CarloRomano
delli volgari proverbi
Negli ultimi giorni del gennaio 1527 si comunicò ad Alvise Cinzio
Fabrizi che il suo Libro della origine delli volgari proverbi sarebbe
stato sottoposto a censura. All’autore non restò che sottomettersi
all’ingiunzione di modificare parte del testo mentre i volumi stampati
sarebbero stati posti a sequestro. Il Fabrizi mobilitò a questo punto le sue
amicizie e ottenne l’appoggio di Pietro Bembo, il letterato che facendo
confluire nel terzo volume delle sue Prose della volgar lingua diverse
annotazioni sulle regole della scrittura, avviò di fatto la grammatica
italiana. Con le suppliche del Fabrizi - che si dichiarava malato e non in
grado di far fronte ai debiti - e le lagnanze degli stampatori - non ancora
pagati - si ottenne alla fine l’effetto della restituzione dei volumi, senza
che si facesse cenno a tagli e correzioni, così da pensare che dopotutto il
libro non apparisse particolarmente empio ai censori, come all’inizio avevano
supposto essere su istigazione dei frati minori del convento di San Francesco
della Vigna, offesi principalmente dal contenuto di un capitolo (pare che fra
l’autore e detti “zoccolanti” già intercorressero ruggini di origine
economica). Le ragioni di salute addotte dal non più giovane Fabrizi dovevano
essere fondate, tanto che a quanto pare un paio d’anni dopo la vicenda morì,
ancorché non si conosca la data precisa del trapasso. ù
I capitoli del libro incriminato, ognuno realizzato in tre cantiche,
erano, come si direbbe oggi, la sceneggiatura di 45 proverbi e modi di dire
tipo “chi pecora si fa lo lupo la mangia”, “passato il tempo che Berta filava”,
“la necessità non ha legge”, “guastando s’impara”, “perfino li orbi se ne
accorgeriano”. In altre parole, il Fabrizi aveva messo in poesia delle storie
che dovevano, con un qualche sarcasmo, esemplificarne la morale. L’intenzione
comica e satirica era del resto ammessa nella Prefatione. Le cantiche
risultate indigeste ai frati – ma di chierici infidi e lussuriosi abbonda il
libro - erano quelle di commento soprattutto a “ciascun tira l’acqua al proprio
mulino”. Vi si racconta di un frate che in confessionale soggioga una bigotta
convincendola a inviargli denaro e cesti di leccornìe. Un altro religioso, fra
l’altro, si dice ridotto alla fame tanto da far bollire un sasso per ricavarne
un improponibile brodo, cosicché mossi a pietà i malcapitati lo invitano in
casa finendo poi derubati.
Seppure in conclusione gli stampatori l’ebbero vinta, della vera sorte
del libro del Fabrizi si sa niente. L’ipotesi è che le copie finissero in gran
numero al macero. Certamente dei singoli amatori ne acquisirono degli
esemplari, e di questi ormai ne sono noti assai pochi. Un secolo fa si cercò di
censirli e non si superò la dozzina. Quelli oggi accessibili agli studiosi sono
due: uno conservato alla Biblioteca Trivulziana di Milano e l’altro alla
Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, il quale è di particolare interesse,
dal momento che tiene legati assieme al testo a stampa alcuni manoscritti di
Alvise Cinzio Fabrizi. Nel corso dei secoli, fra gli eruditi, non mancarono
tuttavia i commentatori, in genere per deprecare il contenuto del libro e con
esso la piega intrisa di veleni e corti depravate attraverso la quale i
perbenisti guardavano al Rinascimento. Anche Benedetto Croce stentò a
riconoscere nel libro qualcosa di buono, debole, a suo dire, di pensiero.
Viceversa, uno stimatore del Fabrizi fu nell’Ottocento quel geniaccio, è il
caso di dire, di Vittorio Imbriani, lo scolaro di De Sanctis, apprendista
hegeliano a Berlino, cui si deve, fra l’altro, Dio ne scampi dagli Orsenigo,
il misogino romanzo (1876) che insieme alla satira di borghesissime “relazioni
pericolose” azzardava qualche tecnica narrativa entrata poi, nel secolo
successivo, a far parte del patrimonio delle avanguardie letterarie. Il Libro
delle origini delli volgari proverbi Imbriani volle qualificarlo non
semplicemente stupendo, ma opera “ciclopica” fra le massime, “che soltanto
pochi momenti della letteratura nostra superarono in valore ed importanza”. Lo
scrittore cercò di farla ripubblicare per intero senza riuscirvi. Dopo quasi
cinquecento anni è grazie alle edizioni Spirali che rivede finalmente la luce
(Aloyse Cynthio De Gli Fabritii, Libro delle origini delli volgari proverbi,
2007, pp. 590, € 35).
L’attuale edizione riproduce fotostaticamente anche pagine manoscritte
del Fabrizi e la lettera di un acquirente settecentesco che confessa di aver
“cercato questo libro per trent’anni” aggiungendo: “è stato bruciato
dall’inquisizione e cercato con tanta cura in quanto è pressoché introvabile.
L’ho pagato molto caro. Il pezzo che sta alla fine, scritto di proprio pugno
dall’Autore, sembra annunciare che questo esemplare gli è appartenuto” (1
maggio 1784). Curata dalla redazione di Spirali, l’edizione gode della
prefazione di Francesco Saba Sardi, altro “geniaccio”, la cui antica militanza contro
il conformismo e la sessuofobia ha compenetrato negli anni un’impagabile
attività di traduttore da varie lingue.