C.R.L. James (1901-1989), nacque a Port of Spain, isola di Trinidad, in una famiglia della media borghesia negra. Frequentò il più prestigioso istituto scolastico dell'isola, dove ricevette un'istruzione classica all'inglese. Nel 1919, ispirato da un genuino interesse per le tradizioni indigene, partecipò alla fondazione della prima associazione nazionalista di Trinidad e aderì al movimento di Captain Cipriani, soprannominato "il Marcus Garvey della Giamaica". Nel 1932 si trasferì in Inghilterra, dove campò scrivendo di cricket, gioco assai popolare nei Caraibi. Molto più tardi, negli anni sessanta, dedicò a questo sport un libro, Beyond a boundary, nel quale mostrò come i modi inglesi ("entertainement") e quelli caraibici (paragonabili a ciò che il vudu è nelle pratiche religiose) fossero differenti nella sua ricezione. James fu inoltre l'autore di The black jacobins (I giacobini neri, Feltrinelli, Milano, 1968) un giustamente celebrato libro di storia dedicato a Toussaint Louverture e alla rivolta degli schiavi di Santo Domingo. Inizialmente vicino al trotzchismo, James se ne distaccò criticandone il giudizio sull'Unione Sovietica come "stato operaio degenerato". Era sua opinione che lo stato fosse quello di sempre, posto a controllare, in Russia come altrove (dai paesi fascisti all'America) una società "fordizzata". Dalle critiche a Trotzkij a quelle all'intero "leninismo" il passo fu breve. Visse per quindici anni negli Stati Uniti ed incappò nelle purghe maccartiste. Nel 1952, ad Ellis Island, dove fu rinchiuso in attesa di espulsione, scrisse Mariners, renegades and castaways, pubblicato l'anno successivo in un'edizione alla macchia. Di questo libro, imperniato su Moby Dick, proponiamo il capitolo dedicato all'elaborazione dei temi e dei personaggi melvilliani.

C.R.L. James

finzione e realtà (da Mariners, renegades and castaways*)

La domanda delle domande è: come può un libro appartenente al mondo del 1850 contenere in sé così tanto di quello del 1950?

La risposta più convincente la dà Melville stesso. Una volta spiegò in che modo i grandi scrittori creino figure eccezionali. Un personaggio come Ahab è originale; e con questo termine egli intendeva dire che si trattava di un tipo umano che non era mai esistito prima nel mondo. Simili personaggi appaiono una volta sola nel corso di molti secoli, e sono rari come gli uomini che fondarono nuove religioni, i filosofi che portarono una rivoluzione nella storia del pensiero umano, gli statisti che diedero vita a inedite forme politiche. Melville ne menziona tre: il Satana del "Paradiso Perduto" di Milton, l'Amleto della tragedia shakespeariana e il Don Chisciotte di Cervantes. Il motivo della loro rarità, secondo l'autore, è dato dal fatto che un artista dotato può dar vita a dozzine di personaggi interessanti, vivaci, intelligenti, pieni di fascino.. ma a quanti caratteri "originali"? Si può considerare molto fortunato se in tutta la sua vita ne crea uno solo.

Dove trova uno scrittore figure simili? Qui Melville è categorico. Sono nel mondo che lo circonda, nel mondo che è "fuori": non hanno origine nella sua mente.

Il processo sembra essere questo: i tratti inediti e nuovi che uno scrittore scorge negli esseri umani reali sono formati solo per metà, parziali, incompleti,- partendo da questi suggerimenti, il grande uomo di lettere crea jl tipo così come sarebbe se 1'originalità fosse perfetta. Con le sue caratteristiche umane completamente sviluppate, un personaggio come Amleto, o Don Chisciotte, o Ahab, non è mai esistito, e di fatto non potrebbe esistere. Esso è formato da una base realistica sulla quale immaginazione e logica costruiscono un sistema completo. Ma se qualcosa di nuovo per quanto riguarda la personalità è davvero comparso nel mondo, se lo scrittore è in grado di osservare con sufficiente acutezza, e la sua potenza creativa è abbastanza grande, le generazioni future saranno davvero in grado di vedere e riconoscere il tipo con un criterio di cui lo stesso artista non si sa servire.

Il secondo aspetto di questo processo è quasi altrettanto importante. Appena l'autore chiarisce la novità, l'originalità del personaggio, questo diventa una sorta di lampada che, girando su se stessa, illumina ciò che lo circonda. Qualsiasi altra cosa cresce e si sviluppa in accordo con la figura centrale, così che il carattere inedito, potremmo dire, aiuta l'artista a creare il ritratto non solo di un nuovo tipo umano, ma anche della società e delle persone che gli corrispondono.

Melville non parla così distesamente di questo concetto a proposito di Ahab e "Moby Dick", ma è un fatto di schiacciante evidenza che, quando scrive di personaggi come Amleto e Don Chisciotte, e di come siano stati generati, sta trattando della propria esperienza di creatore di Ahab: eccetto Aristotele, circa duemilacinquecento anni fa, ed Hegel, che operò una generazione prima di Melville, nessun critico ha scritto con tanta profondità dell'arte della grande creazione letteraria.

Quello che risulta più importante in questa teoria è l'idea che lo scrittore tragico debba elaborare un'adeguata concezione del personaggio per crearlo in modo perfetto. E' un processo che dura anni, finché il capolavoro viene scritto; e per dimostrare che ciò avvenne esattamente nel caso di Melville, ci bastano i semplici ed elementari fatti della sua vita prima di Moby Dick, per esporre i quali non serve più di un centinaio di parole.

Lo scrittore nacque a New York nel 1819, in una famiglia agiata, che però perse tutta la sua fortuna. Dopo aver fatto i lavori più disparati, Melville si imbarcò in qualità di semplice marinaio, prima per l'Inghilterra, poi per il Pacifico su una baleniera. Egli abbandonò poi 1'imbarcazione, visse tra gli indigeni di quelle zone e alla fine, dopo quattro anni, tornò a casa a bordo di una nave della Marina Americana, su cui lavorò ancora come marinaio. Aveva venticinque anni; iniziò a scrivere, e il suo primo libro fu un successo. Tra il 1845 e il 1850 ne pubblicò cinque. Nel 1851 creò Moby Dick.

Nessuno, a parte gli studiosi e le persone con uno speciale interesse per la letteratura, ha l'obbligo di leggere le opere precedenti al capolavoro, perché non ne vale la pena; tuttavia, è proprio in esse che si trova la spiegazione di come Melville sia arrivato a scrivere Moby Dick. Non c'è alcun miracolo. Si può tracciare lo stesso percorso nelle opere di Shakespeare.

Il primo romanzo, Typee, è il resoconto della vita dell'autore tra gli indigeni che praticavano il cannibalismo; piuttosto presto, nel corso della narrazione, chi ha familiarità con Moby Dick trova quello che verrà dopo.

Il protagonista sta progettando di fuggire dalla nave, e decide di chiedere ad un altro uomo di seguirlo. Si tratta di un certo Toby, che

"apparteneva a quel genere di vagabondi che qualche volta si incontrano sul mare, che non svelano mai la loro origine, non fanno alcuna allusione alla propria casa, e vanno errando per il mondo come se fossero perseguitati da un fato misterioso che non possono assolutamente eludere. … Era uno strano ribelle, sempre di malumore, incostante e malinconico - a volte quasi cupo. Aveva anche un'indole vivace e fiera che, quando lo dominava completamente, lo trasportava in uno stato al confine con il delirio. E' strano il potere che una mente piena di intense passioni può esercitare su nature più deboli. Io avevo visto un compagno muscoloso, cui non mancava un'ordinaria dose di coraggio, tremare tutto di fronte a questo magro adolescente, quando in uno dei suoi accessi furiosi...

Nessuno aveva mai visto Toby ridere..."

C'era una persona reale, Toby, che divideva con Melville la sua avventura: egli si stabilì sulla terra ferma, non perse una gamba, non fu capitano di alcuna nave e non andò a caccia di balene, ma già qui la mente dello scrittore è colpita da un tipo di persona che alla fine diventerà Ahab. Un profondo risentimento nei confronti del mondo, solitudine, cupezza, potere sugli uomini.

Nello stesso tempo, l'intelletto in questo modo si apre: in Typee Melville esprime la sua ammirazione per la civiltà dei Typee e opera il più critico confronto tra questa e quella europea. Egli osserva che durante le settimane da lui trascorse presso la tribù nessun uomo fu processato per qualche crimine. Per quel che poteva vedere, non c'erano né tribunali né giustizia. Niente polizia. Eppure ogni cosa nella valle procedeva in perfetta armonia e tranquillità. Accusò i missionari, i commercianti bianchi e i funzionari governativi di degradare e corrompere questa civiltà ideale, fosse pure di tipo cannibalico.

"Dirò francamente", scrive, "che dopo aver passato poche settimane nella valle del Marquesas mi feci della natura umana un'opinione più alta di quella che avevo avuto fino ad allora; ma, ahimé! ,in seguito sono diventato membro dell'equipaggio di una nave da guerra e la chiusa malvagità di cinquecento uomini ha quasi capovolto le mie precedenti teorie."

Il libro fu un successo sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, e Melville iniziò subito a scriverne il seguito, Omoo. Si tratta, come annuncia nell'introduzione, del racconto della pesca alla balena e di come si comportano i marinai durante il suo svolgimento.

L'attacco con la descrizione dell'equipaggio è anche più selvaggio di quello di Typee.

"Gli equipaggi che armano vascelli come questi sono formati per lo più da furfanti di tutti i paesi e di tutte le specie; raccattati nei porti senza legge del Mar delle Antille, e tra i selvaggi delle isole. Come schiavi di galee, si possono governare soltanto con la frusta e le catene. Gli ufficiali vanno tra loro con pugnale e pistola - nascosti, ma pronti alla presa."

Tra i marinai c'è una figura memorabile - un ramponiere indigeno, forte, senza paura, feroce; insultato da un compagno, fa di tutto per portare la nave al naufragio, con l'intero equipaggio a bordo, compreso se stesso. E' un altro esempio del tipo Ahab.

Dopo Omoo Melville lascia da parte il vero compito di un artista, lo studio della personalità e delle relazioni umane, e scrive un libro il cui speciale valore è dato dal fatto che mostra come la sua mente sia vicina alla nostra.

Mardi è costruito e scritto male e, nel complesso, per il lettore medio di oggi, ancor più che per quelli dell'epoca in cui fu pubblicato, risulta quasi illeggibile. La sua importanza è dovuta alla consapevolezza, maturata dall'autore mentre andava scrivendo, che il mondo così come lui lo conosceva era avviato al disastro.

Ecco la storia: un intellettuale, che allo stesso tempo è un comune marinaio, abbandona una nave. Questa volta il suo complice è un vecchio uomo di mare di origine scandinava, ignorante e superstizioso, ma abile, ardito, e di carattere leale e sincero. In Jarl affiorano i primi tratti dell'equipaggio di Moby Dick, a parte il fatto che qui abbiamo un individuo isolato. Il viaggio di questi uomini è anche una ricerca: per la prima volta emerge l'idea di una nave che parte per trovare una risposta al mistero del destino umano. Dopo alcune avventure di stampo realistico, ai due si unisce un indigeno, Samoa, uomo di grande coraggio, che ha perso un braccio. Benché ancora vagamente, le linee generali di Moby Dick iniziano ad apparire.

Durante uno scontro con dei selvaggi essi riescono a impadronirsi di una splendida ragazza bianca, Yillah. Il protagonista si innamora di lei e la corteggia con successo.

Il gruppo sbarca su una terra abitata da indigeni; il giovane marinaio si atteggia come un dio, Taji, e tutti vengono accolti dal monarca locale, Media, e ospitati nel suo palazzo.

Mentre si trovano lì, alcuni nativi giungono per presentare una petizione al re, con la richiesta che da quel momento in poi tutte le controversie tra le persone, insieme ai presunti delitti di lesa maestà, vengano giudicati da dodici uomini onesti e retti. Chiedono in pratica di essere processati da una giuria. Il sovrano ride a lungo, sguaiatamente e con sprezzo: "Io sono re, voi schiavi. Io comando, voi obbedite."

In questo modo veniamo gettati con violenza e senza preavviso in un romanzo satirico il cui soggetto principale è dato dai fondamenti della democrazia politica.

Yillah viene rapita dal regno di Media dai suoi nemici e risulta ben presto chiaro che si tratta di una figura simbolica, che corrisponde a pace, felicità, bellezza e altro ancora.

Per aiutarlo a ritrovarla re Media in persona si mette in viaggio con Taji e visita i paesi vicini. Il giovane è ben deciso a riavere la fanciulla, che per un attimo sembra essere la risposta alla sua ricerca; questa volta è assistito da filosofia, storia, poesia ed esperienza, personificate dallo storico Mohi, dal pensatore Babbalanja, dal poeta Yoomy e dallo stesso Media. Insieme, di paese in paese, essi giungono nel Poorpheero, che rappresenta l'Europa, e poi nella Vivenza, che è l'America. E' un preannuncio di quello che sarà in futuro il fatto che Jarl, il giovane marinaio e Samoa, l'indigeno, non sono interessati alla ricerca della felicità individuale. Essi restano indietro e vengono subito uccisi. Negli intervalli tra l'esame delle terre attraversate e le domande poste ai loro sovrani i viaggiatori discorrono incessantemente di religione, filosofia, poesia, storia e politica.

Le lettere di Melville mostrano che quando egli iniziò Mardi aveva la seria intenzione di scrivere una sorta di seguito di Typee e di Omoo; è ovvio dunque che avesse ceduto all'irresistibile impulso di esporre le sue opinioni sulla filosofia, la letteratura e la politica di Europa e America. Melville aveva coltivato profonde letture sulla storia antica e moderna, sulla letteratura classica e moderna, su filosofia e religione, e sulle questioni a favore e contro il Cristianesimo. Da quando era un autore di successo aveva cercato i suoi interlocutori ideali tra le persone colte ed informate. Mardi mostra il risultato.

L'Eropa viene rapidamente visitata, paese dopo paese: la povertà delle masse, il dominio dei ricchi; l'aristocrazia, le istituzioni religiose, il Papato, la legge, la medicina, la guerra, le immorali rivalità fra nazioni, l'inganno perpetrato dai governanti a danno del loro popolo, la pochezza della filosofia, l'inutilità dei poeti, tutto questo viene stigmatizzato senza indulgenza da Melville. Parecchie cose erano già state dette prima; lo scrittore non è molto brillante, anzi a volte risulta piuttosto superficiale, ma il suo rifiuto del modo di pensare e di agire dell'uomo del suo tempo è il più radicale che si possa immaginare.

Quanto la sua esperienza di vita sia vicina alla nostra è provato da quelli che sono i suoi principali interessi, (a) la rivoluzione mondiale e (b) il futuro della democrazia americana.

I viaggiatori di "Marnie" visitano Vivenza, che corrisponde agli Stati Uniti. Nessun Repubblicano nella campagna elettorale del 1952 disse nulla di così radicale contro la concussione, l'avidità e la corruzione del mondo politico di Washington come ciò che scrisse Melville: egli non denuncia un singolo partito, ma l'intero Congresso, con la convinzione che questo non cambierà mai. Dabbasso, dove venivano trattati grandi affari di stato, i capi dei partiti siedono intorno a un'enorme cavità. "Erano tutti leader di immenso valore - non è possibile dire quanto".

Il giorno dopo il gruppo torna di nuovo in quella sezione di Vivenza. Teniamo presente che in America era appena arrivata la notizia dei moti francesi del 1848; e dobbiamo ricordare che a Washington non solo la popolazione esultava, ma la stessa Casa Bianca era illuminata. A questo quadro fa riferimento Melville: la gente è in delirio, e attende speranzosa, in preda all'eccitazione e lanciando sguaiati evviva, la notizia della morte dei regimi monarchici. "Chi può opporsi al popolo? I tempi raccontano terribili favole ai tiranni! Prima che noi moriamo, o uomini liberi, tutti i Mardi saranno liberi".

Nel mezzo del tumulto gli uomini festanti scoprono una scritta su pergamena, opera di un anonimo, e dopo lunga discussione decidono di leggerla ad alta voce. Melville lascia insoluta la questione di chi ne sia l'autore, ma è chiaro che contiene il suo punto di vista.

Secondo il rotolo, il grande errore degli statunitensi è di credere che l'Europa entri ora nell'ultima scena del suo dramma teatrale, e che tutti i precedenti fatti storici siano stati strutturati in modo da portare a "una repubblica universale e permanente". La gente che lo pensa è stupida: la storia ci insegna che ogni istituzione arriva alla fine al collasso. Così accadde alla repubblica di Roma, e alla repubblica della Rivoluzione Francese. Se l'America è diversa, è solo perché ha vaste terre occidentali, depredate le quali giungerà la crisi. Se la sua popolazione fosse stata oppressa così pesantemente come quella inglese, allora il grande esperimento avrebbe potuto originare un'esplosione. Il popolo è libero perché è giovane, ma il passare del tempo supera tutto. Non si deve pensare che questo paese "rimarrà per sempre libero come è adesso".

L'uguaglianza è un'illusione: nessuna parità di sapere può sbarazzarsi dell'innato servilismo di un mortale nei confronti di un altro mortale; gli uomini sono inevitabilmente divisi in brigate e battaglioni, comandati da capitani.

La libertà politica non è lo scopo primario né la principale fortuna: la libertà è valida solo come mezzo, non è un fine in se stessa. Se anche gli uomini lottassero per lei contro i tiranni tanto da immergere il coltello fino al manico, non si toglierebbero per questo il giogo della schiavitù. In nessuna stabile democrazia tutti gli uomini governano se stessi. Anche se un intero esercito è composto da volontari, non può che essere retto dalla legge marziale. La gente che vive in un consorzio sociale deve delegare il potere.

"Libertà è il nome di qualcosa che non è libertà".

In tutta Europa "i poveri vengono umiliati davanti ai ricchi … ovunque si trova la sofferenza".

"Dunque, la libertà è più un fatto sociale che politico, e la condizione felice che ne deriva non può essere condivisa. Si tratta del personale raggiungimento e possesso di un uomo. Non è questione di chi regge lo stato, ma di chi domina me: meglio essere sicuro sotto un unico re, che esposto alla violenza di venti milioni di monarchi, anche se io sono nel numero".

Benché si abbia bisogno di grandi riforme, adesso qui si richiedono sanguinose rivoluzioni: la gente credeva che il vecchio tempo del sangue e della spada fosse terminato, e che il mondo iniziasse a stabilizzarsi, ma questa è pura illusione. Una volta ancora la terra brucia. L'America dovrebbe separarsi dall'Europa con le parole e con i fatti.

Quando i viaggiatori di Melville lasciano Washington vanno al Sud, dove sono testimoni della pratica della schiavitù. Essi sono pieni di sdegno, ma non riescono a mettersi d'accordo se la rivoluzione degli schiavi sia cosa giusta o no. Tuttavia, si rendono conto che concludendo per il no non sono molto migliori di Calhoun, l'apologeta dello schiavismo: Non è la prima volta che i viaggiatori vengono messi in difficoltà dal problema della rivoluzione: quando erano scoppiati i moti francesi del 1848, si erano trovati combattuti fra la paura della violenza e della distruzione, da una parte, e la speranza, dall'altra, che da quel fermento potesse venire qualcosa di importante per l'umanità.

E' chiaro che c'è una notevole distanza fra la Repubblica Universale del 1848 e la rivoluzione mondiale così come noi la conosciamo fin dal 1917; è anche estremamente pericoloso considerare queste idee alla stregua di uno specifico indirizzo politico di Melville. Lo scrittore era un artista, e non aveva alle spalle alcun approfondito studio di economia e di politica; senz'altro il suo credo estremista ne faceva un democratico incline al fanatismo. Alcune opinioni espresse in quest'opera verranno cambiate in quella successiva, ma Mardi mette in luce come egli creda già che un futuro di continua espansione della democrazia rappresenti un'illusione, per l'America come per il resto del mondo, e che la politica sia un gioco per gli uomini che gestiscono il potere. Emerge inoltre quanto sia coinvolto dal problema di definire quello che gli uomini intendano esattamente per "libertà". Non è difficile capire che sta riflettendo proprio sugli stessi concetti su cui si arrovellano gli uomini d'oggi.

Yillah non viene mai trovata; Taji subisce il fascino tentatore di Hautia, dai capelli neri, un simbolo molto esplicito di ricchezza, sensualità, lusso e potere; sta per cederle, ma alla fine riesce a sfuggirle e si allontana, solo, su una semplice barca, inseguito da tre soldati della donna. "E così, cacciatori e preda svanirono in un mare senza fine": questa è l'ultima frase del romanzo; quello che il marinaio-intellettuale cercava non è stato trovato.

Mardi fu un fiasco. Melville si trovava adesso senza denaro e doveva scrivere per guadagnarne, e scrivere con rapidità; ed è esattamente in questo suo sedersi a buttar giù tutto ciò che aveva in mente che noi possiamo scorgere lo sviluppo delle sue idee. Nei due libri successivi, che precedono Moby Dick, noi assistiamo al rafforzarsi del suo rifiuto del mondo che conosceva, e alla creazione di ciò che ne avrebbe preso il posto; è qui che lo scrittore inizia a lavorare sul tipo che diventerà Ahab.

Redburn è il resoconto del suo primo viaggio in Inghilterra. Come per Typee e Omoo, si tratta di una finzione costruita su una solida base reale: ancora una volta Melville ripercorre le sue prime esperienze. Il romanzo è dominato dal personaggio di Jackson, un uomo appassionato, di grande forza spirituale, in rivolta contro il mondo per le offese che gli ha arrecato. A bordo è il marinaio migliore; nonostante sia fisicamente debole, la forza della sua personalità è tale che tutti gli uomini della nave lo temono. Non ha ricevuto alcuna educazione, ma la sua mente è pronta e penetrante in modo meraviglioso, e sa comprendere la natura umana, la gente con cui ha a che fare. Infine, c'è il suo sguardo, "il più profondo, sottile, infernale sguardo che io abbia mai vi sto in un essere umano".

Potrebbe avere trent'anni, o cinquanta; ha viaggiato in tutto il mondo come marinaio, e ha orribili esperienze da raccontare, vicende di pirateria, pestilenze, avvelenamenti. Con la salute ormai rovinata dalla terrificante vita che ha vissuto, odia chi è giovane e sano, e sembra determinato a morire con una maledizione sulle labbra. Il mondo è per lui un'unica persona, che gli ha arrecato offese spaventose, e l'odio sta ribollendo e suppurando come una piaga nel suo cuore. Melville adduce la ragione di questo atteggiamento: un giorno un marinaio, in presenza di Jackson, parla del paradiso che attende tutti gli uomini, inclusi quelli che corrono i mari, come premio delle loro sofferenze sulla terra. In un soffio, sembra uscire l'intero odio del vecchio: il compagno è un idiota a parlare così, e ogni parola sul paradiso è una menzogna. "Io lo so!" E sono idioti tutti quelli che ci credono. Il paradiso per i marinai? Forse che permetteranno a uno di loro di entrarci, con la pece sulle mani e il grasso nei capelli? La morte ingoia un marinaio come questi manda giù una pillola, ed egli si augura che qualche tempesta possa inghiottirsi l'intera nave.

A prima vista qui riconosciamo la pura e radicale coscienza dell'ingiustizia, l'odio totalitario, la febbrile volontà di distruggere tutto il mondo per vendetta, che saranno alla base del personaggio di Ahab. Ma Jackson non è Ahab, è un lavoratore il cui terribile carattere è dovuto, secondo Melville, alla sofferenza e alla miseria cui la società ha condannato la classe alla quale appartiene. E' proprio qui che alcuni dei più grandi scrittori del diciannovesimo secolo si sono fermati, e non sono mai andati un passo oltre; ed è precisamente qui, invece, che inizia l'originalità di Melville. Egli conosceva gli operai e sapeva che non sono uomini che desiderano distruggere il mondo per vendetta.

Nella sua esposizione di come un grande scrittore riesce alla fine a ritrarre un carattere eccezionale aveva scritto che, iniziando a lavorare sul personaggio, tutto intorno sembra cominciare ad andargli incontro, a corrispondergli. Parrebbe questo, per quel poco che si può definire un simile processo, il sistema con cui Melville arrivò alla formazione dell'equipaggio di Moby Dick. Ne abbiamo quasi la certezza: quando il futuro creatore di quegli uomini si mise a scrivere il suo primo libro, Typee, tutto quello che aveva da dire sui marinai riguardava la grossolanità della mente e del corpo, l'animo corrotto, le turpi passioni, la volgare licenziosità, la vergognosa ubriachezza. Quando parlò della caccia alla balena e delle baleniere in Omoo, fu anche peggio. In Mardi c'è un mutamento; ma solo adesso, con Redburn, inizia seriamente a esaminare l'equipaggio. Lo ritrae ancora come un insieme di uomini ignoranti e crudeli, ma comincia a parlare della loro abilità. Anche più importante è il fatto che si lancia in una lunga difesa dei marinai come classe di lavoratori. Essi portano per il mondo missionari, ambasciatori, cantanti d'opera, eserciti, mercanti. Gli affari del pianeta dipendono da loro; se all'improvviso emigrassero sulle flotte della luna ogni cosa sulla terra si fermerebbe, eccetto la sua rivoluzione sul proprio asse e gli oratori del Congresso americano. Le persone rispettabili e i pii ipocriti fanno un po' di carità ai marinai e parlano di migliorarne la condizione; ma non c'è nessun reale miglioramento, né ci potrà mai essere. Il mondo è organizzato in modo tale che i poveri, appartenenti alla classe lavoratrice, devono portare il fardello, e gli uomini di mare sono tra quelli.

In Redburn appaiono anche tre nuovi elementi. Melville fa un quadro orribile della miseria della popolazione di Liverpool e della crudeltà generale; lo rivedremo di nuovo nei capitoli iniziali di Moby Dick. Il racconto del viaggio di ritorno a casa descrive poi a lungo le sofferenze di un gruppo di immigrati irlandesi, e la perfidia e l'egoismo del capitano e dei passeggeri delle cabine.

Cambia anche la sua opinione dell'America, che si separa dal l'Europa; adesso lo scrittore auspica che il paese diventi, negli anni futuri, una società libera, formata da tutte le razze della terra:

"C'è qualcosa, che scopri osservando il modo in cui l'America è stata fondata, che in un nobile cuore può estinguere per sempre il pregiudizio della disuguaglianza fra i popoli. Poiché è stata creata dalle genti di tutte le nazioni, tutte le nazioni possono considerarla propria. Non puoi versare una sola goccia di sangue americano senza versare quello del mondo intero... Il nostro sangue è come il fiume delle Amazzoni, formato da migliaia di nobili corsi d'acqua che si riversano tutti in uno. Più che una nazione, noi siamo un mondo... Il nostro spirito ancestrale si perde nell'universo pagano; Cesare e Alfred, San Paolo e Lutero, Omero e Shakespeare sono nostri quanto Washington, che appartiene tanto al mondo come a noi. Siamo gli eredi di ogni tempo, e con tutti i popoli dividiamo questa eredità. Nell'Emisfero Occidentale le tribù e le genti stanno creando un'unica federazione; e ci sarà un futuro in cui vedremo gli alienati figli di Adamo restaurati nell'antico focolare dell'Eden".

Questa concezione ritorna nell'atto creativo che dà vita all'equipaggio del Pequod, considerato come una delegazione alla Anacharsi Clootz, che cerca l'universale repubblica della libertà e della fraternità sotto la guida di ufficiali americani.

Il principale interesse di Melville, tuttavia, è ancora il carattere individuale di appassionata rivolta, che per il momento è rappresentato da Jackson.

Lo scrittore paragona quest'uomo all'imperatore Tiberio, personificazione del male nei tempi antichi, e al Satana del "Paradiso Perduto" di Milton. Afferma che questo marinaio yankee è degno di stare alla pari con simili figure storiche, ma è ancora piuttosto confuso: non ha visto il personaggio nella sua totale perfezione. Dichiara che nel male non c'è alcuna dignità; fa onore al genio di Milton il fatto che abbia saputo creare, dopo un mostro come Satana, un poema di tale bellezza. Melville non ha risolto il suo problema, ma ha già compreso di cosa si tratta: deve mostrare quale purezza e che radici profonde abbia questo spaventoso desiderio di vendetta nei confronti del mondo, covato da uomini inaspriti, gli uomini del suo secolo - gli yankee che conosce bene. Avverte l'imponenza di questa forza in tutto ciò che lo circonda, e capisce che la terra dovrà prima o poi fare i conti con essa; è già certo che tale passione distruttiva non appartiene agli aristocratici, ai finanzieri, ai possidenti, e per loro nutre un generale disprezzo; capisce che si trova tra gli uomini che lavorano.

Se avete letto Moby Dick potete avvertire l'incertezza di Redburn, ma la figura del ribelle pieno di passione, che rifonderà o distruggerà, e l'equipaggio, anche solo nella nuova attitudine dello scrittore nei suoi confronti, ci sono già.

Nel romanzo successivo, White Jacket, Melville attraversa il ponte che separa il suo tempo dal nostro: la sua più grande scoperta consiste nel mettere da parte le caratteristiche individuali per considerare gli uomini nei termini del lavoro che fanno: una nave da guerra è un'organizzazione in cui ciascun componente ha una specifica funzione; uno può essere un ubriacone, un altro un ladro; questo scrive poesie, quello è uno splendido marinaio, che sembra nato per comandare i suoi simili e affascinarli, ma un'imbarcazione in realtà non è nulla più che un variegato gruppo di persone che fanno determinati lavori, senza i quali tutto sprofonderebbe nel caos più completo. E' questa particolare attività che determina le loro caratteristiche sociali, e la nave è solo una miniatura del mondo in cui viviamo.

Questa scoperta porta lo scrittore a fare il suo più grande passo, prelevando il personaggio di Jackson dall'equipaggio per collocarlo tra gli ufficiali, dove lo ritroveremo come Ahab.

Qual è l'elemento più amaro di questa figura? E' il suo isolamento, che risulta connaturato alla funzione dell'autorità nel mondo moderno; Melville se ne rende conto quando scrive degli ufficiali presenti sulla nave da guerra. Prendiamo il Commodoro: c'è il sospetto che sia muto, dal momento che l'autore del libro non l'ha mai sentito pronunciare una parola; non solo, ma la sua pura apparizione sul ponte sembra poter inoculare a tutti il tetano. La vera ragione del suo comportamento è forse dovuta al fatto che, come ogni alto funzionario, egli deve preservare la sua dignità; poiché, tolta quella comune che appartiene a ciascun essere umano, i Commodori non ne hanno altra, come i sovrani, i generalissimi, i grandammiragli essi devono assumere un atteggiamento rigido e severo, che per loro è sgradevole e appare ridicolo ad una generazione illuminata. Melville è ben conscio di questo, ma neanche due anni dopo Ahab parlerà a cuore aperto sulla schiavitù causata dal comando solitario sulla costa della Guinea.

Sul Pequod, la parola di Ahab è legge, e ciò paralizza ogni tentativo di opporglisi. Su una nave da guerra il graduato più vicino al commodoro è il capitano: quel che dice non si discute, ed egli non parla altro che per comandare; dà ordini perfino al sole. Quando viene calcolata l'ora in base all'osservazione della luna, sono ufficialmente le dodici solo nel momento che il capitano dice: "Che sia". Ahab frantumerà il quadrante e metterà in crisi l'intera procedura, oltre alla base scientifica che le sta dietro.

La cena è il simbolo del suo isolamento sociale l'orario del pasto su una nave da guerra indica le diversità di rango. Il Commodoro mangia da solo alle quattro o alle cinque; il capitano alle tre; i marinai più giovani alle due. Una volta un capitano cenò alle cinque, mentre il suo superiore aveva preso il pasto alle quattro: una nota di quest'ultimo gli impose di spostare l'orario alle tre e mezza.

E' la relazione tra gli uomini che lavorano che dà forma al carattere umano, e a bordo quella determinante è tra marinai semplici e ufficiali.

Sulla nave c'è anche la fanteria di marina. Perché? Perché gli ufficiali vogliono usarla contro i marinai, e questi contro quella: Melville condanna l'intero sistema non solo come marcio, ma anche incurabile.

"Le immutabili cerimonie e la rigida etichetta di una nave da guerra; le acuminate barriere che separano i vari gradi; la delega dell'autorità assoluta su tutti i marinai; 1 impossibilità, per il comune uomo di mare, di difendersi da abusi di ogni genere, e molti altri problemi che potrebbero essere enumerati, tutto tende a generare nella maggior parte delle imbarcazioni da guerra una situazione sociale che è esattamente l'opposto di quello che qualsiasi cristiano potrebbe desiderare. Sebbene ci siano vascelli che in qualche misura costituiscono delle eccezioni, e su altre navi la realtà dei fatti venga resa scintillante da un'esteriorità accurata e puntigliosa, che nasconde quasi completamente il vero ai visitatori casuali, lasciando nel retro i fatti peggiori della vita del comune marinaio, tuttavia è certo che quel che si è detto dell'interno di una nave da guerra sia applicabile più o meno alla maggioranza dei vascelli della marina. Non è che gli ufficiali siano così malvolenti, o che i marinai di una nave da guerra siano, nell'insieme, così depravati; alcuni problemi sono causati inevitabilmente dagli effetti del codice navale, altri risultano connaturati all'equipaggio di un'imbarcazione e, come i guasti di natura organica, sono incurabili, a meno che esso si dissolva insieme all'istituzione in cui vive."

La guerra? L'intera questione del conflitto è come un pugno in pieno viso per il buon senso e lo spirito cristiano; perciò qualunque cosa sia legata ad esso è inevitabilmente assurda, contraria alla pietà religiosa, barbara, brutale; ha il sapore delle isole Feejee, del cannibalismo, del salnitro e del diavolo". Ma cosa succede se il tuo paese viene attaccato? Allora il conflitto non ha nulla a che vedere con quel che si è detto; però, se tu ti professi cristiano, devi dunque esserlo sempre.

Il cappellano è un ipocrita; il medico di bordo un pazzo assetato di sangue, e i suoi sottoposti dei codardi e degli egoisti; il civile responsabile della disciplina un imbroglione, un trafficante e un gran furfante; il commissario di bordo un ladro.

Il più affascinante sviluppo del lavoro di Melville, però riguarda la maniera in cui adesso considera l'equipaggio: White Jacket è il racconto di tutti i suoi difetti e crimini, ma c'è una descrizione dettagliata dei vari tipi di lavoro che gli uomini fanno e del genere di persone che li fanno. Ecco due esempi:

Gli uomini addetti all'ancora di tonneggio sono tutti veterani, abili marinai, terrorizzati dagli ufficiali e fanatici adoratori di Andrew Jackson. Tre ponti piu giù ci sono i trogloditi, gente che vive sotto la superficie tra le taniche d'acqua, i barili e i cavi. Non potrai mai conoscerne i nomi, ma "nelle tempeste, quando tutti sono chiamati a salvare la nave, essi escono fuori nella burrasca, come i misteriosi uomini di Parigi durante il massacro dei tre giorni di settembre; tutti si chiedono chi siano, e da dove vengano. Scompaiono altrettanto misteriosamente di come sono apparsi, e non li si vedrà più, fino ad un altro momento di allarme generale."

Il riferimento al massacro riguarda, come è ovvio, la ben nota pagina della Rivoluzione Francese, ed è impossibile credere che Melville non si rendesse ben conto della portata di ciò che andava scrivendo.

Adesso per lui l'equipaggio è la personificazione di un certo ordine sociale: il fatto di essere legati ad un determinato tipo di lavoro conferisce agli uomini che lo compongono interessi, idee e attitudini che li separano completamente dal resto del consorzio umano.

Lo scrittore non ha ancora stigmatizzato le differenze tra la ciurma e gli ufficiali con la chiarezza che troveremo in Moby Dick, dove Ahab, Starbuck e Ismaele da una parte, e l'anonimo equipaggio dall'altra, reagiscono a piccoli e grandi eventi in un modo che crea una forte opposizione; ma dopo aver letto il capolavoro, si capisce che anche in White Jacket la linea di divisione è chiara.

In tutto l'ultimo capitolo del romanzo la nave viene assunta come simbolo del mondo reale. "Visto dall'esterno, il nostro mestiere ha un che di menzognero: tutto quello che si può osservare è il ponte tirato a lucido, e le bordature dipinte di fresco sopra la linea di galleggiamento; laddove, l'intera grande massa della nostra struttura, con tutti i suoi magazzini di segreti, scivola per sempre ben più giù della superficie". La maggioranza degli uomini sono molto al di. sotto del ponte e nessuno sa cosa stia accadendo loro. Commodori, capitani e grandammiragli sfilano come i capi devono fare, ma né loro né qualcun altro sa dove stia andando il vascello. Tipico di Melville è il fatto che elogia il commodoro in quanto è un vecchio coraggioso che ha combattuto eroicamente per il suo paese; il capitano, come spesso succede, non è un uomo malvagio o vendicativo; essi vivono in un mondo in cui devono comportarsi come si comportano. Davvero notevoli sono il buon umore e lo spirito dello scrittore, che spariscono solo quando si parla del problema delle frustate. Egli non incalza l'azione; come in Mardi, si sta chiarendo le idee. In Moby Dick c'è molto poco di questo genere di ribellione.

Melville non è un agitatore, è un artista creativo che si sta muovendo in modo deciso verso il traguardo più difficile - la creazione di un personaggio che riassume in sé un'intera epoca della storia umana. E in White Jacket fa per ben due volte il ritratto del "tipo".

Il primo modello è il vecchio Ushant, capitano del castello di prua: un uomo sui sessant'anni, sempre svelto nel compiere il suo dovere, e ardito nel montare sull'albero di trinchetto durante una tempesta; quando però il suo compito non lo richiede, egli se ne sta tranquillo, ed è un vecchio riservato e maestoso, che spesso parla di filosofia agli uomini che lo circondano:

"E non bisognava disprezzare la sua filosofia: era ricca di saggezza. Infatti questo Ushant era un vecchio, con un innato buon senso, un uomo che aveva visto praticamente l'intero orbe terracqueo, e sapeva ragionare di civili e primitivi, di pagani ed ebrei, di cristiani e mussulmani. Le lunghe veglie notturne del marinaio posto a fare la guardia sono ideali per far uscire allo scoperto le facoltà riflessive di qualsiasi persona seria, anche se umile o priva di educazione. Pensa, allora, a quel che possono aver significato per questo abile e vecchio lupo di mare un mezzo secolo di sfiancanti turni di guardia sull'oceano. Egli è una sorta di Socrate marino, che in vecchiaia "elargisce gli ultimi messaggi della sua filosofia di vita", come ha fatto il dolce Spencer; e io non potrei mai guardarlo, e contemplare la sua veneranda chioma, senza conferirgli quel titolo che, in una delle sue satire, Persio dà all'immortale bevitore della cicuta."

Strani e contraddittori (ma logici, come risulta ad un'analisi approfondita) sono i processi per cui gli scrittori arrivano ai loro capolavori. Il primo riferimento all'Ahab di Moby Dick in White Jacket è quello che segue:

"… un uomo dotato di una forza superiore, con un cervello eccezionale e un cuore pieno di gravità; un uomo che, anche per il silenzio e la solitudine di molte lunghe notti di guardia sulle acque più remote, e sotto lo sguardo di costellazioni che qui al nord non si sono mai viste, è stato portato a lasciar vagare i suoi pensieri in modo insolito e in totale indipendenza; ha ricevuto tutte le impressioni più dolci o più crude della natura nella loro vivezza, direttamente dal suo seno vergine, spontaneo e aperto, e soprattutto per questo motivo, benché aiutato da alcuni vantaggi fortuiti nell'apprendere un franco e fremente linguaggio di grande nobiltà - che nel censimento di un'intera nazione un uomo rende unico - è quasi una creatura pagana, nata per nobili tragedie."

Uno dei modelli per Ahab è chiaramente questo splendido vecchio, che ha anch'egli in sé molto dello spirito di sfida del capitano: quando la nave è ormai prossima a toccare il suolo della patria arriva l'ordine che tutti si radano e gli uomini, che avevano curato barbe maestose proprio in vista del ritorno a casa, sono furenti. Rischia quasi di scoppiare una sommossa, che viene scongiurata in effetti solo grazie alla saggezza e alla popolarità di Jack Ghase, un marinaio amato da tutto l'equipaggio; alla fine gli uomini cedono, tutti eccetto il Vecchio Ushant. Alla minaccia di essere frustato se non obbedisce all'ordine, egli risponde che la barba è di sua proprietà. Il vecchio viene punito e messo ai ceppi; dopo due giorni questi gli vengono tolti, ma egli resta confinato per tutto il viaggio. Il suo periodo di servizio è finito, e quando la nave raggiunge il porto, Ushant si impadronisce di una barca e tocca terra, tra le incontrollabili grida di evviva di tutti i compagni. L'episodio delle barbe e del vecchio occupa quattro capitoli del romanzo e costituisce la fase culminante del libro: in qualche modo la barba di quel vecchio è diventata la prova del suo coraggio; avrebbero potuto ucciderlo, ma egli sarebbe morto con la faccia non rasata.

Il secondo esempio del tipo-Ahab non è nient'altro che l'eroe del libro, il giovane White Jacket. Un giorno il ragazzo, ritenuto colpevole di qualche misfatto, viene chiamato per ricevere i colpi di frusta, come al solito davanti all'equipaggio. Egli è innocente, ma le sue spiegazioni risultano inutili, e la punizione sta per essere applicata. White Jacket, però, è ben deciso a non subirla: oltre il punto dove sta ritto il capitano non c'è parapetto, e il giovane vuole scagliarsi contro di lui e buttarlo in mare. Anch'egli, così facendo, finirà fuori bordo, ma è pronto a pagare quel prezzo. Proprio mentre sta per mettere in atto la sua decisione disperata uno dei marinai più ascoltati fa qualcosa di inaudito: esce fuori dal gruppo dell'equipaggio e dichiara al capitano che non pensa che White Jacket sia colpevole. Il capo della ciurma, incoraggiato da questo gesto, fa lo stesso. Preso alla sprovvista, l'ufficiale esita per un attimo e poi congeda il ragazzo, mettendosi a passeggiare distrattamente "mentre io, che per la disperazione della mia anima stavo per diventare un assassino e un suicida, quasi scoppiai in un pianto di gratitudine per il fatto di essere lì dov'ero".

Suicida e assassino: distruggi te stesso e tutto ciò che puoi ghermire piuttosto che sottometterti. Perfino dopo Moby Dick, Melville fu assorbito per anni dalla riflessione su questo particolare tipo di carattere, che gli sembrava essere apparso per la prima volta nel mondo e destinato - aveva ragione - a dominare sempre più la società umana. White jacket è la fine del suo apprendistato.

E' possibile, a questo punto, avere qualche dubbio su cosa avesse in mente lo scrittore quando creò Moby Dick? I suoi primi libri non sono il resoconto della sua vita dal 1839, quando si imbarcò per la prima volta, al 1844, quando tornò a casa; sono piuttosto la storia del suo sviluppo intellettuale dal 1844 al 1850, dell'evoluzione della più bella intelligenza del Nuovo Mondo, e la più grande, dopo quella di Shakespeare, che abbia avuto a che fare con la letteratura. Non si deve pensare che Melville abbia svolto coscientemente il processo, da un libro all'altro, come qui è stato esposto, ma i romanzi mostrano come esso si sia sviluppato con logica perfetta; forse non negli anni di Moby Dick, ma senz'altro in quelli successivi, Melville si rese conto di ciò che era accaduto e lo analizzò ne L'uomo di fiducia.

La domanda finale, comunque, non e "come abbia fatto", ma "che cosa abbia fatto". La prova è nel mondo che ci circonda: non è quel che aveva in mente quando ha scritto che è importante; se Melville tornasse a vivere oggi, come vedrebbe il nostro mondo, che egli quasi profetizzò basandosi su quello che conosceva? La risposta al quesito si trova nei suoi libri e nella vita che abbiamo intorno.

Dopo essersi sbarazzato dei concetti tradizionali, lo scrittore inizia a recuperare le sue eperienze personali. Comprende che il proprio contatto con la Natura si realizza attraverso il lavoro svolto sulla nave: qualcosa di nuovo nasce nella letteratura, inedito come è Ahab tra gli uomini. Redburn si arrampica sull'albero durante una tempesta: è qualcosa che ha a che fare con un selvaggio delirio, la corsa vertiginosa del sangue, il fremito e la pulsazione dell'intero corpo, quando ti trovi lanciato in alto ad ogni beccheggio, in alto fra le nuvole di un cielo tempestoso, mentre ti lanci come un angelo del giudizio tra l'aria e la terra, le mani entrambe libere, un piede nelle sartie e un altro spinto un poco indietro, nel vento.

L'impostazione è ancora romantica: Melville descrive sempre i sentimenti di Redburn come farebbe un intellettuale colto; ma questo non è Rousseau che trova nella Natura un rifugio ai mali della società, o Wordsworth che medita su una primula gialla, o Shelley che elargisce i suoi versi sulla libertà al Vento dell'Ovest, o ancora Keats, che segue il volo di un usignolo sopra Hampstead Heath e si lascia naufragare in pensieri di morte e di innumerevoli generazioni di defunti, o Whitman, sconvolto dalla morte di Lincoln, che se ne parte da solo per guardare l'acqua e sognare la morte. Qui non si tratta di emozioni o riflessioni personali, né di un gioco; Redburn deve salire sull'albero perché quello è il suo compito, in ogni momento sia necessario farlo, con la bonaccia

o la tempesta, e se egli sbaglia cadrà e perderà la vita: di questo Melville rende avvertito Ismaele che sogna sul ponte di comando.

In White Jacket lo scrittore attraversa momenti in cui si libera di tutta la sua coscienza letteraria. La nave sta doppiando Capo Horn, e nessuno sospetta quale distruttiva bufera si scatenerà nella calma di quel viaggio, facendo affondare l'imbarcazione con tutti gli uomini che sono a bordo. Esplode una tempesta: i marinai che reggono il doppio timone sobbalzano su e giù aggrappati all'impugnatura, "perché tutto il timone e la chiglia, galvanizzata, erano febbricitanti in modo selvaggio, per la vita comunicata loro dalla tempesta". Cinquanta uomini ricevono l'ordine di serrare la vela di maestra in coffa: l'attrezzatura è coperta dal ghiaccio, e per tre quarti d'ora essi rimangono nella più completa oscurità, avvinghiandosi alla loro vita preziosa, finché devono abbandonare l'impresa. Ma tornare indietro non è così facile: alcuni devono gettarsi lungo il pennone, abbracciarlo con mani e gambe e tenersi stretti; eppure, nessuno ha paura:

"La verità è che, in circostanze come queste, il senso di paura è annichilito dall'indicibile vista che riempie tutto lo sguardo, dai suoni che colmano l'intero orecchio. Avviene la tua identificazione con la tempesta; il tuo essere insignificante è perso nella furia del selvaggio universo che ti circonda."

Non si può trovare nulla di simile a questo in nessurno scrittore romantico, da Rousseau a Whitman.

Molto significativamente, il paragrafo successivo è:

"Sotto di noi, la nostra nobile fregata sembrava tre volte più lunga di quanto fosse - un immenso cuneo nero, che opponeva la sua prua gigantesca alla furia unita del mare e del vento."

Non c'è da stupirsi che in Moby Dick e altrove Melville si prenda gioco di Byron con i suoi rapsodici versi:

"Oscilla, tu buio e profondo oceano blu, oscilla, Diecimila navi beccheggiano invano su di te."

Come accade per molti degli scherzi di Melville, dietro di loro c'è una nuova concezione del mondo in quello di cui è testimone lo scrittore, ma soprattutto in quello che egli intravede all'orizzonte, non c'è più alcuno spazio per riversare sugli altri l'empito dell'anima individuale: l'intellettuale insoddisfatto si potrebbe unire all'equipaggio, con la sua attitudine sociale e in pratica scientifica verso la Natura, oppure la colpa lo condurrebbe dove ha portato Ismaele. Di qui per Melville un nuovo senso della Natura che di continuo influenza l'uomo e informa di sé ogni aspetto della sua vita e del suo carattere. Essa non è una sorta di retroterra dell'attività umana, né qualcosa da conquistare e sfruttare; è parte dell'uomo, da un punto di vista fisico, intellettuale ed emotivo, e l'uomo è parte di essa. Se questi non integra gli elementi della sua vita quotidiana con l'ambiente naturale e le conquiste tecnologiche l'uno e le altre si rivolteranno contro di lui per distruggerlo: è Ismaele ad essere torturato dall'immensità dell'universo, è Ahab che subisce il tormento delle luci magnetiche e del tuono: non Tashtego.

Ismaele è un personaggio di Moby Dick, ma qualche volta è impossibile dire se sia lui a scrivere o Melville stesso a parlare a proprio nome; con il suo capolavoro l'autore si è creato una personale filosofia di vita onnicomprensiva per sostituire quella che ha rifiutato. Non è organizzata, però è ben lungi dall'essere inconsapevole. Quest'uomo, uno degli scrittori americani più letti d'America, dice che se dovesse lasciare dietro di sé un'opera letteraria di qualche importanza il merito andrebbe alla caccia alla balena, perché "una baleniera è stata il mio college di Yale e la mia Harvard". Queste non sono parole di passaggio. La sua capacità di intraprendere il gigantesco e negletto compito di classificare le balene dell'oceano viene dal fatto che ha letto una quantità enorme di libri, e poi "Queste mie mani, che voi potete vedere, hanno avuto a che fare con le balene". Egli cercherà di descrivere l'animale come appare allo sguardo del ramponiere quando è ancorato alla nave: Melville dichiara che molti disegni e dipinti su questo soggetto sono poco accurati e del tutto fantasiosi - la balena viva, nella sua completa maestà e significato, è visibile solo in acque abissali; lo stesso si può dire degli scrittori scientifici, che raramente hanno avuto il privilegio di fare un viaggio a caccia di balene. Melville esamina i disegni dell'animale e della caccia come farebbe un esperto ramponiere: il suo metro di giudizio è dato dalla fedeltà con cui si rappresentano le azioni e lo spirito della caccia. Sono i marinai, secondo lo scrittore, che con il loro semplice coltello a serramanico incidono e intagliano abbozzi di scene di caccia, non troppo precise dal punto di vista tecnico, ma davvero esatte nel disegno e piene di spirito barbarico e di suggestione.

Si potrebbe pensare che questo continuo fare riferimento ad un gruppo di uomini che lavora, per qualunque situazione o concetto, risulti alla lunga un punto di vista angusto e limitato. Accade invece l'esatto opposto: Melville è il primo a tentare la classificazione della balena spermaceti perché, come dice, essa non ha completezza né nella letteratura, né in ambito scientifico, né in poesia. Moby Dick con settanta citazioni sul cetaceo tratte dalle letterature di tutto il mondo; la sua analisi dell'anatomia e fisiologia di ciascuna parte dell'animale è la più completa che si possa fare, ma il punto di vista è sempre quello degli uomini che hanno a che fare con esso ogni giorno.

Melville è inesauribile nello sfruttare la sua esperienza pratica e la conoscenza della caccia per confezionare interpretazioni del mito e della storia, a volte serie, altre deliberatamente fantasiose. Alla fine la balena e la caccia sono un filo cui viene appesa una successione di quadri che ritraggono la storia del mondo: l'alba dei tempi; l'accoppiamento, la nascita e le abitudini delle balene così come dovevano essere prima dell'apparizione dell'uomo; il loro comportamento sociale e il selvaggio cannibalismo degli squali, nei quali i marinai possono vedere ogni giorno gli istinti primari e le spinte vitali dì quello che è diventato l'uomo civile; la primitiva purezza delle prime civiltà; l'adorazione del fallo; la cultura e le tradizioni della Grecia e di Roma; la successione delle nazioni della moderna Europa che, come i balenieri, dominano i mari. Lo scrittore desidera includere nel suo romanzo ogni cosa:

"Amici, afferrate il mio braccio! Perché nel puro atto di comporre i miei pensieri su questo Leviatano, essi mi sfiancano, mi confondono con il loro esorbitante moto circolare che tutto comprende, come se inglobassero l'intera scienza, e le infinite generazioni di uomini, balene, mastodonti, e il passato, il presente, il tempo che verrà, con il sempre mutevole panorama del dominio della terra, e attraverso l'intero universo, senza escludere la sua periferia più estrema."

Tutto è visto come da un ramponiere, da un comune marinaio, da uno che scrive e legge ma si basa sempre sull' "esperienza reale di uomini reali", intendendo con questo persone che lavorano con le proprie mani. L'uomo deve diventare un essere che si esprime nella sua interezza partecipando a tutti gli aspetti e le fasi della moderna esistenza, perché se non lo fa il mondo di oggi manderà in frantumi la sua personalità già divisa.

Egli dà un ordine all'universo, brancolando nel profondo del mare, dove le sue mani sfiorano "le indescrivibili fondamenta del mondo, le sue costole e il suo bacino". Da laggiù egli si libra in un canto lirico quale nessuno dei romantici ha mai concepito.

"In alcune case di campagna, con il tetto a due falde che sormonta un timpano, tu vedrai delle balene di ottone attaccate per la coda come battenti per la porta di ingresso.. Sulle guglie di alcune antiche chiese potrai osservare cetacei di ferro collocate lì come banderuole; (...)

In alcune selvagge regioni costiere della terra, dove in fondo ad alte scogliere dirupate massi rocciosi giacciono sul piano sparpagliati in assemblaggi fantastici, spesso scoprirai immagini pietrificate del Leviatano affiorare a tratti dall'erba, che in una giornata di vento si infrange contro di loro con la spuma di verdi flutti.

Poi, ancora, in regioni montuose, dove il viaggiatore è di continuo circondato da altezze che fanno pensare a grandiosi anfiteatri, qui e là osservando da alcuni punti privilegiati tu potrai di sfuggita intravedere il profilo del cetaceo affiorare lungo le creste ondulate. Ma devi essere un perfetto baleniere per vedere tutto ciò...

E quando sarai sollevato sempre più in alto dall'oggetto del la tua ricerca, non potrai non trovare nei cieli stellati le nostre gran i balene, e le navi che danno loro la caccia, come quando le nazioni dell'Est, dominate da pensieri di guerra, vedevano lo scontro degli eserciti tra le nuvole. Così, al Nord io ho inseguito il Leviatano intorno al Polo, attraverso la rivoluzione dei punti luminosi che per primi me lo rivelarono. E oltre i fulgidi cieli dell'Antartide mi sono imbarcato sulla Nave degli Argonauti, partecipando alla caccia del Cetaceo stellare, ben oltre gli spazi estremi di Idro e del Pesce Volante."

E qui parla il poeta della civiltà industriale.

"Con le ancore di una fregata come briglie e fasci di arpioni per speroni, io potrei cavalcare quella balena e lanciarmi nei cieli più alti, per vedere se i paradisicon tutte i loro innumerevoli padiglioni, di cui tante favole ci raccontano, giacciono davvero accampati oltre la mia vista mortale!"

Solo una persona che ha completamente integrato la sua concezione della vita con la moderna civiltà industriale poteva creare un'immagine così semplice e nello stesso tempo così ardita. Partendo da una certa "forma mentis", quella di un uomo di genio, e abbastanza fortunato da vi ere in un epoca nella quale è emersa nel mondo un certo tipo di personalità, Melville elabora una concezione del sociale interamente nuova, che non ha a che fare con i profitti e i diritti della proprietà privata (Ahab senza dubbio disprezza gli uni e gli altri), ma con un'idea inedita delle relazioni tra l'uomo e i suoi simili, tra l'uomo e la tecnologia, tra l'uomo e la Natura. Romanzo dopo romanzo, vediamo lo scrittore plasmarla fino ad arrivare alla profondità quasi insondabile di Moby Dick.

Melville, però, non è solo l'autore che rappresenta la civiltà industriale, ma è l'unico che c'è. Nel suo grande romanzo la divisione, gli antagonismi e la follia di una civiltà ormai bruciata sono sezionati e messi da parte senza pietà. La Natura, la tecnologia, il sociale, scienza e conoscenza, letteratura e pensiero si fondono in un nuovo umanesimo, che prepara una vasta espansione delle capacità e delle conquiste umane. Moby Dick sarà universalmente bruciato o conosciuto in ogni lingua come la prima totalizzante denuncia letteraria delle condizioni e delle prospettive di sopravvivenza della civiltà occidentale.

(trad.: Dondero)

*Mariners renegades and castaways, The story of Herman Melville and the world we live in, Allison & Busby, London 1986

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