Jean Montalbano
Coltrane
Supremo
Datogli atto di aver resistito, da solido
presbiteriano, ai richiami musulmani che
spossessarono persino del loro nome molti suoi colleghi, va comunque registrato
che in questi tempi nemmeno la chiesa di Saint John Coltrane gode buona salute.
Buona stampa, sì: diventato col passare degli anni opera che fa l’unanimità,
vertice lirico e geometrico del maestoso quartetto coltraniano - si riascolti
solo in Psalm la “lettura” della poesia stampata
dal leader in copertina - e classico long seller tout court, anche A love supreme ( ed. orig. Impulse, 1965) subisce
quel trattamento de luxe che, liberandolo da qualsiasi pur elastica
etichetta, lo affianca in una collana di ristampe ai sacri testi dei Velvets o
M. Gaye: quasi a perfezionare la preveggente strategia che fin da allora
considerò il sassofonista destinato a conquistare un’audience bianca, giovane e
interculturalista in grado di rilevare
un pubblico nero nazionalista, più maturo ma
restio a seguirne le successive sbandate free. Occasione di un ulteriore miglioramento nel trasfer digitale
è la scoperta di un master londinese fin qui sfuggito ai devoti archivisti:
adesso la mezz’ora abbondante della suite in quattro parti, consegnata di getto
alla storia nel dicembre del 1964, viene accolta nel canone disordinato di una
certa cultura sixties accanto ad altre impurità giovanilistiche e può
esserne rimarcata, con dovizia di testimonianze ed a mitigarne troppo ferventi
letture mistiche, la gestazione tra “piatti sporchi e pannolini”. Ashley Kahn
nel libretto di accompagnamento riassume quanto più distesamente ha riportato
nel suo A Love Supreme: The creation of John
Coltrane’s classic album senza onestamente poter esaltare
più di tanto le novità che proprio questa riedizione in doppio cd strilla in
copertina: i due takes di Aknowledgement con Archie Shepp che sembrano
frenare la corsa implacabile eppur tranquilla del quartetto e la resa live
di Antibes (luglio 1965) davanti ad un parterre di madame festivaliere
assediate da fedeli hardcore, le prime a spiare l’attimo propizio per
elegantemente defilarsi con le avvisaglie free, i secondi, insaziabili, a
chiederne ancora ( e ci avrebbero pensato Ayler, l’Art Ensemble e la diaspora
enragée, sostenuta dal fiorire di nuove labels, a sfamarli; ma questa è
un’altra storia: vedi Comolli).