Bo Botto

Chelsea Hotel

Sherill Tippins: CHELSEA HOTEL. Viaggio nel palazzo dei sogni. EDT, 2014

Nel 1938, vicina al trotzchismo, la bella e longilinea Mary McCarthy, accettò, su proposta dei giovani intellettuali che frequentava, di fare da esca per attirare sulla "Partisan Review" l'interesse dell'attempato Edmund Wilson, sensibile all'avvenenza non solo cerebrale delle più giovani. In vista dell'incontro la McCarthy, per sentirsi disinvolta, trangugiò alcune bevande alcoliche senza prevedere che, buttatale addosso un'occhiata, il grande critico letterario se la sarebbe lavorata con vino rosso e doppi cocktail. Alla fine si ritrovarono in visita a un amico di Wilson, anche lui trotzchista, nell'appartamento che occupava al Chelsea Hotel, ma la conclusione più sorprendente fu che i due, la McCarthy e Wilson, si sposarono. La breve e burrascosa unione contemplò persino il ricovero di lei in una clinica psichiatrica. Il suo rapporto col Chelsea non finì comunque lì. Nel 1952 la McCarthy occupò una camera dell'hotel per farne la base di una raccolta di fondi che sarebbero serviti alla sua rivista "Critic", ma l'iniziativa naufragò.

In quello stesso lasso di tempo - si può dire fra guerra e dopoguerra - il Chelsea hotel fu teatro di eventi chiave per le arti americane. Peggy Guggenheim - che era invischiata con i surrealisti espatriati i quali tuttavia guardavano con spocchia alle faccende locali - vi organizzò un pranzo per sensibilizzare i ricchi americani alla giovane arte autoctona e benché non le riuscisse di tenere a freno il suo artista di punta, Jackson Pollock, si trattò di un primo importante tentativo. Mentre si preparava a ricevere gente come Dylan Thomas, Larry Riuvers, Arthur Miller, Frank O’Hara, Yves  Klein, Allen Ginsberg, Arthur C. Clarke, il capo dei comunisti americani Gus Hall e tanti altri,  al Chelsea risiedeva da anni Virgil Thomson che dei suoi locali pensò di farne il luogo di irradiazione della nuova musica americana col vice-direttore della New York Philarmonic Leonard Bernstein e il giovane californiano John Cage. Fra gli invitati di Thomson c'era anche, per scambiare idee sulle varianti regionali della musica popolare - il cencioso Harry Smith – occultista, antropologo, filmaker e contaballe - cui si dovette l' Anthology of American Folk Music che tanta influenza avrebbe avuto sui giovani protagonisti del Folk revival.

Fra l'altro in quegli anni viveva ancora al Chelsea il vecchio John Sloan, uno dei più importanti pittori americani di tutti i tempi. Socialista, amico di Tresca e di Big Bill, anche lui diede il suo contributo alla conoscena del canzoniere americano diffondendo, per quanto gli fosse possibile, i lavori di Joe Hill e degli altri cantanti che erano confluiti fra gli Industrial Workers of the World. Gli anni di Sloan furono anche gli anni nei quali il Chelsea ospitò, fra gli altri, Edgar Lee Masters, Sherwood Anderson, Thomas Wolfe e Arthur B. Davies, l'organizzatore della mostra all'Armory Show nel 1913. Quando morì, nel 1928, nel suo studio al Chelsea fu scoperto un vero tesoro di arte contemporanea, confluito poi nel Museum of Modern Art che inaugurò la sua prima mostra l'anno successivo.

Il fascino mediatico dell’albergo comincia probabilmente con Dylan Thomas, che vi collassò nel 1953. Qualche mese prima una sua stanza era stata utilizzata come alcova da due giovani scrittori che si chiamavano Gore Vidal e Jack Kerouac. Quando uscì Chelsea Girl di Andy Wahrol il pronostico di Bob Dylan fu che l’età dell’oro dell’albergo sarebbe finita. Nacque viceversa quella mitologia alla quale ci hanno abituatonegli ultimi cinquant'anni Janis Joplin, Leonard Cohen, Nico, Robert Mapplethorpe, Sid Vicious, Patti Smith ecc. ecc. Ma, come si è visto, la sua è una magia antica che con puntiglio e opportune divagazioni (più una bella, ma sacrificata, raccolta di fotografie) Sherill Tippins ricostruisce oggi, quando l'edificio di dodici piani che l'ha ospitato sta geneticamente cambiando.

Nel 1947 lo scrittore sudafricano Stuart Cloete pubblicò su "Collier" il racconto di un sopravvissuto all'olocausto nucleare che si trasferisce nel semidistrutto Chelsea Hotel dove scopre una vivificante sorgente. Questo ci riporta alle sorgenti stesse dell'albergo, che furono parzialmente fourieriste. Il padre di Philip Hubert, il fondatore dell'associazione abitativa che avrebbe dato vita al Chelsea, aveva progettato in Francia un falansterio, vale a dire una comunità ispirata alle idee di Fourier. Dopo le vicende del 1848 fu costretto a emigrare e lo fece negli Stati Uniti, dove alcune comunità avevano accolto le stesse idee. Con l'architetto James Pirsson, Philip Hubert cominciò a concepire un centro dove potessero confluire al meglio le energie creative. Nacque così il fatidico edificio situato al 222 della 23esima ovest di Manhattan, zona Chelsea. Fra i primi prestigiosi ospiti la nuova costruzione potè vantare quella di Mark Twain e del suo amico, a sua volta grande scrittore e giornalista, William Dean Howell, per altro poco o niente ben disposto nei confronti della vita scapigliata. Attento alla questione sociale, Howell rimase impressionato dal romanzo del suo "protegé" Edward Bellamy, l'autore di Looking Backward (un contemporaneo si risveglia nella Boston del 2000, socialmente trasformata). La Tippins qualifica un po' troppo frettolosamente la statalizzazione economica ventilata da Bellamy come "socialista" (Bellamy stesso la definiva "nazionalismo", nel senso della nazionalizzazione economica) ma non manca di ricordare come un influente gentiluomo quale era Howell si schierasse dalla parte dei "martiri di Chicago". L’autrice si spinge tuttavia troppo avanti lasciando intendere che dietro le prestigiose presenze dell’albergo avessero a soffiare gli spiriti di Fourier e di Bellamy, ma la raccolta aneddotica è di tutto rispetto.

“Fogli di Via”, novembre 2014