Bo Botto
Mani in alto. La banda Casaroli
"I fatti di cronaca raccontati in questo
romanzo sono realmente accaduti ma sono qui trasfigurati per esigenze narrative.
Alcuni personaggi sono esistiti veramente, altri sono di fantasia, in ogni caso
agiscono tutti in maniera fittizia". I fatti sono quelli che misero al
centro delle cronache nei primi anni Cinquanta una banda di rapinatori
bolognesi della quale si continuò a parlare a lungo: la banda Casaroli. Il nome
era quello di uno dei suoi componenti e sembra che lo avessero scelto perché
sentivano suonasse meglio rispetto ai cognomi degli altri due amici - Ranuzzi e
Farris - che costituivano la piccola brigata. Dei tre sopravvisse il solo
Casaroli, condannato all'ergastolo, mentre gli altri finirono suicidi dopo
l'ultima disperata impresa.
Andate a segno le rapine di Binasco, Torino e
Genova, andò male quella tentata al Banco di Sicilia di Trastevere, Gli impiegati
reagirono con le armi: morì il direttore e rimase gravemente ferito un
cassiere. Fu facile risalire ai tre attraverso la Fiat 1400 della fuga che
risultò noleggiata a Bologna. Un poliziotto che tentò l'arresto fu ucciso e
nella fuga per le strade cittadine di Casaroli e Ranuzzi furono colpiti a morte
un tassista e un ex brigadiere dei Carabinieri. Ranuzzi, ferito, si suicidò.
Farris, una volta venuto a conoscenza dell'accaduto, farà altrettanto
sparandosi un colpo al cinema Manzoni. dove proiettavano I Gangster diretto da Siodmak. Casaroli, dopo gli anni di
reclusione, morirà nel 1993.
Lo scrittore bolognese Claudio Bolognini in Mani
in alto. Il romanzo della banda Casaroli (Imprimatur, 2013), racconta la
loro storia, pur attraverso le alterazioni narrative, a partire da un'intervista
rilasciata da Casaroli a una giovane che, negli anni Settanta, scriveva su una
famosa rivista "di sinistra" ed è oggi "editor" a Londra di
libri per ragazzi. Per la precisione si tratta della figlia di un'operaia
comunista e di Daniele Farris, quello che fra i tre rimase più legato al
passato "repubblichino". Tutti e tre, ragazzini, animati da spirito
d'avventura, si arruolarono fra le camicie nere. Ranuzzi tuttavia, data la
giovane età, fu scartato e finì così per passare a una banda partigiana. Fu Ranuzzi
- quando Einaudi tradusse Il Muro - a rimanere suggestionato dalle idee
di Jean Paul Sartre le quali da subito contagiarono anche Farris e un Casaroli
lettore di D'Annunzio e Nietzsche.
Quelli che Claudio Bolognini nel suo libro chiama
"titoli di coda, si concludono con queste parole; "Al Museo
criminologico di Roma una teca custodisce le armi e le munizioni della banda
Casaroli". Merita di esser ricordato a questo punto un fatto di cronaca di
molto successivo, che riguarda gli anni a noi vicini. Nel 1962, per girare il
film che Florestano Vancini trasse dalle gesta della banda (La banda
Casaroli, con Renato Salvatori, Tomas Milian e Jean Claude Brialy), il
regista pretese che le armi impugnate dagli attori fossero quelle vere e
proprie usate dalla banda, delle quali però si persero a lungo le tracce. Una
Berretta automatica e una Browning a tamburo furono recuperate a Roma nel 2010.