Maurizio
Cabona
la Repubblica di Vichy, equivoco
tutto francese
Dopo il 1918 la Francia perde ogni guerra, molte se si pensa a quelle riunite nel concetto di decolonizzazione: dall’Indocina al Maghreb, da Suez al Madagascar. Le va male anche con la ricolonizzazione: perde l’influenza su Ruanda, Congo, Serbia e Iraq. Solo ultimamente mette piede in Libia… Ma nel trattato di pace del 1947 la Francia passa per potenza vincitrice, strappa all’Italia Briga e Tenda e favorisce la cessione della Zona B dell’Istria alla Jugoslavia. Due anni dopo Italia e Francia diventano alleate nel Patto atlantico, ma poi l’Italia sostiene la resistenza araba nel Maghreb francese e la Francia sostiene la resistenza sudtirolese in Alto Adige.
Gli Stati rivaleggiano anche quando sono alleati, figurarsi quando hanno appena smesso di essere nemici, come accade tra luglio 1940 e settembre 1943. Alleata della Germania, l’Italia impone alla Francia un regime armistiziale, occupandone prima aree esigue (Mentone), poi, dal novembre 1942, aree importanti (Nizza, Cannes, Grenoble…). Dal giugno 1940 la République Française è sostituita dall’Etat français, sorta di reggenza affidata a Philippe Pétain, l’eroe della prima guerra mondiale. Il Maresciallo è richiamato da Madrid, dove era ambasciatore dal 1939, alla vittoria di Franco.
Pétain è un ex-militare conservatore, nella cui scia è cresciuto un altro militare conservatore, Charles de Gaulle. Attorno a loro, dunque, si polarizza la guerra civile del 1940-1944. Si dirà poi che Pétain è lo scudo e De Gaulle è la spada della Francia nei confronti della Germania e dell’Italia. Qui rari libri raccontano l’Etat français: tra questi La Francia di Vichy. Una cultura dell’autorità (di Maurizio Serra, Le Lettere, pp. 292, euro 28), apparso per la prima volta da Laterza (1980) e ora riproposto con ampio aggiornamento su come la Francia di oggi vede la Francia di ieri. Serra è ambasciatore d’Italia all’Unesco, che ha sede a Parigi.
-Ambasciatore Serra, tra 1940 e 1944 la Francia è in regime
armistiziale; governa Philippe Pétain, un militare. Nel 1943-1947 l’Italia è in
regime armistiziale; governa un militare, Pietro Badoglio, poi dei politici.
Sintesi esatta?
Sì, per le contingenze. Ma i passati dei due Paesi sono profondamente diversi. L’Italia del 1943 ha una storia unitaria di nemmeno un secolo e la conclusione della vicenda fascista, dopo sconfitta militare e colpo di Stato monarchico, s’inquadra in una continuità di eventi.
-Mentre in Francia…
Nel 1940 c’è la divine surprise, lo stupore. La Francia, infatti, ha una storia di unità ormai di molti secoli, per alcuni dei quali è la prima potenza mondiale.
-Dunque?
Sconfitti dai tedeschi, i francesi non si rassegnano alla subalternità. L’Etat di Vichy passa per collaborazionista: lo è perché ciò gli permette di guadagnar tempo. E non preme per passare dall’armistizio alla pace, che declasserebbe definitivamente la Francia. Pétain approfitta del fatto che altrove la guerra continua.
-Detto dall’omologo di Pétain, Badoglio, «la guerra continua» viene
inteso come «tutti a casa».
L’esatto opposto… Anche qui emerge la radicale differenza di identità nazionale dell’Italia rispetto alla Francia.
-Oltre alla differenze strutturali, lei ha accennato a quelle
contingenti.
Quando la Francia s’arrende, la Germania controlla l’Europa centrale, ma Usa e Urss sono ancora neutrali. Il loro intervento cambierebbe i rapporti di forza. Quando ciò accade, nel 1943, all’Italia rimane solo di cambiare fronte.
-Pétain ha pieni poteri dal Parlamento.
Insorgendo contro di lui, De Gaulle sfida la legalità.
Resta da definire se si diano pieni poteri a Pétain per giungere all’armistizio o anche per sospendere la Costituzione e governare.
-Se i pieni poteri fossero solo per l’armistizio, Pétain avrebbe finito
il compito in una settimana: non avrebbe senso.
Poi c’è la questione della validità di quel voto parlamentare. Fin dai tempi di Daladier i deputati comunisti sono esclusi dal Parlamento e altri cento deputati sono prigionieri dei tedeschi.
-Anche se la legalità del potere di Pétain fosse imperfetta, quella del
potere di De Gaulle manca del tutto. Ma nel 1945 De Gaulle manda Pétain
all’ergastolo e Pierre Laval, suo primo ministro, al muro.
Laval è il capro espiatorio per ciò che i francesi negano di essere stati. Nel recente film Vento di primavera, specchio degli umori odierni in Francia, Laval appare prono ai tedeschi, ma non lo è fino in fondo.
-Se è legale il potere insurrezionale di De Gaulle del 1940, armato
dagli inglesi, lo è anche quello di Mussolini del 1944, armato dai tedeschi.
Una differenza è che De Gaulle vince e Mussolini perde; un’altra è che i francesi –con le sconfitte tedesche – passano dal pétainismo al gollismo. Gli italiani, con le sconfitte tedesche, si staccano da Mussolini. Ma, mentre per la Francia si dice che è stata “à l’heure allemande”, per l’Italia non s’è potuto dirlo. Quanto all’effetto successivo sulla legittimazione a governare, si nota che De Gaulle è un uomo di destra capace di una politica di sinistra. Neanche il Partito comunista, infatti, discusse il ruolo del Generale.
-E infatti, durante la Guerra fredda, la Francia è stata gollista anche
quando governava Mitterrand. Lo è stata meno con Giscard e Sarkozy, liberali.
Per i gollisti Vichy è un covo di traditori, come tali poi condannati. La Francia vera è a Londra, con De Gaulle. Nei primi anni Settanta, quando comincio a scrivere il mio libro, questa è la versione generalmente accettata.
-Nel 1972 il saggio di Robert O. Paxton, La Francia di Vichy (Il
Saggiatore), dimostra che ancora nel 1943 c’è più consenso per il Maresciallo
che per il Generale.
Questo libro segna il disgelo storiografico. Quando Chirac prenderà il potere, il mea culpa si generalizzerà, anche per coprire la svolta araba della politica francese.
-Negli scritti francesi dell’occupazione tedesca è assente l’Italia.
Totalmente. Le sconfitte italiane distolgono gli intellettuali della Collaborazione dal giocare Mussolini contro Hitler. Caso mai Pétain gioca Hitler contro Mussolini.
“Secolo d’Italia”, 28
febbraio 2012