina e nel modo in cui viene inteso il rapporto immediato e naturale della
specie. Il rapporto immediato, naturale, necessario dell’uomo con l’uomo è
il rapporto del maschio con la femmina. In questo
rapporto naturale della specie il rapporto dell’uomo con la natura è
immediatamente il rapporto dell’uomo con l’uomo, allo stesso modo che il
rapporto con l’uomo è immediatamente il rapporto dell’uomo con la natura, cioè
la sua propria determinazione naturale”.
Il noto commentatore Bordiga annota:
“Noi vorremmo, abolendo la vostra forma di rapporto
tra i due sessi, la famiglia monogama (certo che lo vogliamo, sarà risposto,
anche nel nostro programma scientificamente marxista) fondare la universale
fornicazione? Siete voi borghesi che avete fatto questo, in alto (vedi crociere
di miliardari) scambiandovi le donne come le sigarette di marca tra smaliziati
sorrisi, rendendo in basso venale ogni donna e ogni rapporto di amore e oggettivizzando socialmente tutta la mezza umanità
che è di sesso femminile, e che l'infamia proprietaria opprime nel senso attivo
e in quello passivo. La società di proprietà privata è alienazione dell'uomo in
ambo i sessi ed è doppiamente alienazione nel sesso femminile”.
Marx pare essere contrario alla
“comunanza delle donne” e la chiama “prostituzione generale della ricchezza con
la comunità”, ovvero il ritorno in chiave sessuale della già avversata
“proprietà di tutto il popolo”. E Bordiga negli “Appunti…” si premura di informare
gli inevitabili “pivelli”, suoi lettori, che nella radiosa società comunista chi,
“per reciproca intesa”, lo vorrà, potrà mantenere perfino un esclusivo rapporto
di coppia: non sarà usata la “forza bruta” o la corruzione per separare gli amanti
monogami. Chissà che potrebbero pensare i pivelli…
Nel “Manifesto del partito comunista” del
1848, Marx ed Engels ritornarono
sulla questione sessuo-familiare. “È ridicolo lo
sdegno altamente morale dei nostri borghesi per la presunta comunanza ufficiale
delle donne, dei comunisti”. Dunque sono i borghesi a praticare la comunanza
delle donne attraverso lo sfruttamento del corpo e del tempo del proletariato
femminile, la prostituzione e la seduzione reciproca delle loro stesse mogli. “Tutt’al
più si potrebbe rinfacciare ai comunisti che essi, al posto di una comunanza
delle mogli ipocritamente occultata, vogliono instaurarne una ufficiale,
palese”.
Scrivevano in tal modo i due, ma allora come
la mettiamo con lo sdegno “ridicolo” per la “presunta comunanza”?
In “Le donne come bene comune” Luciano
Canfora invita a distinguere, leggermente imbarazzato per “l’incrinatura del
ragionamento” dei padri fondatori, due comunanze: una positiva, buona, comunista,
e una negativa, cattiva, borghese, allo scopo di evitare la singolare
contraddizione che era emersa nel testo più celebre e diffuso del marxismo.
Nel proseguo del discorso Canfora rintraccia
l’origine della buona comunanza nel quinto libro della “Repubblica”di Platone; un’idea apprezzata,
prima di Marx, da Tommaso Campanella (altrimenti
detto Settimontano Squilla) nella “Città del Sole”. Insomma
l’autore del Manifesto, nel baule dei libri scolastici, va a cercare per la
società del futuro un modello “arcaico e arretrato”, una antiquata fantasticheria
filosofica quando invece aveva sottomano le ardenti e meno stagionate fantasie
di Fourier (forse non le stimava abbastanza nonostante tutto) – sostiene
Canfora.
Lo storico italiano ci ha preso gusto ormai e
si diverte un pochetto a bacchettare il tedesco caricando il punto di vista “dispoticamente
maschile” insito nella “comunanza delle donne”, con tanto di reificazione e mercificazione
di metà del genere umano.
Già Aristofane aveva dileggiato Platone e la
sua Repubblica in “Le donne all’assemblea popolare”. Nella commedia, Prassagora, la protagonista del rivolgimento comunista
femminile, stabilisce le regole, femminili, del comunismo ateniese. Dopo avere
messo in comune le terre e il denaro arriva il momento cruciale del comunismo
sessuale: saranno le donne a scegliere gli uomini, e per prime le vecchie con
diritto di prelazione su tutte le altre. Una situazione del tipo: Caro il mio
belloccio ti piacerebbe andare con quella lì giovane fresca allegra e bella, ma
prima andrai con noi vecchiette, simpatiche, si fa per dire, e brutte e laide,
questo sì è proprio vero! La comunanza delle donne si rovescia democraticamente
nella comunanza dei maschi.
Aristofane sapeva che Prassagora
sarebbe servita a smascherare il maschilismo degli utopisti presenti e futuri?
Cioè che la commedia è capace di smontare le più superbe congetture filosofiche?
Che l’utopia dovrebbe guardarsi le spalle dall’ironia salace del commediografo come
dal suo più insidioso nemico? Sì, lo sapeva.
D’altronde non è difficile intuire perché Marx non abbia utilizzato le fantasie de “Il nuovo mondo
industriale e societario” o delle altre opere di Fourier, ma si sia servito
delle reminiscenze scolastiche di Platone. Quelle erano senz’altro più docili e
soprattutto lontane nel tempo in confronto al pensiero (e alla
pratica) fourierista che terminava di essere pubblicato proprio nel 1848.
Nel 1856 usciva postumo un libretto dal titolo “Elenco analitico dei cornuti”.
Un’operetta che Fourier non portò a termine ma che lo accompagnò a lungo, per
decenni. Il che dimostra con quanta convinzione il socialista sostenesse che
l’infedeltà sia costitutiva della natura degli esseri umani. E che
l’unica soluzione sia l’amore libero, il libertinaggio assoluto, maschile e
femminile. Tuttavia nei pochi falansteri attivati dai suoi seguaci
successivamente alla morte del loro ideatore proprio il rinnovamento sessuale
fu l’elemento più trascurato di quelli fantasticati dall’utopista. Comunque in
generale i Falansteri ebbero vita breve e travagliata.
Bordiga non ha osato spingersi più in là di Marx a proposito del comunismo sessuale. Stalin sì, ma in
direzione contraria, e nel 1933 rende l’omosessualità maschile un crimine
punibile fino a cinque anni di lavori forzati.
In precedenza e privatamente Engels si era espresso sulla antica pederastia greca parlando
di “pratica abominevole della sodomia”.
Il miraggio della comunanza delle donne e
dell’amore libero si tradusse nei primi anni di vita dell’Unione Sovietica in
un vertiginoso aumento dei divorzi (nel 1927 una coppia su quattro aveva
divorziato).
Le donne che ricevevano qualche forma di
sostegno economico da parte degli ex mariti, in quegli anni travagliati, erano
drammaticamente poche, nel 1926 solo 12.000 su 530.000 divorziate.
Rino Cammilleri in
un articolo pubblicato sul “Giornale” alcuni anni fa ricorda che in Unione
Sovietica erano stati istituiti nelle città dei “Commissariati del libero amore”.
Pare che a Saratov si fosse arrivati a obbligare tutte le cittadine tra i 17 e
i 30 anni, anche sposate, a darsi ai cittadini su semplice richiesta. Ma vi erano
anche milioni di bambini di strada, abbandonati dai genitori.
Nel 1936 la situazione fu “normalizzata” da
Stalin con una serie di provvedimenti restrittivi, uno dei quali proibì l’aborto.
In quell’anno Wilhelm Reich pubblicava “La
rivoluzione sessuale”, che faceva seguito ad altre opere come “La funzione
dell’orgasmo” del 1927, “La psicologia di massa del fascismo” del 1933 e altre.
In “Contact With
Space” del 1957 (anno della sua morte) Reich invece raccontava del suo incontro-scontro
con gli extraterrestri del dicembre 1954. E si chiedeva se non poteva darsi il
caso che egli appartenesse “a una nuova razza terrestre generata dall’amplesso fra
esseri provenienti dallo spazio esterno e donne terrestri”. Allora i suoi figli
sarebbero stati i discendenti di una prima razza interplanetaria. In questo
senso Reich era marxiano.