Giuliano
Galletta
aura. Per Gianni
Carchia
In un momento come l’attuale in cui la
filosofia, in particolare quella italiana, attraversa una delle sue periodiche
crisi di identità, aumenta sensibilmente
il rischio di scambiare i professori di filosofia
per filosofi. Gianni Carchia era certamente un ottimo docente (insegnava
Estetica all’università di Roma), ma era soprattutto un pensatore. Un uomo che
sapeva affrontare direttamente i più importanti problemi filosofici. E’
questo probabilmente che rendeva così naturalmente profondo il suo approccio al
mondo, intendendo per mondo i dialoghi di Platone e la discoteca, Kant e il
gioco del football, la Teoria critica e i pastori sardi. E' questo probabilmente che lo rendeva, lui
che leggeva quasi tutto, così
spontaneamente anti-libresco, così pronto a stupirsi di fronte a un’idea
intelligente da qualsiasi parte arrivasse, così disponibile all’ascolto, così
pacatamente e ironicamente definitivo nel giudizio.
Gianni Carchia è morto a soli 53 anni
nel marzo del 2000, colpito da una malattia rara e terribile, e se la sua
ricchissima opera filosofica è destinata a dare frutti preziosi per i decenni a
venire, la sua figura umana ha lasciato i suoi tanti amici (incluso chi scrive)
con la coscienza di una perdita irreparabile, con la sensazione di non averlo
frequentato e soprattutto ascoltato abbastanza. Oltre cinquanta fra amici e
colleghi hanno voluto dedicare a Gianni Carchia un volume, Aura, scritti per Gianni Carchia
(edizioni SEB27), amorevolmente curato da Liliana Lanzardo e con una commovente
scelta di fotografie. Al libro hanno contribuito, tra gli altri, Giorgio
Agamben, Massimo Cacciari, Fabrizio D’Agostini, Franca D’Agostini, Monica
Ferrando, Maurizio Ferrarsi, Rino genovese, Rubina Giorgi, Serio Givone, Shuei
Hosokawa, Dario Lanzardo, Mario Luzi, Grazia Marchianò, Giacomo Marramao, Mario
Perniola, Paolo Prato, Ruggero Savinio, Paolo Spedicato, Gianluca Trivero,
Susanna Valpreda, Gianni Vattimo, Federico Vercellone.
Lo straordinario percorso intellettuale
è ricostruito dalla moglie Monica Ferrando in una sintetica ma efficace nota
bio-bibliografica. Dagli originari interessi per l’antropologia che lo
portarono ventenne fra i beduini del Sahara alla tesi di laurea su Benjamin,
discussa con Vattimo (che lo definisce l’allievo maestro), alla frequentazione
giovanile del gruppo dei “Quaderni rossi”, alla traduzione di
quella parte dei Minima Moralia di Adorno “censurata” nell’edizione einaudiana,
il lavoro filosofico di Carchia si contraddistingue per un’originalità che lo
isola – ma ne fa al tempo stesso un irresistibile polo di attrazione – nel
panorama culturale del dopoguerra.
A giudizio di Agamben
“il nome di Carchia si iscrive a pieno diritto nel regesto dei pochi nomi
che contano nel pensiero italiano degli ultimi trent’anni accanto a quelli di
Giorgio Colli, di Furio Jesi, di Enzo Melandri”. Mito e storia, arte e
bellezza. arcaico e moderno, linguaggio e essere sono i temi di alcuni dei
suoi libri più importanti Orfismo e tragedia. Il mito trasfigurato
(Celuc, 1979), Estetica ed erotica. Saggio sull’immaginazione (Celuc,1981), La
legittimazione dell'arte (Guida, 1982), Retorica del sublime
(Laterza, 1990), La favola dell’essere. Commento al Sofista (Quodlibet, 1997), L’amore
del pensiero (Quodlibet, 2000). Come scrive Massimo Cacciari: “Gianni
aveva una dote ‘misteriosa’, riusciva ad
immaginare la filosofla - intendo
dire: riusciva a porla in immagini come a dipingerla. In questo Gianni
stava nel solco dei più grandi neoplatonici, io credo, ma anche in quello del pensiero italiano più alto e
misconosciuto, dall’Umanesimo a Vico”.