Pubblicato a metà del
settecento (fra le carte dell’”Accademia di Nancy”) questo “elogio” del
clistere ricorda l’epoca di
quell’esprit che nulla lasciava
fuori dalla sua misura, non dovendo contrapporsi, per testimoniare di essere
ancora vivo, ad alcuna potenza oltreoceanica. Se ne dà qui una traduzione
omettendone in parte i paragrafi finali
riservati a obiezioni e risposte.
(…)
elogio
burlesco della siringa:
sua origine, storia, trasformazione con un nuovo progetto per
perfezionarla
Signori,
Se chi per primo diede i nomi alle cose, e assegnò loro le qualità,
avesse conferito importanza, nobiltà e considerazione a ciò che è utile, non
dovrei oggi difendere uno strumento meraviglioso dall’ignoranza dei nostri
giudizi e dall’ingiustizia del disprezzo che lo hanno relegato,
vergognosamente, nell’oscurità degli armadi, tra tutti quegli aggeggi ignobili
che la buona creanza ordina di nascondere e la delicatezza vieta di nominare.
Oh frivolezza dello spirito umano ! l’asino, questo stupido animale;
l’ebrietà, tomba della ragione; l’ozio, la follia stessa, hanno trovato degli
apologeti; e la siringa non ha ancora uno storico. Chi ha scoperto la
pesantezza dell’aria, chi l’ ha calcolata, chi ha analizzato la luce, chi ne ha
misurato la velocità, e tanti altri inutili speculatori, tutti hanno degli
altari, e chi inventò la siringa è ignoto !…
Vano rimpianto, Signori, non potremmo resuscitare un nome che avremmo
potuto immortalare. Vi dirò quante forme assume questo ammirevole congegno che
allevia i bisogni o aumenta i piaceri. Portando con fiducia nelle viscere un
liquido lenitivo, una volta calma la tempesta che venti tumultuosi vi
scatenano; un’altra allevia i terribili dolori causati da un calcoletto
omicida; o ancora, servo della civetteria, e ridando il giusto colore ad un
volto acceso dal gioco, dalla danza o dalle feste, procura ad un’ambiziosa
bellezza i mezzi per volare senza riposo verso nuove conquiste. Qui, stimolando
pigri muscoli, riesce a svegliare una natura languente e a gettare uno scomodo
fardello che col suo importuno soggiorno cominciava a perturbare il sistema
dell’economia animale. Là, in un clima acceso, con l’industriosa imitazione,
serve a soddisfare i bisogni di un temperamento focoso, vendicare un sesso
della debolezza dell’altro, insultando la solitudine in cui è tenuto. Ovunque,
accomodandosi ai nostri gusti, fornisce alle tavole dei cibi delicati, che
rallegrando occhi e palato, ispirano alla gaiezza del bello spirito qualche
motto scoppiettante. Ora, tra le mani di un incorreggibile furbetto e che
nasconde il tradimento sotto il candore giovanile, rapido come il lampo,
spaventa il passante e turba la pubblica sicurezza. Ora, sotto forma mostruosa,
e sotto figura di un getto d’acqua enorme ed ambulante, diverte un popolo
imbelle, rinfrescando le nostre strade; o soccorre un borghese disperato,
fermando un incendio che minacciava una città intera. Insomma, Signori, non
finirei mai, se volessi descrivere tutte le forme singolari e variate, a
seconda dei piaceri e bisogni, che questa macchina compiacente assume. Tutte le
parti del corpo, tutte le condizioni, tutte le età ne provano ogni giorno il
benefico soccorso. Come l’aratro, un dio, senza dubbio, è sceso in terra per
farne dono agli uomini.
Adesso vorrei risalire all’origine di quest’ incomparabile strumento,
raccontare le tappe con cui è giunto allo stato odierno, e proporvi
un’invenzione che soddisfa tutte le condizioni che si desiderano e che da tanto
si cercano. Vienimi in aiuto, sublime Rabelais, ispirami la tua energia, la tua
allegria; ma perdonami se rifiuto la tua indecenza.
Ai bordi del Nilo, vive un uccello di media grandezza; ha le ali corte,
il piumaggio dorsale scuro e quello del ventre bianco; le zampe sono rosse, il
becco è lungo sette pollici, il collo un piede. Questo animale, quando il
bisogno lo spinge, quando l’istinto l’avvisa, riempie d’acqua il becco,
l’introduce nell’opposto orifizio, e si procura da sé ciò che chiamiamo un
clistere, o un lavativo.
L’uomo, sempre disgustato da quanto possiede, e desideroso di quanto
non ha, invidiò un organo così acconcio, e cercò a lungo i mezzi per supplirvi.
Il primo passo della sua industria fu d’imitare fedelmente il suo modello. Un
operatore prendeva in bocca tutto il liquido composto che poteva contenere, e
dopo averlo conservato abbastanza tempo perché assumesse una temperatura uguale
al calore animale, lo soffiava con una cannuccia nel corpo del malato. Tale
operazione, per quanto appaia facile a prima vista, esigeva tuttavia dalle
attenzioni molto delicate. Occorreva che l’operatore si fosse istruito con
frequente esercizio nell’arte di trattenere il respiro, per timore che dopo
aver svuotato polmoni e bocca espirando il liquido, non lo pompasse di nuovo
con un movimento involontario, e non lo riprendesse tutto indietro respirando
controtempo. Bisognava poi che corpo contro corpo, faccia a faccia, testa in
avanti, collo disteso, i muscoli del petto e del viso contratti, gli occhi
chiusi, e turandosi il naso, per prevenire il rapporto di questi sensi ed ogni
sgradevole sensazione, facesse passare mediante un cannello, il liquido
composto dalla bocca nelle viscere del malato; bisognava infine che, senza
fiato, egli riprendesse la stessa operazione fino a che non avesse iniettato la
quantità di rimedio prescritta: questa fu l’infanzia dell’arte! Come le
famiglie più illustri, i fiumi più superbi, gli stati più orgogliosi, lo
sapete, Signori, le più sublimi invenzioni hanno avuto umili cominciamenti.
Presto, tanto l’umana industria è fertile ! si applicò alle stesse parti, ma per
un uso differente, la teoria dei cannelli. Per ristabilire il tono e l’armonia
degli intestini guastati dalla violenza dei venti sediziosi, s’immaginò di
precipitarne l’uscita, pompandoli con la bocca, per interposizione di una
penna. In tal modo, accarezzandoli, per così dire, e lusingando quei nemici
interni, li si attirava con dolcezza facendoli uscire tranquillamente da un
luogo reso desolato dalla loro insubordinazione.
La maniera di amministrare la lavanda che ho testè descritto, per
quanto sia ributtante, durò a lungo; e tale grossolana imitazione è ancora oggi
praticata dalle donne di Sestos. Ma altrove si pensò di sopprimere l’intervento
della bocca e sostituirgli una vescica piena di soluzione preparata, cui si
adatta una cannuccia di giusta grandezza e resistenza proporzionata alla
difficoltà dell’introduzione. Stringendo la vescica tra le mani, l’operatore
forniva con meno fatica e ripugnanza, e il malato riceveva con più
soddisfazione, e sollievo, e d’un sol tratto, un’irrigazione deliziosa ed abbondante.
Ci si contentava di questa pratica più ingegnosa della prima, ma ancora
parecchio imperfetta e lontana dalla siringa che conosciamo, quando, nell’anno
1370, prima che gli Apotecari si annettessero il regno dei clisteri, un
chirurgo inglese inventò una macchina tanto comoda per l’amministrazione di
quei rimedi, a detta del celebre Freind, che non ha potuto impedirsi di dire
nella sua Storia della medicina che nessuno poteva enumerarne tutti i
vantaggi. Tuttavia, fosse disgrazia o intenzione, avarizia oppure odio
dell’umanità, l’autore ha portato con sé il segreto del suo strumento; ed i
suoi contemporanei, per disprezzo della macchina o vendetta verso l’autore e
punizione dei suoi sentimenti, non hanno giudicato opportuno conservarne il
nome. Perisca pure, Signori, la memoria di coloro che, come lui, meno sensibili
alla gloria che all’interesse, portano nella tomba scoperte utili alla
conservazione della nostra specie!
Finalmente, Signori (quanto i progressi dello spirito umano sono lenti!
Se cammina simile a un vegliardo caduco, avanza per così dire zoppicando)
finalmente, dicevo, solo al principio del secolo scorso si trovò in Francia, o
forse si resuscitò soltanto la siringa che sto per descrivervi, e che chiamerò
comune, per distinguerla da un’altra più complessa su cui presto m’onorerò
d’intrattenervi.
La comune siringa è composta da un cilindro di stagno, vuoto al cui
fondo v’è un tubo molto più corto e piccolo. Quando si vuole intervenire, si
riempie il cilindro con un liquido preparato secondo il bisogno a cui lo si
destina, poi s’introduce il tubicino e con un pistone che chiude ermeticamente
la capacità del cilindro, si spinge il liquido che esce con forza proporzionata
all’angustia dell’apertura, alla fluidità del liquido e alla pressione esercitata.
Figuratevi, Signori, con quale gioia, quale eccitazione, quale riconoscenza fu
accolta tale scoperta! Subito la si applicò ad ogni sorta di bisogni, di
salute, di igiene, di piacere; si fecero grandi siringhe, e poi piccole,
lunghe, corte, dritte, curve; se ne fecero per il naso, gli occhi, le orecchie,
l’esofago, per curar piaghe; ora rilasciano il liquido con un getto unico, ora
a mo’ di annaffiatoio.
Non mi spingerò, da spietato
dissertatore, esaurendone i vari tipi e facendovi immaginare mille disgustosi
oggetti, a caricarvi di descrizioni e schemi che potrebbero ferire la vostra
delicatezza. Pazientate tuttavia se, per l’intelligenza di quanto ho da dirvi,
vi rappresento la maniera in cui un clistere è applicato e ricevuto. Dei due
attori solitamente necessari all’operazione, l’uno paziente, in una postura
sconveniente, attende rassegnato la fine dell’operazione; e l’altro, agente, in
umile atteggiamento, cerca nell’oscurità, a tentoni, l’orifizio simile ad un
punto, attraverso cui occorre indispensabilmente introdurre la pozione
farmaceutica.
Quante volte, gentil sesso, la vostra innocenza allarmata, temendo
l’indiscrezione di una mano temeraria e libertina, o qualche attentato nascosto
dal pretesto dell’errore, ha rifiutato la salute offertavi da un operatore che
spaventava la vostra modestia? Quante volte, a rischio della vostra bellezza e
forse dei vostri giorni, non avete preferito una mano più ignorante, ma meno
sospetta, oppure rifiutato nettamente un rimedio che esigeva un sacrificio tanto
forte del vostro pudore? Ma cosa non può quell’ingegnoso pudore sullo spirito
di una donna? Più illuminato del vizio
nella scelta, ma ancora più costante nell’applicazione dei mezzi, esso immaginò
l’impiego di un modello di parrucchino per chierica che, nascondendo quel che
non si mostra senza vergogna, prescrivesse all’agente un percorso necessario,
da cui non poteva scartare; e gli imponesse l’obbligo d’esser saggio,
confinandone lo strumento nella circonferenza della tonsura. In tal modo, la
modestia vittoriosa, indicando all’operatore la strada da seguire, gli toglieva
al contempo la volontà, il mezzo e la tentazione di smarrirsi. Ugualmente,
Signori, per difendere i nostri giardini dall’appetito del passante
malintenzionato, alziamo un muro che sottraendo alla vista i fiori e i frutti,
risparmi al suo cuore il pericolo di esserne sedotto e alla mano il crimine del
furto. Lo stesso nei boschi dove, abusando della fiducia degli animali, apriamo
loro un perfido sentiero, per spingerli mediante un più facile percorso, in una
trappola dove, malgrado la loro velocità, la prontezza delle ali e la forza dei
denti, essi trovano una morte inevitabile. Tuttavia la parrucca per tonsura
malgrado la sagacità dell’invenzione era soggetta a diversi inconvenienti. Essendo
traslata dall’uso della parte corporea più nobile a quella che lo è di meno, ma
soprattutto essendo caratteristica dei preti, essa dava un’aria mistica ad una
bisogna assolutamente profana, e un’aria profana a cerimonie del tutto
rispettabili; il che poteva scandalizzare gli spiriti deboli e fornire ai forti
materia abbondante per scherzi. D’altra parte poteva spostarsi e sviare di
conseguenza, ben lungi dal guidarlo, l’operatore. Infine, la via lasciata
scoperta dalla tonsura, non era abbastanza stretta da essere infallibile; e
aprendo allo strumento uno spazio operativo troppo vasto, essa lasciava
sussistere tutti i pressappoco, non risparmiando al paziente il fastidio
e la lungaggine di svariati disagevoli brancolamenti. Così, con le riflessioni
suggerite dal tempo e dall’esperienza, la nostra macchina marciava a grandi
passi verso il perfezionamento. E’al nostro secolo, Signori, a questa età tanto
delicata nella scelta delle voluttà, tanto severa verso le leggerezze, così
attenta alla decenza, così distinta nel lusso ingegnoso e raffinato, che
dobbiamo tale scoperta incomparabile. E’ nei giorni nostri che è nato
l’adorabile mortale che, con una piccola aggiunta alla macchina, rendendo il
malato agente e paziente allo stesso tempo, ha trovato il mezzo per sopprimere
ogni confidente dell’operazione ed ogni operatore estraneo al malato.
Mi permettete, Signori, di descrivervi con chiarezza i particolari
dello strumento, semplice quanto meraviglioso? Già ho avuto l’onore di dirvi
che, nelle comuni siringhe, il liquido esce da un tubicino applicato
all’estremità del cilindro: nella macchina in esame, tale tubo è prolungato in
una linea retta di otto o dieci pollici a formare col cilindro un angolo retto;
collegato con una lama di stagno più larga, al fine di mantenere la macchina in
posizione perpendicolare all’orizzonte, si diparte un altro tubicino che taglia
il precedente ad angolo retto e che è simile al regolatore del getto d’acqua,
guarnito all’estremità da un pulsante, e verso il centro da una specie di
padellina che gli impedisce di offendere le viscere spingendosi troppo in
avanti. Per servirsi della macchina, si riempie il cilindro di liquido, in
seguito, posto il lato largo su una superficie piana, il malato sedendosi sulla
padellina introduce da sé il tubicino, schiaccia il pistone che si trova
davanti e a portata di mano, e presto il liquido, qua date, porta ruit, passa
tra le sue gambe e seguendo un labirinto oscuro, discende, sale, scorre e porta
il suo benefico sollievo nel corpo stesso del paziente.
Dove credete, Signori, che sia stato inventato questo ammirevole
strumento? All’estremo di questa provincia, in Lorena, nell’asilo consacrato
alla pietà e destinato alla nobiltà, a Remiremont, dove, in veste devota, il
gentil sesso rende a Dio un omaggio periodico e ne canta le lodi in una
sapiente lingua.
Eppure, posso dirlo senza vanità, mi pare che il divino autore di tale
incomparabile macchina avrebbe potuto facilmente raggiungere un grado superiore
di perfezione. In effetti, è evidente che per fare uscire il liquido dal
cilindro, occorre che il malato, a braccia distese e in una posizione che ne
indebolisce le forze, impieghi una qualche potenza che spesso, soprattutto
nelle donne, può essere inferiore o appena uguale, alla resistenza da superare.
Restiamo a queste due supposizioni e scartiamo le altre. Nel primo caso, è
chiaro che la macchina diventa inutile e che il malato obbligato a soccorso di
un agente esterno, ricade nell’oceano degli inconvenienti di cui ho prima
parlato. Nel secondo caso, con la potenza uguale o quasi alla resistenza da
superare, il malato comincerà, è vero, l’operazione; ma, poiché da un lato la
sua forza diminuisce per gli sforzi effettuati, e dall’altro la resistenza
cresce con la difficoltà trovata dall’acqua nel defluire in un luogo dove è già
tutto colmo, ne risulta una lotta che presto termina a causa della debolezza
dell’operatore; di modo che, lasciando il pistone per riposare il braccio
affaticato, il liquido ritorna da dove è partito: E se il malato vuol ricominciare,
trovando ancora gli stessi ostacoli, ne consegue sempre l’identico effetto; e
di conseguenza, un flusso e riflusso del liquido che transita senza posa dal
cilindro nelle viscere, e da queste nel cilindro.
Si potrebbero, in verità,
prevenire in parte tali inconvenienti aggiungendo all’interno di uno dei due
tubicini, una valvola che, dopo il passaggio del rimedio, gli impedirebbe di
rifluire; e che, in tal modo, dando al malato il tempo di riposarsi e di
raccogliere le forze, potrebbe condurlo verso la fine laboriosa della bisogna.
Ma questo dispositivo, difficile da inserire, renderebbe al primo spostamento
inutilizzabile la macchina; d’altra parte un’operazione che andasse per le
lunghe, aumenterebbe il disgusto verso il rimedio prolungando il disagio del
paziente: infine, crescendo la difficoltà, come si è detto, mano a mano che
l’operazione avanza, ne consegue che avendo cominciato, secondo la
supposizione, con forze pressappoco uguali alla resistenza, esse diverrebbero
necessariamente inferiori prima della fine. Perlomeno accadrebbe che, uscendo
il malato da tale penosa operazione più riscaldato dai suoi molteplici sforzi
che rinfrescato dal rimedio, ben lungi dal diminuire, il suo bisogno
aumenterebbe. La siringa al suo ultimo stadio è perciò, in molti casi, soggetta
ad inconvenienti; ma senza alcun cambiamento essenziale nella macchina, li farò
scomparire con un mezzo tanto semplice da stupirmi che nessuno vi abbia mai
pensato.
E’ incontestabile che per il gioco della siringa basti applicare al pistone
una forza che agisca perpendicolarmente e che sia sufficiente per superare
l’inerzia del liquido, la resistenza delle viscere e l’attrito del pistone.
Ora, un peso che gli sarà applicato, e che sarà determinato secondo il facile
calcolo di tutte queste supposizioni, o che la minima prova farà conoscere in
maniera anche più certa e rapida, soddisferà evidentemente a tali requisiti.
Ma, osserverà
subito qualcuno, se il malato è abbastanza forte da piazzare quel peso, non gli
è più necessario; e, applicando la sua forza al pistone stesso, giungerà per
una via più breve all’obbiettivo mirato; se, al contrario, non dispone di
potenza sufficiente per far funzionare la macchina, non ne avrà nemmeno per
interporre il peso: di conseguenza, essendo obbligato a chiamare, in questa
fase, un soccorso altrove, non costerà di più alla sua modestia impiegare per
l’intera operazione la vecchia siringa, e poiché un confidente è necessario, è
inutile ricorrere, senza vantaggio alcuno, ad una macchina complicata, quando
una più semplice basta.
Rispondo: 1°Che si potrebbe dividere il peso in piccole parti
proporzionate alla debolezza del malato che, avendole a portata di mano, per
addizione successiva, le accumulerebbe fino ad ottenere l’effetto desiderato.
Similmente, un padre mostrò ai figli che si poteva rompere in dettaglio
un ? che non si sarebbe potuto rompere in pezzi grossi. Ma per eliminare ogni
difficoltà e prevenire dubbi e repliche, prevedo che il peso sia interno alla
macchina, e al fine di non guastarne l’eleganza, converrà riempire il pistone
di una quantità di piombo sufficiente e combinata secondo la misura dei
risultati trovati col calcolo o con l’esperienza; si aggiungerà poi alla parte
superiore del cilindro un piccolo ?, simile a quello di una ? di fucile, che
innestandosi nel pistone, sospenderà l’azione del peso e che, cedendo al minimo
sforzo, gli restituirà potenza e pesantezza. Così, fatta preparare la macchina
da un robusto domestico, il malato, steso in posizione adatta a ricevere il
rimedio, presserà la molla che, obbedendo al minimo movimento, renderà al peso
la facoltà d’agire, e subito il pistone, cadendo in virtù della gravità,
spingerà il liquido che, fuoriuscendo per dove la resistenza è minore, entrerà
nel corpo del malato estasiato.
…
Tutto quanto ho esposto, Signori, è fondato su calcoli che ripeterò
quando lo riterrete opportuno, ma che, essendo lunghi e laboriosi, ho voluto
risparmiare a questa brillante assemblea. Vedete, Signori, che non ho esagerato
gli inconvenienti di una vecchia macchina per mettere in miglior luce la nuova
(…) diffidando tuttavia dei miei lumi, e in guardia contro la seduzione
dell’amor proprio, espongo fiducioso la mia opera alla vostra critica
attendendo umilmente il vostro giudizio per decidere il mio. Sta a voi,
Signori, pronunciarvi senza remore in merito alla novità che ho l’onore di
presentarvi.