Carlo Romano

camp Camp

Fabio Cleto: Intrigo internazionale. Pop, chic, spie degli anni sessanta. Il Saggiatore, 2013

Negli anni Sessanta si diffuse negli Stati Uniti – si può dire a fianco della Pop Art – un’accezione gergale della parola “camp” la quale accezione, sebbene non del tutto sconosciuta, mai si era propagata come adesso, finita sulla copertina delle riviste e discussa fra intellettuali, studiosi di estetica e critici dei costumi. Il bello è che in realtà quest’accezione sfuggiva a ogni precisa delucidazione tanto che neppure a Susan Sontag, che le dedicò un saggio rimasto famoso e citato  - uscito in Italia nella raccolta Contro l’Interpretazione pubblicata nel 1967 da Mondadori nei “Quaderni della Medusa” , riuscì di imporre una definizione. Quel che si capiva era soprattutto un atteggiamento che, se specificato, non aveva niente di diverso dal più classico snobismo, vale a dire un certo gusto nel ribaltare la gerarchia dei valori estetici - privilegiando quelli di solito considerati disvalori ed elevando il Kitsch - unito a una sfacciata inclinazione per ciò che sembrava essere inutile o innaturale. A differenza del classico snobismo, che in qualche modo si fondava su scelte ragionevoli alle quali non mancava magari il successo, “il camp” sembrava essere più instabile e meno interessato a difendere le conclusioni cui spingeva. In sostanza tutto si riduceva a stabilire ciò che è “in” e ciò che è “out”, chi è dentro e chi è fuori. In altre parole, se si trattava di snobismo, era, deciso sul filo delle mode, snobismo di massa, come di massa, incurante dell’ossimoro, era il suo elitarismo dandystico. Non a caso il suo successo dipese proprio dal gran daffare che a quei tempi si agitava intorno alla “cultura di massa”.

Fabio Cleto, che insegna Letteratura Inglese e Storia della Critica presso l'Università di Bergamo, è l’unico oggi in Italia a occuparsi continuativamente (e si potrebbe anche azzardare  coerentemente) del problema estetico e comportamentale (se di problema si tratta) costituito dal “camp”. Nel 2008 aveva curato, fra l’altro, PopCamp, due grossi volumi (oltre seicento pagine complessive) della rivista monografica “Riga” (Marcos y Marcos) diretta da Marco Belpoliti. Il libro da poco uscito col Saggiatore (Intrigo internazionale. Pop, chic, spie degli anni sessanta) è decisamente più snello ma anche più vivacemente "camp" (se vuol dire qualcosa) ancorché salvaguardi sul piano teorico quella scivolosa inconcludenza che si addice all'argomento. Cleto torna a ragionare sul vecchio saggio della Sontag e, al di là della scansione dei capitoli, uno solo dei quali vi è ufficialmente consacrato, lo utilizza come il vero filo conduttore, benché si soffermi a lungo su questioni come l'estetica dei film bondiani, la "Factory" di Andy Warhol e i romanzetti di genere "pulp fiction". Proprio quest'ultimo tema mi è sembrato centrale sia per come si stringe sulla teoria (tentare di rivelare il "camp", come fece la Sontag, significa espropriarlo della sua estetica disimpegnata e chic) sia per quel che concretamente racconta, vale a dire la storia di Victor Banis, uno scrittore omosessuale che mentre uscivano riconosciuti capolavori come Città della Notte di John  Rechy e  Ultima fermata a Brooklyn di Hubert Selby Jr. giocava con le proprie inclinazioni inventando un agente segreto definito, come quello dell'UNCLE di una allora popolare serie televisiva, The man from CAMP. Anche questo agente sventa  fenomenali complotti ed è, come James Bond, al servizio della Regina, solo che nel suo caso la nobile figura è da interpretare sul piano allusivo (dove "regina" sta per "checca") delle parlate urbane. Ciò potrebbe risultare esemplificativo dell'associazione, che a suo tempo si fece, fra il "camp" e il gusto omosessuale, ma ancora una volta niente è seriamente  riconducibile a una formula. Ancora più vaga, se si vuole, è "la resa dei conti" che Cleto ha messo fra le ultime pagine del libro  sottotitolandola fra due parentesi con un significativo, e prudente, (continua). Ciò nondimeno l'idea, inspiegabilmente, risulta chiara ed è, a pensarci bene, spassosa. “il Secolo XIX”, 23 aprile 2013