CarloRomano
Camus Sade
Matias Faldbakken è un artista danese che è stato presente alla
Biennale di Venezia. È anche un narratore di cui Mondadori ha portato
recentemente in Italia un romanzo che risale, nell’originale, al 2000: The Cocka Hola Company. Vi si racconta,
attraverso ironici bozzetti di esplicito erotismo, di pochi giorni passati a
girare un film porno della Desirevolution,
non una semplice casa di produzione, ma un centro di elaborazione teorica per
un’utopia che, partendo dalla constatazione di una società priva di fondamento,
esalta le naturali pulsioni degli individui, costi quel che costi. Tema di
grande spessore letterario e filosofico che, in questo caso, viene ripresentato
in termini farseschi. In qualche modo si tratta di un ritorno alle origini
“sadiane” dello stesso, dopo la pensosità dei vari Dostoevskij o Conrad o
Camus.
Albert Camus, ecco! Uno scrittore che lo si è voluto a un tempo
profondo e ingenuo, male attrezzato come pensatore, vago in politica. Una piccola raccolta dei suoi
scritti in quest’ultimo campo la propone, per la cura di Vittorio Giacopini, la
casa editrice Elèuthera col titolo assai pertinente (e inesauribile) di Mi rivolto, dunque siamo. Ancorché si tratti di saggi in gran parte
conosciuti - la stessa casa editrice ne
aveva pubblicato alcuni nel 1998 in La
rivolta libertaria” – riavvicinare Camus non è mai superfluo. Un giovane che lo
avvicinasse per la prima volta troverebbe casomai in questa raccolta i
necessari e persuasivi stimoli per approfondirne la conoscenza. Senza contare
che i saggi sono preceduti da un lungo e significativo inedito, Né vittime, né carnefici, del 1946. E
proprio questo saggio è una volta di più illuminante sul rapporto di Camus col
nichilismo, con le estreme invocazioni di personaggi dei quali la letteratura -
come si è visto - continua a non essere avara, con la distruzione che si vuole
feconda, con la vita come controsenso.
Per Camus tutto ciò non è semplicemente la disperata esasperazione di
un fatto di coscienza, l’infezione che aggredisce un’acuta sensibilità cui ci
hanno abituato i romanzi, ma il campo stesso delle nostre scelte di vita:
“Tutto ciò che al momento mi sembra desiderabile si riduce a questo: che in
mezzo al mondo dell’omicidio ci si decida a riflettere sull’assassinio e a
scegliere tra coloro che decidono rigorosamente di essere assassini e quelli
che si rifiutano con tutte le forze di esserlo. Poiché esiste questa terribile
divisione, sarà almeno un progresso renderla evidente.” E poi, profetico:
“Attraverso cinque continenti e negli anni che verranno si scatenerà una lotta
terribile tra violenza e predicazione. È vero che le possibilità della prima
sono mille volte superiori a quelle della seconda. Ma io sono sempre stato
convinto che se l’uomo che spera nella condizione umana è un pazzo, quello che
dispera degli eventi è un vile.”
Queste parole Camus le scriveva su “Combat”,
il foglio cui, clandestino, aveva
collaborato negli anni della Resistenza e che adesso si avviava al successo
commerciale come quotidiano. Da tempo – dal 1937 – Camus aveva rinunciato a
seguire la precettistica dettata dalle centrali moscovite e non nascondeva la
sua simpatia per i movimenti libertari. Ciò malgrado era diventato comune in
certi ambienti accusarlo di “imborghesimento”. I testi raccolti nel volumetto
mostrano, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto – perlomeno in questi attacchi
di Sartre, Breton e altri – fossero viceversa deprecabili i deprecatori.
“Il Secolo XIX”, 21 novembre 2008