Pierangelo Castagneto
consoli genovesi e diplomazia americana. Il trattato tra gli Stati Uniti e il Marocco del
1786
Nel novembre del 1785 tre misteriosi stranieri, due uomini e una donna, erano giunti in Virginia suscitando l’immediata apprensione del governatore Patrick Henry. La minaccia che questo arrivo sospetto poteva rappresentare, seppur remota e improbabile, era altrettanto terribile: i tre individui potevano essere spie al soldo del Dey di Algeri. I timori di Henry, per quanto potessero sembrare poco realistici, non erano però del tutto ingiustificati.[1]
Una delle conseguenze
derivanti dalla firma del trattato di Parigi, che sancì l’indipendenza delle
tredici colonie dalla madre patria, era stata infatti la fine della protezione
per le navi mercantili americane da parte della Royal Navy e, in relazione
all’area mediterranea, dell’immunità dagli attacchi dei pirati
barbareschi. L’effetto di tale mutamento
non aveva per altro tardato a manifestarsi: nel luglio del 1785 infatti,
Algeri, su pressione britannica, aveva dichiarato guerra agli Stati Uniti e di
lì a poco aveva catturato a largo delle coste portoghesi dapprima lo schooner Maria e successivamente la nave mercantile Dauphin. I due legni americani erano stati portati ad Algeri, e i
loro equipaggi, ventun uomini in tutto, fatti prigionieri. A questo gravissimo
episodio si doveva poi aggiungere la notizia, risalente all’ottobre dell’anno
precedente, della clamorosa cattura della nave mercantile americana Betsey da parte dei pirati marocchini.[2]
Sulla stampa britannica
notizie relative a simili avvenimenti si moltiplicarono fino a far credere che
lo stesso Benjamin Franklin fosse stato catturato dai pirati e che, come veniva
riportato, con stoica
determinazione, avesse accettato la sua nuova condizione di schiavitù. John
Bannister, uomo politico della Virginia, scrivendo nel dicembre del 1785 a
Jefferson, allora ministro americano a Parigi, si lamentava del fatto che, “the
inhabitants of these states are greatly alarmed
at the ostility of the Algerines,” e che un tale stato di insicurezza
avrebbe finito per paralizzare il commercio mediterraneo. A Bannister non
sfuggiva per altro il fatto che il governo britannico, intenzionato ad
ostacolare in ogni modo il commercio americano, stesse attivamente operando per
alimentare un clima di instabilità ed incertezza.[3]
Gli Algerini, malgrado le
allarmistiche e non certo disinteressate notizie diffuse dalla stampa inglese,
non avevano però compiuto ulteriori azioni contro navi americane. Diverso era
il caso del Marocco. Nel dicembre del 1777, l’imperatore Sidi Muhammad aveva
prontamente riconosciuto l’indipendenza americana. Tuttavia, il fatto che
nessun rappresentante diplomatico fosse stato inviato per regolarizzare i
rapporti tra i due paesi aveva probabilmente indotto il sultano a lanciare un
segnale forte: da qui la cattura della nave mercantile Betsey. A questo proposito, John Page, scrivendo a Jefferson,
chiedeva se avesse corrisposto al vero il fatto che alcune richieste
dell’imperatore marocchino erano state ignorate dal Congresso o se questa
informazione non era da ritenere l’ennesima “British tale”.[4]
Anche John Adams, in quel momento a Parigi, si interessò della vicenda
chiedendo consigli a Vergennes. Il ministro francese confermò quello che era
immaginabile: Sidi Muhammad, descritto come uomo avidissimo, aveva ordinato la
cattura della Betsey perché non adeguatamente omaggiato dal
governo americano.
Ma oltre Atlantico non tutti erano disposti a piegarsi alla consueta ma non per questo meno tollerabile consuetudine accettata da molti stati europei di pagare un tributo. La posizione di Jefferson a riguardo era chiara: il virginiano non pensava infatti che comprare la pace con Algeri e le altre reggenze fosse più economico che combattere una guerra. Tale soluzione si sarebbe rivelata inefficace a breve termine, mentre “a peace thro’ the medium of war” avrebbe garantito stabilità a lungo termine oltre che prestigio per la nuova nazione sullo scenario europeo.[5] Questo approccio aggressivo aveva però una insormontabile controindicazione: gli Stati Uniti non disponevano una forza navale adeguata.
Ben conscio di questa
realtà, Jefferson prospettava allora una sorta di unione che coinvolgesse in
un’azione militare tutti quegli stati costretti a pagare tributi alle reggenze,
Spagna e Portogallo inclusi. Una tale soluzione aveva incontrato il favore di
John Paul Jones, l’eroe della marina americana durante la rivoluzione. La
recente dichiarazione di guerra di Algeri avrebbe a suo giudizio dovuto
spingere gli Americani a prendere “measures consistent with their national
honour and interest,” scuotendoli “from that ill judged security which the
intoxication of success has produced
since the Revolution.”[6]
Le opinioni di Jefferson e di Jones non erano però quelle predominati nel Congresso. Alle prese con un enorme debito di guerra che di fatto aveva portato allo smantellamento della flotta nel 1784, l’orientamento era quello di accettare trattati e tributi al fine di dirimere questioni internazionali.[7] John Adams ribadiva questa linea: non era certo una buona condotta sacrificare “a million annually in trade” piuttosto che “to save one gift of two hundred thousand pounds.” Sebbene anch’egli concordasse con Jefferson sul fatto che la “policy of Christendom has made cowards of all their saillors before the standards of Mahomet,” assai difficile sarebbe stato convincere i piantatori della Virginia o di altri stati del Sud a finanziare l’istituzione di una squadra navale destinata ad operare nel Mediterraneo.[8]
Così, quando ancora le
scorrerie piratesche non rappresentavano una seria minaccia per la flotta
americana nel Mediterraneo, il Congresso aveva scelto la linea da seguire. Una
commissione nominata nel maggio del 1784, composta da Thomas Jefferson,
Benjamin Franklin e John Adams, ricevette l’incarico di concludere trattati di
pace e di amicizia non solo con le potenze europee ma anche con le quattro
reggenze barbaresche, vale a dire, Algeri, Marocco, Tunisi, e Tripoli. Proprio
per facilitare tale compito, il Congresso autorizzò i tre ministri a nominare
agenti che operassero in loco e, a
questo scopo, venne stanziata una somma di $ 80.000.
Mentre la diplomazia
americana stava per entrare in azione, il governatore Henry era ancora alle
prese con i tre misteriosi nord africani. Rinchiusi nella prigione di Richmond,
vennero interrogati senza grossi risultati. Furono trovati in possesso di
alcuni documenti scritti in ebraico e di permessi di viaggio rilasciati in
Inghilterra che però non chiarivano il motivo della loro presenza in Virginia
rivelando per altro solo la loro provenienza, il Marocco. Fu a questo punto che
Henry, non persuaso delle dichiarate pacifiche intenzioni dei tre individui,
prese la decisione di espellerli e rimpatriarli al loro paese d’origine. Di lì
a poco, l’assemblea legislativa della Virginia, sull’onda di una crescente
psicosi xenofoba che si era diffusa nell’opinione pubblica riguardo
all’accaduto, approvò una legge che dava potere al governatore di deportare
tutti gli stranieri nativi di paesi in guerra con gli Stati Uniti presenti sul
territorio dello stato al fine di garantire la sicurezza dei cittadini della
Virginia. Questo provvedimento in
qualche modo anticipò il celebre Enemy
Aliens Act del 1798, che avrebbe concesso al presidente degli Stati Uniti
lo stesso diritto.
Fra gli obiettivi prioritari dell’azione diplomatica americana c’era quello di stabilire regolari relazioni con il Marocco, possibilmente attraverso la firma di un trattato. Le ragioni erano diverse: innanzitutto i porti atlantici marocchini potevano costituire un’enorme minaccia per i traffici americani, in secondo luogo l’imperatore Sidi Muhammad, poco amico del governo britannico, si era dimostrato ben disposto nei confronti della nuova repubblica. Al fine di verificare la disponibilità marocchina, nel giugno del 1786, i tre commissari Adams, Franklin e Jefferson inviarono Thomas Barclay, console americano in Francia, in Marocco a negoziare con l’imperatore.
In maniera del tutto inattesa, dopo solo una settimana, Barclay e Sidi Muhammad trovarono un accordo e fatto ancor più sorprendente nessun tributo fu imposto al governo americano. A contribuire alla positiva conclusione del trattato, che nel resto d’Europa fu giudicato con stupore, se non con invidia, furono due genovesi, i fratelli Giuseppe e Francesco Chiappe, che da questo momento fino al 1791, insieme ad un terzo Chiappe, Giacomo Girolamo, saranno gli unici a rappresentare il governo degli Stati Uniti presso la corte marocchina.
Insieme ai veneziani, i
genovesi, “installati nei porti del Marocco mediterraneo, a Ceuta soprattutto,”
potevano essere storicamente considerati “gli intermediari tra l’Europa e
l’Africa.”[9] Questa propensione, evidente dal XIII fino al
XV secolo, si era interrotta con la conquista spagnola e portoghese dei
maggiori porti atlantici marocchini iniziata sul finire del Quattrocento. Fu
solamente però nella seconda metà del Seicento, con la ricomposta unità
politica del regno sotto la dinastia degli Alawiti –un regno, quello
marocchino, che considerandosi di più alto rango rispetto alle altre reggenze
africane, godeva di una reale indipendenza dalla Porta, di cui riconosceva la
superiorità, e con la quale intratteneva unicamente un qualche rapporto
amichevole- che gradatamente si riavviarono relazioni commerciali con l’Europa.
Avvertita del cambiamento, la Repubblica di Genova inviò un console, Carlo
Antonio Soltrani, a Tangeri nel 1667: ma per registrare una definitiva ripresa
dei rapporti diplomatici e commerciali tra Genova e il Marocco si dovrà
attendere l’ascesa al trono, nel 1757, di Sidi Muhammad. Durante il suo lungo
regno, dal 1757 al 1790, si assistette ad una vera e propria esplosione della
diplomazia marocchina: “gli obiettivi perseguiti dal sovrano erano due:
regolarizzare la posizione internazionale del paese, che fino allora era
vissuto in uno stato si semi-ostilità con le potenze europee, concludendo con
esse formali trattati di pace; attirare in Marocco il commercio europeo.”[10]
Sulla scorta del trattato
concluso da Venezia nel 1765, qualche anno dopo, anche gli oligarchi genovesi,
una volta venuti a capo della situazione in Corsica, considerarono
l’opportunità di raggiungere un qualche accordo. Malgrado un intenso lavoro
diplomatico, e le buone reciproche disposizioni non si giunse alla conclusione
di un vero e proprio trattato fra i due stati, tuttavia accordi e concessioni
particolari verso privati furono stabiliti e intraprendenti mercanti si
trasferirono in quelle terre, specialmente a Mogador.[11]
Tra questi intraprendenti mercanti vanno certamente annoverati i fratelli Chiappe.
Quando nel dicembre del
1777, Sidi Muhammad diffuse una circolare per informare i consoli residenti in
Marocco della decisione di concedere libero accesso ai porti dell’impero anche
alle navi delle nazioni con le quali non era stato stipulato alcun trattato,
quali “Russia, Malta, Sardegna, Prussia, Napoli, Ungheria, Livorno, Genova,
Alemagna e Americani, con ordine a’
corsari di lasciar passare i loro bastimenti, a’ quali sarà permesso prendere
delle provigioni in tutti i porti del regno, ed avere gli stessi privilegi come
le altre nazioni in pace,” tre dei fratelli Chiappe già risiedevano in quel
regno: Giuseppe e Francesco erano negozianti a Mogador, Giacomo Girolamo era
console veneto a Tangeri.[12]
A seguito delle mosse diplomatiche
di Sidi Muhammad, i Serenissimi decisero di nominare, nel dicembre del 1779,
Giuseppe Chiappe console nella città marocchina. Persona graditissima al
sultano, –tanto da dover per ben tre volte rifiutare l’incarico di ambasciatore
del trono marocchino “per Tripoli, Malta, Napoli, e Genova”[13]-
durante il suo lungo soggiorno, Chiappe avrebbe avuto modo di consolidare i
rapporti con l’entourage della corte,
favorendo altresì la nomina del fratello Francesco alla carica di incaricato
degli affari esteri del sultano nel settembre del 1785.[14]
La missione diplomatica di Thomas Barclay in Marocco era stata preceduta dal maldestro tentativo di John Lamb, un commerciante di muli del Connecticut, con qualche esperienza nel Mediterraneo, che era stato inviato dal Congresso a Parigi nella primavera del 1785. Dalla capitale francese, Lamb, nel marzo dell’anno seguente aveva raggiunto Algeri nel tentativo di sondare le intenzioni del Dey. Dell’inadeguatezza di Lamb e della scarsa preparazione della missione –soprattutto in considerazione del fatto che gli Algerini avevano nelle loro mani due navi americane e il loro equipaggio- si hanno varie testimonianze. Pier Paolo Celesia, ministro della Repubblica a Madrid, scriveva a riguardo:
Certo Signor Lamb Anglo-Americano che fu qui due mesi
sono ha comprato in Barcellona un buon bastimento ed inalberata la bandiera
spagnuola è partito per Algeri affine di trattare egli pure la pace in nome
delle Repubbliche Confederate d’America. Già da gran tempo era stato accordato qualche
favore da questo ministero a detta trattativa, ma ho motivo di credere che la
ritrosia mostrata dagli Algerini abbia fatti restringere gli uffizj della
Spagna in questo proposito ad una leggiera raccomandazione diretta a quel suo
incaricato Monsiuer D’Expilly. Si crede più comunemente che il Signor Lamb non
conseguirà cosa alcuna, tosto che li suoi committenti non vogliono dare
contribuzioni.[15]
Con un mandato limitato,
soprattutto in termini economici, la missione di Lamb si concluse con un nulla
di fatto. E’ lo stesso Celesia a confermarlo:
Vengo riscontrato da buona parte che l’incaricato americano Mister Lamb aveva avuto poco incontro in Algeri e che non tarderà a ritornare in Spagna senza essere riuscito nel suo intento presso di quell’orgogliosa reggenza. Portano alcuni avvisi che sono state riputate misere le sue offerte e tacciata di rozzezza la sua persona. Gli agenti americani che si trovano in Madrid dicono che il Congresso degli Stati Uniti prenderà col tempo delle risoluzioni vigorose contro delli barbareschi e mostrano desiderio di trovare associati o anche più volentieri dei sussidj per simile impresa.[16]
D’altra parte Lamb, di
ritorno da Algeri, nel suo rapporto ai commissari Franklin, Jefferson e Adams,
aveva denunciato le esose richieste del Dey per il rilascio dei ventun marinai
tenuti prigionieri, – circa $60.000- e la sua indisponibilità ad ogni altra
trattativa.[17]
Richard O’Brien, capitano della nave Dauphin
catturata dagli algerini nell’estate del 1785, scrivendo dalla prigionia ai
propri rappresentati diplomatici all’indomani del fallimento della trattativa,
aveva con cognizione di causa messo in guardia il suo governo: “There is a
great difference between negociating with these people and a Christian nation. The foundation of all treaties should be laid by some person or Consul
in Algiers that knows how to treat with them for there are certain times and
seasons for those affairs.” Inoltre Lamb, a giudizio di O’Brien, si era dimostrato persona poco
adeguata, e nondimeno aveva destato una certa sorpresa che il Congresso avesse
mandato un tale individuo “to negociate so important affair as the making a
peace with the Algerines where it required the most able Statesman and
Politician.”[18]
Che la missione di Thomas
Barclay fosse destinata ad un maggior successo apparve chiaro anche al Celesia:
Mister Berkeley, console generale degli Stati Uniti in Francia è arrivato qui li giorni scorsi destinato per Marocco, munito di commissione più unanimemente autorizzata che quella del Capitano Lamb. Porta seco regali sufficienti per rendersi grato a quel Re moro, il quale fino dal tempo dell’ambasciata del Signor De Salinas dichiarò che non aveva guerra con gli Americani e che a contemplazione di Sua Maestà Cattolica accorderebbe loro la sua buona grazia ed amicizia, tosto che venisse dai medesimi ufficiato. Questa tengo che sia l’incumbenza di Mister Berkeley del cui buon esito poco resta da dubitare, avendo in essa il favore della Spagna e sapendosi che il Re di Marocco fa poco capitale del corso marittimo. Suppongo che il Berkeley cercherà uffizj da detto Re a favore del suo collega Lamb, ma l’averli efficaci sembra cosa impossibile nel dato caso. Si aspetta da un giorno all’altro dispaccio da Algeri con la firma al trattato tra la Spagna e quella Reggenza.[19]
Al ministro genovese non era sfuggito il fatto che la mediazione diplomatica spagnola avrebbe in qualche modo agevolato il compito di Barclay. Se da un lato infatti, per ovvie ragioni, l’Inghilterra cercava di ostacolare in ogni maniera il commercio americano nel Mediterraneo, e la Francia non aveva particolari interessi a favorirlo, dall’altro, la Spagna mostrava tutt’altra disposizione sia perché gli Stati Uniti potevano costituire una valido alleato sia perché la partita intorno all’occupazione del bacino del Mississippi era ancora aperta. In questa prospettiva si giustifica l’azione svolta dal ministro spagnolo Floridablanca presso la corte marocchina al fine di ottenere la restituzione della nave Betsey in cambio della semplice promessa americana di inviare un negoziatore.[20] Tutto ciò inoltre, ben si coniugava con il ruolo di pacificatore che il sultano Sidi Muhammad sembrava voler adottare tra i paesi interessati al commercio mediterraneo[21]. L’accoglienza riservata a Barclay al suo arrivo in Marocco fu delle più calorose:
A due di detto mese di giugno con polacca ragusea procedente da Cadice giunse parimente in questa città il signor Tomaso Barclay inviato delli Stati Uniti d’America avendo in sua compagnia in qualità di segretario il colonnello Frenck quali vengono a trattar la pace, questi due soggetti venivano da Pariggi, Madrid ed ultimamente da Cadice, da onde essendomi stati raccomandati hanno preso l’alloggio qua in mia casa e si sono poi trasferiti in Marocco li 14 sudetto, ove da li ultimi avisi, ho udito che son stati molto ben accolti da Sua Maestà Imperiale che dati aveva li opportuni ordini perché fossero festeggiati al pari di tutti li ambasciatori delli principi christiani avendo spedito ad incontrarli i principali della corte ed il mio fratello Francesco e furono ricevuti con gran pompa e giochi di polvora secondo il stile del paese. Intendo pure che Sua Maestà Imperiale sia rimasta contentissima al sommo del presente ugualmente di buon gusto e di gran valore che le ha presentato detti inviato tan tosto me ne perverrà la nota, e lo che più si valuta le convenzioni del trattato di pace fra Sua Maestà Imperiale e li Stati Uniti d’America ne farò come di mio dovere consapevole le SSVV Serme.[22]
Anche l’emissario americano fu colpito dalla buona disposizione del sultano. Nelle due udienze concesse, Sidi Mohammad, giunto a cavallo nei palazzi di corte, si era intrattenuto a discutere con Barclay delle più diverse questioni relative agli Stati Uniti, aveva poi esaminato i doni e infine aveva concluso l’incontro dicendo: “Send your ship and trade with us, and I will do everything you can desire.” [23]
Il trattato venne suggellato dal sultano a Marrakesh il 23 giugno 1786. Il primo giorno del mese di gennaio del 1787, Jefferson firmò il documento a Parigi, Adams il 25 gennaio a Londra. Il Congresso americano lo ratificò e lo promulgò il 18 luglio dello stesso anno. Nei venticinque articoli che lo compongono vengono sostanzialmente stabilite le regole di navigazione, di commercio e di trattamento degli equipaggi, in tempo di pace come in tempo di guerra, per le navi dei due paesi in transito nei rispettivi porti. [24]
Nell’informare i commissari americani dell’avvenuta conclusione della trattativa, Barclay ricordò come non avesse mancato di informare il sultano della nomina di “Mr. Francis Chiappi of Morocco, as an Agent to act in behalf of any American Citizens who coming to this Country may have occasion for his Service, or to transmit to His Majesty through Mr. Tahar Fenish any letters or papers from the Congress of the United States untill the farther pleasure of Congress shall be known.”[25] Nel luglio del 1787, John Jay, nell’inviare a Jefferson copia del trattato ratificato, lo invitò a farla pervenire al più presto al sultano attraverso “Don Francisco Chiappe the american agent at Morocco.” In una nota aggiuntiva specificava inoltre:
Congress yesterday passed a resolution approving Mr.
Barclay’s conduct in the negociations with Morocco. They have likewise confirmed
his appoitment of Don Francisco Chiappe to be their agent at Morocco, Don
Joseph Chiappe to be their agent at Mogador and Don Girelamo [sic] Chiappe to be their agent at
Tangier, with which agents it is their desire that their ministers at
Versailles and London should regurarly correspond.[26]
“Esperti della lingua e della scrittura arabe, in possesso di molte lingue europee, ben al corrente della situazione politica europea, attivi ma non intriganti,”[27] i fratelli Chiappe erano preziosi intermediari diplomatici, e per questo il governo americano li aveva nominati agenti della giovane repubblica in un’area di dense ma complesse relazioni come quella mediterranea.[28] Quando nel 1791, in seguito alla morte di Sidi Muhammad, Thomas Barclay, nominato console a Tangeri, fece ritorno in Marocco per verificare la disponibilità del successore al trono imperiale, Mulay Yazid, riguardo al trattato, i Chiappe erano ancora al loro posto in Marocco. Purtroppo l’aspra contesa scatenatasi intorno alla successione di Mulay Yazid, morto nel 1792, gettò il regno in uno stato di anarchia che per alcuni anni avrebbe paralizzato ogni tipo di iniziativa.[29] Solamente nel 1797, quando la situazione si era ormai stabilizzata, il nuovo console americano Jesse Simpson –Barclay era morto nel frattempo, nel 1795- riuscì ad ottenere dal sultano Mulay Sulaiman – sul trono marocchino dal 1795 al 1822- la conferma del trattato firmato nel 1786.
[1] Sull’episodio, vedi: R.
J. Allison, The Crescent Obscured. The United States and the Muslim World,
1776-1815, Oxford, 1995. Più in generale, sulla politica statunitense nel
Mediterraneo, vedi: R. W. Irwin, The Diplomatic Relations of the United States
with the Barbary Powers 1776 1816, Chapel Hill, 1931; J. A. Field, Jr., America
and the Mediterranean World, 1776-1882; Princeton, 1969; M. L. S. Kitzen, Tripoli
and the United States at War. A History of American Relations with the Barbary
States, 1785-1805, Jefferson, N. C., 1993. Di grande utilità sono anche: Naval Documents
Related to the United States Wars with the Barbary Powers, 6 vols, Washington,
1939-1944; Treaties and Other International Acts of the United States of
America, ed. by H. Miller, 2 vols, Washington, 1931.
[2] Non era questo il primo episodio
di tal genere. Come qualche tempo prima aveva infatti riferito il console
genovese a Mogador, Giuseppe Chiappe: “Altra fregatta di Sua Maestà Imperiale è
entrata in Loracce [si tratta del porto atlantico di Larache] con una preda
americana carica di salnitro e di panni; già è passato ordine depositare il
tutto nei magazzini reggi e di mandare alla corte il respettivo capitano con
due marinari, e nel tempo stesso ha fatto scrivere da mio fratello in Marocco a
tutti i consoli che debbano informare respettivamente le loro corti come Sua
Maestà Imperiale ha pace con tutte le nazioni dell’americana infuori cui se gli
spedirà un ambasciatore restituirà la preda ed ogni cosa unendosi colla stessa
in stretta amistà come con le altre tutte.” Archivio di Stato di Genova (d’ora
in poi ASG), Archivio Segreto (d’ora in poi AS) 2707, G. Chiappe ai
Serenissimi, Mogador 20 Ottobre 1784).
[3] The Papers of Thomas Jefferson
(d’ora in poi TJP), ed. by J. P. Boyd et al., 24 vols., Princeton, 1950 - , J.
Bannister to T. Jefferson, 2 December 1785, vol. 9, pp.75-76.
[4] TJP, J. Page to T. Jefferson, 28
April 1785, vol. 8, p.119. Page molto probabilmente si riferiva al fatto che
sul finire del 1779, Stephen D’Audibert Caille, un mercante francese residente
nel porto atlantico di Sale, nominato dal Sultano console per i paesi che non
avevano rappresentati diplomatici in Marocco, aveva scritto al Congresso
attraverso il commissario americano a Parigi, Benjamin Franklin. Nella missiva,
oltre ad informare della nomina di Caille, si manifestava la volontà di Sidi
Muhammad di concludere un trattato di pace con gli Stati Uniti. Nel novembre
del 1780, il Congresso istruì Franklin affinché assicurasse Caille che gli
Stati Uniti desideravano intrattenere pacifici rapporti con quel regno ed erano
disposti a negoziare al più presto un trattato.
[5] TJP, T. Jefferson to J. Monroe, 11
May 1785, vol. 8, p.150.
[6] TJP, J. P. Jones to T. Jefferson,
31 July 1785, vol. 8, p.334. Di questa determinazione, aveva dato conferma a
Pier Paolo Celesia, ministro genovese a Madrid, l’incaricato d’affari
statunitense nella capitale spagnola, William Carmichael: “Questo incaricato
degli affari degli Stati Uniti dell’America Settentrionale, stato già membro di
quel Congresso, mi ha detto che nove bastimenti della sua nazione si contano
già arrestati dai Marocchini e condotti nei loro porti; che quell’Imperatore ha
fatti venire con qualche pompa li capitani americani alla sua corte dove gli ha
trattati con molta umanità, dicendo che egli non è in guerra con la loro
nazione ma che desidera avere presso di se un rappresentante della medesima,
affine di concertare tutto ciò che può essere di reciproca convenienza. Che
intanto ha dati gli ordini perché si risarciscano quelli dei detti bastimenti
che hanno sofferto danno e ne siano ben trattati gli equipaggi senza parlare di
rimettere in libertà ne gli uni, ne gli altri. Prosegue questo incaricato a
dirmi che questa corte a impiegati verso quella del Marocco dei buoni uffizj a
favore degli americani la cui causa sembra tuttavia incerta e che quella di
Versailles è tenuta per trattato di procurar loro la pace con tutti li
barbareschi; che però essendo la mira di questi di esigere regali e
contribuzioni, sapeva che le tredici repubbliche sue committenti ripugnerebbero
in ogni tempo a simili sacrifizj e che sono piuttosto pronte ad armare per
combattere li pirati barbareschi. Siccome desideroso di concertarsi a tale
effetto con quelle nazioni che gli hanno parimente per nemici. Mi ha detto che
li due stati di Massachussets e di Rhode-Island come più intenzionati nella
pesca, il cui smercio si fa nel Mediterraneo hanno già diversi legni da guerra
che possono armare ricavandone la spesa dai convogli. Le ho risposto che non
trovandoci ne lui ne io autorizzati a trattare di alcuna divisa rispetto a
questa causa comune, non potevamo che far voti per la sicurezza dei pacifici ed
onesti naviganti e per la generale libertà del commercio. Mi ha replicato che
vedrà in seguito se può dare maggior consistenza a questa sua confidenziale
apertura di buon zelo quale intanto mi pregava di gradire facendone quel
miglior uso che stimassi. Le ho detto che non poteva dubitare del mio sommo e
sicuro gradimento che nessuna difficoltà apprendevo nel combinare la buona
volontà interno all’appunto, ma che quanto a misure effettive ed efficaci che
potessero riuscire di utilità reciproca, la mia mente per allora non sapeva
suggerirmi che gli sforzi separati e indipendenti di ambe le parti. In questi
termini siamo rimasti contestandoci il reciproco desiderio di far meglio se
l’occasione si presenterà. Pare molto naturale il credere che questo governo
fino a che non pervenga a far la pace con tutte le potenze barbaresche, riceva
volentieri progetti di concerto ostile contro delle medesime dagli Stati Uniti
d’America e ne fermenti la generosa intenzione.” ASG, AS 2482, P. P. Celesia ai Serenissimi, Madrid 8 Marzo
1785.
[7] Sull’argomento, vedi: C. L.
Symond, Navalists and Antinavalists. The Naval Policy Debate in the United
States, 1785-1827, Newark, 1980.
[8]J.
Adams to T. Jefferson, 3 July 1786, in The Adams-Jefferson Letters, ed. by L.
J. Cappon, Chapel Hill, 1988, pp.138-139.
[9] S. Rotta, Genova e il Marocco nel
secolo XVIII, in Studi di filologia e letteratura offerti a Francesco Croce,
Roma, 1997, p.249. Sull’argomento, vedi anche: O. Pastine, Genova e Marocco.
Sbocchi mercantili genovesi tra ‘700 e ‘800, in “Quaderni Ligustici”, 98, 1960;
M. Nallino, Documenti arabi sulle relazioni fra Genova e il Marocco nella
seconda metà del sec. XVIII, in “Rivista degli studi orientali”, Roma, XXI,
1928; V. Marchesi, Le relazioni fra la Repubblica veneta ed il Marocco dal 1750
al 1797, in “Rivista Storica Italiana”, III, 1886.
[10] Ibidem, p.256. Sulle iniziative
diplomatiche del sultano, vedi: J. Caillé, Les accords internationaux du sultan
Sidi Mohammed ben Abdallah (1757-1790), Paris, 1960.
[11] O. Pastine, Genova e Marocco,
cit., p.15
[12] Ibidem, pp.17-18. Già nel
settembre di quello stesso anno, il sultano aveva fatto pervenire agli stati
marittimi cristiani una bozza di convenzione per stabilire le procedure di
scambio o riscatto dei prigionieri e una
nuova disciplina della guerra da corsa.
[13] ASG, AS 2707, F. Chiappe ai
Serenissimi, Mogador, 28 Novembre 1781.
[14] Quando i Chiappe erano arrivati in
Marocco? A questa domanda risponde, per quel poco che è dato sapere, il Rotta.
Giacomo Girolamo Chiappe era giunto a Tetuan nel 1767 con il viceconsole veneto per poi venir eletto
console della Serenissima a Tangeri nel 1769.
Giuseppe, probabilmente già in compagnia del fratello Francesco, arrivò
in Marocco sul finire del 1770 per svolgere attività commerciali. Di un quarto fratello, Giambattista, si sa
essere stato console genovese a Casablanca
fino al 1786 mentre il quinto, Stefano, non si mosse da Genova.
Francesco morirà mercante a Rabat nel 1802, di Giuseppe si hanno notizie
attraverso le sue corrispondenze diplomatiche fino al 1805. Vedi: S. Rotta, Genova
e il Marocco, cit., pp.269-270. Sulle attività commerciali dei Chiappe, al
seguito della “compagnia di negozio” fondata nel 1769 dal marchese Francesco
Saverio Viale “per estrarre grani” dai porti di Mogador e Rabat, vedi: S.Rotta,
L’Illuminismo a Genova: lettere di P. P. Celesia a F. Galiani, 2 voll.,
Firenze, 1971-73, II, pp.100-106.
[15] ASG, AS 2482, P. P. Celesia ai
Serenissimi, Madrid 7 Marzo 1786. Ancor più severo giudizio ebbe a dare il
Celesia di lì a poco: “Devo aggiungere alcune circostanze a quanto o avuto
l’onore di segnare a VVSSrie Serenissime nel precedente mio umilissimo foglio
circa il Capitano Lamb passato in Algeri per tentare di maneggiar la pace tra
quella Reggenza e le Repubbliche Confederate d’America. Mi riviene che non può
disporre a tale effetto d’una rilevante somma e che confida forse più del
dovere sopra la conoscenza fatta con qualche Ray barbaresco negli anni
anteriori all’ultima guerra mentre navigò nel Mediterraneo con una nave
mercantile da lui comandata. Egli è uomo così rozzo e poco insinuante che anche
presso del governo d’Algeri si rende problematico il suo personale buon
incontro. Questo incaricato degli affari di dette Repubbliche Confederate non
nega più che li suoi committenti siano discesi a cercare detta pace con
sacrifizio di denaro. Fermo però nelle sue massime politiche che dice che li
rappresentanti di quelli stati che accudiscono principalmente alla pesca ed ai
noleggi anno carpito un momento di superiorità nel Congresso, offerendo in nome
dei loro costituenti di sostener soli le spese della trattativa se riesce
infruttuosa. Nega che la somma disponibile dal Lamb ascenda a 250/m pezzi
forti, come da altra parte mi viene affermato, e sostiene che pochissima
essendo la probabilità di riuscire con li deboli che nel presente tentativo
s’impiegano, non tarderà molto a pigliare la sua naturale preponderanza nel
Congresso americano quel partito che aborisce di comprare precariamente
l’amicizia dei barbareschi ed inclina a farsi rispettare mostrando la forza. A
rendere più dubbia la riuscita del tentativo del quale va incaricato il
Capitano Lamb molto contribuisce la superficialità degli uffizj accordatigli
dalla Spagna, la modicità dei mezzi con li quali si presenta, e la probabile
opposizione che incontrerà per parte del Console inglese. Nulla però di certo
si può prevedere.” ASG, AS 2482, P. P. Celesia ai Serenissimi, Madrid 14 Marzo
1786.
[16] Ivi, P. P. Celesia ai Serenissimi,
Madrid 11 Aprile 1786.
[17] “On the 3d. day of April was
admitted to an Audience with the Day, but he would not speake of Peace, set the
Slaves a most Exorbitent Price, far beyond my limits.” TJP, J. Lamb to the
American Commissioners, Madrid May 20th
1786, vol. 9, pp.549-553.
[18] TJP, From R. O’Brien and Others,
Algiers June 8th 1786, Vol.9,
pp.614-622.
[19] ASG, AS 2482, P. P. Celesia ai
Serenissimi, Madrid 14 Marzo 1786.
[20] La notizia era stata comunicata da
William Carmichael, incaricato d’affari statunitense a Madrid, a Thomas Jefferson:
TJP, W. Carmichael to T. Jefferson, 29 March 1785, vol. 8, pp.64-66. Anche
Celesia conferma l’informazione: “La Gazzetta di questa corte delli 3 corrente
contiene una compita relazione dell’ambasciata a Marocco sostenuta con ottimo
accerto dal Senior tenente colonnello Don Francesco de Salinas…Li vantaggi
conseguiti sono…rilascio del bastimento ed equipaggio di un brigantino degli
Stati Uniti d’America preso tempo fa da una fregata marocchina e dichiarazione
di voler fare la pace con detti stati sotto la mediazione si Sua Maestà Cattolica.” ASG, AS 2482, P. P.
Celesia ai Serenissimi, Sant’Ildefonso 27 Settembre 1785. Va infine ricordato
che, nel volgere di pochi anni, la Spagna di Carlo III aveva firmato trattati
commerciali e di pace con il Marocco (1780), con la Porta (1782), con Tripoli
(1784) e con Algeri (1785).
[21] Nel settembre del 1785, con una
lettera fatta pervenire ai consoli stranieri residenti a Tangeri, Francesco
Chiappe, in qualità di incaricato degli Affari Esteri del sultano, informava che
“Sua Maestà Imperiale, che Dio guardi, mi ordina di scrivere loro per
prevenirli che il Gran Signore le ha mandato un suo inviato affinché gli
Algerini facciano la pace con gli Spagnuoli per mezzo di Sua Maestà Imperiale.
Perciò se gli Algerini faranno la pace con gli Spagnuoli resterà affare finito,
ma quando rifiutino la detta pace, la prefata Maestà Imperiale metterà
all’entrata di Algeri e di tutti i loro porti 10 navi ed altre 10 ve ne metterà
il Re di Spagna e non lascieranno entrare ne sortire alcun bastimento Cristiano
vorrà entrare contra gli ordini di S. M. Imperiale, allora le navi della detta
Maestà le faranno buona presa e dichiarerà la guerra alla nazione del
bastimento che avrà mancato agli ordini sopradetti.” (ASG, AS, P. P. Celesia ai
Serenissimi, Madrid 18 Ottobre 1785)
[22] ASG, AS 2707, G. Chiappe ai
Serenissimi, Mogador 1 Luglio 1786.
[23] TJP, T. Barclay to the American
Commissioners, Tangers 13th September 1786, vol.10, pp.357-361.
[24] Firmato il trattato, Sidi Muhammad
si adoperò perché anche le altre reggenze trovassero un accordo con gli
americani. Lo testimonia una sua lettera inviata al pascià di Tripoli e a
quello di Tunisi nell’agosto del 1788. Nella copia tradotta in italiano da
Francesco Chiappe si legge l’invito del sultano “al nostro amico Sid Alì
Pascià” affinché “facciate tranquilla e perfetta pace con li Americani, e che
facciate a medesimi ed a loro bastimenti del bene, perché loro ci servono con
amità, e questa pace che desideriamo facilitiate con loro, perché vediamo in
essa del vantaggio grande, perché tutto quanto avremo a mandarvi di munizioni,
cioè di cannoni, di mortari, e di armamenti per bastimenti, ed altro, loro le
trasporteranno coi loro bastimenti a voi in Tripoli.” La lettera di Sidi
Muhammad sembra per altro rispondere ad una precisa richiesta del governo
americano: scrive ancora il Sultano questa volta al Congresso: “Noi siamo con
voi in tranquilla e perfetta pace, ed abbiamo scritto quanto ci avete chiesto
per Tunis e Tripoli.” I due documenti, datati 18 e 19 agosto 1788, si trovano
alla Missouri Historical Society, Jefferson Correspondence.
[25] Ibidem.
[26] TJP, J. Jay to T. Jefferson, 24th
July 1787, vol.11, pp.618-619.
[27] S. Rotta, Genova e il Marocco,
cit., p.269
[28] Del loro solerte impegno nel
servire il governo americano è rimasta documentazione presso gli archivi
americani: in particolare, vedi: National Archives at Washington, D. C.,
Microcopy No.247, Papers of the Continental Congress, Roll 125, items 97-98, Letters
and Papers relating to Spain and to the Barbary Powers, 1779-1795;National
Archives at College Park, Md., Record Group 59, Miscellaneous Letters of the
Department of State, 1789-1906,
Microfilm publication M 179.
[29] Che la turbolenta situazione
avesse di molto ridotto l’influenza e le attività dei Chiappe, lo conferma, nel
1791, Pier Paolo Celesia, in relazione ad un incontro con l’ambasciatore del
Marocco a Madrid: “Si risvegliò qui la contesa già nata nell’antecedente
abboccamento sopra l’identità della persona assicurando –e con ragione per
quanto apparisce- l’ambasciatore che il Girolamo Chiappe molto suo amico
risiede in Tanger console soltanto della Serenissima repubblica di Venezia, e
che egli non conosce quello di Genova, né sa comprendere che si faccia in
Mogador dove non esiste commercio né frequentazioni di forastieri. Per mezzo
dell’interprete moro si venne in qualche schiarimento dell’equivocazione. Ho
rilevato da costui esserci quattro fratelli Chiappe nel regno di Marocco. L’uno
Giacomo Girolamo che risiede in Tanger console di Venezia. Se questi è stato
rivestito del carattere di console di VVSSrie Serenissime ne ha dimesse affatto
le funzioni o forse le ha delegate con patente di viceconsole ad altro fratello
Giuseppe per darle una più considerata esistenza nello scalo di Mogador oggidì quasi
deserto. Non so spiegare in altro modo l’asseveranza con che tutti mi dicono
che il console di Genova chiamasi Giuseppe, ed il vederlo invece nominato
Giacomo Girolamo nei veneratissimi dispacci di VVSSrie Serenisime. Gli altri
due fratelli Chiappe sono l’uno Francesco che sta alla corte dell’Imperatore
marocchino molto decaduto dall’antico credito che vi godeva, ed il secondo
Gio.Batta di cui non conosco l’impiego e nulla ne ho inteso dire. Quello dei
quattro fratelli che in oggi gode più favore è il Giacomo Girolamo console di
Venezia, quale mi vien supposto declinare da ogni altra estranea incumbenza.”
ASG, AS 2483, P. P. Celesia ai Serenissimi, Madrid 15 Marzo 1791.