Iniziamo, con questo recente e bel saggio sulla famiglia Brontë, la pubblicazione di alcuni testi di Beatrice Solinas Donghi. Nata il 29 marzo del 1923 a Serra Riccò (Genova) da madre inglese e padre genovese, la scrittrice – dopo la pubblicazione di svariati racconti e romanzi con gli editori Feltrinelli, Rizzoli e altri – si è dedicata soprattutto, a partire dagli anni ’80, alla letteratura “per ragazzi”alternando all’attività narrativa quella di critico su una (probabilmente la più importante) delle rare riviste del settore, “LG Argomenti”. Sempre in quest’ordine di ricerche ha pubblicato, con Mondadori, La fiaba come racconto (1993). Nell’ambito invece degli interessi legati al saggio che presentiamo, ha pubblicato Emily Brontë, al di qua della leggenda con l’editore Campanotto (2001). 

Beatrice Solinas Donghi

un anno decisivo per i Brontë

luglio 1845-agosto 1846

L'anno tra la fine del luglio 1845 e l'agosto 1846 doveva rivelarsi decisivo per la giovane generazione della famiglia Brontë: l'unico figlio maschio e le tre sorelle rimaste (le due maggiori erano morte bambine di una malattia infettiva contratta in collegio ). In realtà anche per il padre, ecclesiastico della Chiesa anglicana, curato perpetuo (come dire parroco) di Haworth nello Yorkshire, quello doveva dimostrarsi un anno cruciale. Il succedersi di avvenimenti decisivi in uno spazio di tempo relativamente breve appare a chi lo osserva addirittura incalzante.

Può risultare interessante farne brevemente la cronaca, sulla scorta della ricchissima documentazione ripercorsa con ammirevole puntiglio da Juliet Barker nel suo monumentale The Brontës (Londra, Weidenfeld & Nicholson, 1994, poi Orion, 1995). Le altre biografie, molto numerose, lasciano maggior spazio alle interpretazioni personali degli autori, perciò me ne sono servita solo marginalmente.

 

1 - la situazione dai Birthday Papers del 1845

Do inizio alla cronaca dal 31 luglio 1845, giorno in cui Anne, la figlia minore del reverendo, compose uno scritto in occasione del compleanno della sorella EmiIy, come entrambe solevano fare a intervalli di quattro anni per dar conto degli avvenimenti accaduti in quel lasso di tempo nella cerchia familiare. In realtà il compleanno cadeva il 30 luglio: le ragazze si erano sbagliate di un giorno e se ne accorsero solo dopo aver cominciato ciascuna per conto proprio la stesura del loro memoriale.

Nel proprio Anne non menzionò la morte della zia materna Elizabeth Branwell, che aveva lasciato eredi lei e le sore11e di un piccolo capitale, forse insufficiente per garantire loro un avvenire, comunque da considerare un'utile garanzia. Era molto affezionata alla zia, che dopo la morte precoce della madre ne aveva fatto le veci alla canonica di Haworth; ma probabilmente una notizia di quel genere, oltre tuffo alquanto sorpassata, sarebbe apparsa fuori posto in uno scritto d'anniversario. Fu esplicita invece sulle morti e i nuovi arrivi di animali di compagnia, soprattutto cani, molto amati alla canonica; e sui movimenti propri e degli altri giovani della famiglia da uno all'altro posto di lavoro. Erano stati posti di istitutrice nel caso suo e della sorella maggiore Charlotte, con la variante, per questa e per Emily, dei soggiorni in un collegio di Bruxelles allo scopo di qualificarsi meglio per l'insegnamento, che avrebbe dovuto essere la loro strada. Nel frattempo il fratello, Patrick come il padre ma per i suoi Branwell, dal cognome della madre (un'usanza dell'epoca), era stato impiegato delle ferrovie, poi istitutore dell'unico figlio maschio dei Robinson, datori di lavoro di Anne nella loro proprietà di Thorp Green. Qui aveva incontrato  “molte tribolazioni e problemi di salute”, come scriveva la sorella, pur augurandosi:  “speriamo che stia meglio e si comporti meglio in futuro”. Accennava anche a rivelazioni molto spiacevoli e impreviste avute sulla natura umana negli anni della permanenza a Thorp Green, o almeno nell'ultimo periodo di essa. In chiusura ammetteva:  “per me, non potrei essere più spenta e vecchia di quanto sia adesso". ( Nel testo la parola sottolineata è flatter; letteralmente “più piatta", ma flat è il monosillabo che si usa anche per indicare uno stato depressivo).

Emily nel documento parallelo si dimostrava più serona. Quasi sbadatamente confessava il fallimento dél progetto suo e delle sorelle di fondare un collegio, aggiungendo però:  “adesso non desidero affatto un collegio e nessuna di noi ne sente un gran bisogno - abbiamo denaro a sufficienza per le nostre necessitàattuali con prospettive di aumento”. Per il resto, dava conto con soddisfazione di una escursione di tre giorni a Keighley e York compiuta con Anne parte in ferrovia, parte a piedi, valendosi.. della libertà di movimenti concessa. Senza biasimo alle signorine inglesi, specie se d'età di dare qualche affidamento: e Emily compiva per l'appunto ventisette anni, Anne ne aveva solo uno e mezzo di meno. Parlava pure dei nuovi sviluppi della saga fantastica di Gondal, portati avanti oralmente nel corso di quella gita e degli scritti che entrambe vi avevano aggiunto negli ultimi mesi. Concludeva su una nota positiva, dichiarandosi contenta quanto bastava, attiva e su di morale e desiderosa soltanto che tutti fossero sereni come lei; “allora sì che avremmo un mondo davvero sopportabile ". Poche righe prima aveva accennato a un “malanno agli occhi” del padre e fatto eco con le medesime parole precise all'augurio della sorella che Branwell in futuro stesse meglio e si comportasse meglio.

A quella data era dunque un fatto accertato che l'elemento problematico della famiglia fosse per l'appunto il maschio, fino a poco prima considerato da tutti un giovane ricco di doni che avrebbe saputo farsi strada e forse in avvenire sarebbe per le sorelle l'appoggio più valido. Come loro, scriveva fin dall'infanzia fiumi di prosa e di poesia In più, grazie agli insegnamenti dèl padre, possedeva una buona cultura classica; aveva tradotto con proprietà ed eleganza il primo Libro delle odi di Orazio, oltre a tentare la carriera di pittore ritrattista. Il posto alle ferrovie non era stato, all’inizio, un ripiego deludente: si trattava di un campo molto nuovo, che lasciava sperare rapidi avanzamenti. La sfortuna. e una certa negligenza da parte sua avevano concorso a un licenziamento al quale si era rimediato col posto, ottenuto per mezzo di Anne, dì ìstitutore dei ragazzo Robìnson.

Rosso di capelli, mipoe e piccoilo di statura, Branwell non aveva il fisico di un conquistatore, ma nell'insieme risultava attraente. Le circostanze del suo impiego di precettore a Thorp Green resero la conquista facile, per non dire quasi obbligata. La moglie dell'ultraquarantenne e malaticcio datore di lavoro, reverendo Edmund Robinson, era  “una bella donna, sui 37, di carnagione scuretta e di occhi vivi e mobili”, come il giovane Brontë scriveva in confidenza al sacrestano e amico John Brown. senza far mistero degli approcci della signora nei suoi riguardi. Con ogni probabilità fu la relazione presto instaurata tra i due a causare le rivelazioni molto spiacevoli e impreviste sulla natura umana alla quale Anne accennava nel suo scritto e in conseguenza a precipitare la decisione di lasciare Thorp Green.

Una ragazza coscienziosa e profondamente religiosa quale era lei lo avrebbe sentito come un dovere impellente. Venne via agli inizi del giugno 1845, mentre i rapporti tra il fratello e Mrs. Robinson proseguivano il loro corso clandestino, ma a quanto pare non troppo travagliato, per il momento.

Vi mise fine l'inevitabile spiata, senza gravi conseguenze per la fedifraga, che il marito dovette credere oggetto innocente di tentativi di seduzione doverosamente respinti. Il precettore non ne sapeva ancora nulla, essendo tornato a casa per una breve vacanza prima dell’esodo estivo dei Robinson al mare, dove avrebbe dovuto raggiungerli. Fu dunque a Haworth che ricevette una durissima lettera di licenziamento: di qui le smanie~che resero consigliabile il diversivo di una gita con John Brown a Liverpool e lungo la costa del GalIes. La brusca e umiliante interruzione della sua storia d’amore con una donna più anziana di lui di diciassette anni, ma piacente e di classe elevata - quindi una conquista lusinghiera - fu l'inizio di quella che doveva poi risultare là precoce decadenza di Patrick Branwell Bmntë. Lamentava la perdita dell' "elasticità mentale", cercava rifugio nel bere e forse nel laudano, un oppiaceo poco costoso e facilmente reperibile che era la droga leggera dell'epoca. Per converso, o forse in conseguenza, d’improvvso si metteva a intranere fantasie di riscatto, per esempio progettando di scrivere un poema sulle vicende amorose di un'antenata dell'amico scultore J.F. Leyland; e su un piano più prosaico e quotidiano si rivolgeva a un altro amico, l'ingegnere Francis Grundy, perché facesse in modo di procurargli un nuovo impiego alle ferrovie.

Non si pervenne a niente. Charlotte, definitivamente disillusa sul conto di quel fratellp con cui in passato era stata tanto solidale, anche per averne condiviso dagli inizi il mondo fantastico di Angria, gli addossava tutta la colpa di quei tentativi falliti. Nella corrispondenza con l'amica Ellen Nussey sosteneva che gli si erano presentate più di una opportunità di qualificarsi per un buon impiego, ma, invischiato dalle sue cattive abitudini, se le era lasciate sfuggire. In sintesr diceva: non vuoi far nulla, fuorché farci disperare.

Ellen, se a quest'epoca era al corrente dell'evoluzione psicologica dell'amica durante la sua permanenza nel Belgio, avrebbe forse pensato che proprio da questa sorella il giovane Brontë si sarebbe potuto aspettare una certa comprensione. Charlotte in collegio a Bruxelles aveva avuto la sfortuna di innamorarsi senza speranza del suo insegnante di francese, professor Constantin Héger, rnarito della direttrice, e nelle lettere che gli­ scriveva dall'inghilterra arrivò praticamente a confessarglielo. Ma forse perché non poteva parlare a nessuno di quella passione senza sbocco (con la sola eccezione di Emily, che conosceva Héger per aver condiviso i primi nove mesi del soggiorno a Bruxelles), era esasperata dalla mancanza di autocontrollo di Branwell, dalle lamentele miste di vanteria sulla propria infelicità e da quelle che lei con educato eufemismo chiamava le sue cattive abitudini, cioè il bere, l'inerzia o la catalessi diurna, le smanie notturne.

Sulla situazione della farmiglia Brontë in quell'estate del t845. pesavano inoltre le condizioni del padre, il reverendo Brontë. Il "malanno agli occhi” al quale Emily si riferiva nella sua lettera di compleanno lo stava portando inesorabilmente alla cecità. Charlotte quando la sua situazione a Bruxelles era diventata insostenibile si era valsa del peggioramento della vista del padre come scusa per giustificare il congedo dall'istituto; ma osservandolo dal vivo al ritorno rimase abbastanza impressionata da temere per se un degrado analogo. Come Branwell, era miope dall'infanzia: ma adesso, vedendo il padre ridotto a non saper riconoscere le persone se non in piena luce e a dover comporre a memoria i suoi sermoni domenicali perché non era più in grado di leggere o scrivere, fu colpita per qualche tempo, in grado minore, dalla stessa incapacità. Era senza dubbio un blocco nervoso, o psicosomatico, dovuto in primo luogo alla depressione, Dopo essere vissuta in una capitale e in un ambiente intellettualmente vivo (il professor Héger era un insegnante geniale, che non molti anni dopo avrebbe raggiunto i vertic i della professione), Haworth le faceva l'effetto di un buco fuori del mondo e quasi di una prigione.

Per queste varie ragioni quell’estate del 1845 per tutti i membri della famiglia Brontë, tranne uno, fu un periodo difficile e deprimente. L'eccezione era Emily, proprio lei, giudicata profondamente pessimista da molti biografi. Ma dopo il ritorno dal Continente aveva potuto rimanersene a casa, felicemente occupata con i suoi scritti in poesia e in prosa, con i cani, in particolare l'amato Keeper, e con i lavori domestici: che era sempre la sua scelta preferenziale. All'insaputa e quasi alte spalle di Branwell, fin troppo pronto a rievocare senza pudore il suo amore proibito e perduto,  di Charlotte persa nel ricordo di ciò che il suo amato maestro era stato per lei, forse perfino di Anne offesa e ferita dall'esperienza degli ultimi mesi à Thorp Green, si era sfogata in versi sulla difficoltà, per una persona che di per sé avrebbe potuto reputarsi felice, di convivere con una fratellanza di disperati. Le emozioni negative degli altri influenzavano anche l'unica sorella che tirando le somme dei quattro anni passati poteva dichiararsi  “contenta quanto basta - meno pigra di prima, altrettanto su di morale,”  (hearty)di rado o mai con la noia di non aver niente da fare e desiderando soltanto che tutti fossero a loro agio come me e altrettanto sereni,” (undesponding);allora sì che avremmo un mondo davvero sopportabile”.

 

2 - un libro di poesie in tre

Comunque il primo della fratellanza a imbarcarsi in quello che avrebbe potuto essere un progetto di riscatto e di affermazione di sé fu proprio Branwell, che evidentemente, a dispetto del giudizio senza indulgenza della sorella un tempo più solidale, non si riteneva ancora un vinto della vita. L'idea di affrontare una narrazione in versi si era smorzata, se non per altro, per la constatazione che il grande pubbblico ormai chiedeva soltanto romanzi. In uno dei suoi febbrili accessi di energia decise di darglielo, il romanzo. Gli sembrò fattibile e forse assai facile ricavarne uno dalla congerie di scritti che da anni confluivano nella saga di Andria. Dava notizia del progetto a Leyland nella stessa lettera, anzi la stessa frase, in cui si lamentava, o vantava, di  “arrostire giorno e notte a fuoco lento” a causa delle sue disgrazie amorose; e, anticipando la meta col desiderio, parlava di un romanzo in tre volumi, la misura preferita in quell'epoca e quella nazione di forti lettori. Asseriva di aver terminato il primo, frutto, insisteva, di anni di impegno. E per quanto concerneva il passaggio degli anni, diceva la verità: lo scritto, che intitolò And the weary are at rest, (E gli stanchi riposano), era il rifacimento di una storia angriana del dicembre 1837, quasi otto anni prima.

Essa narrava la vicenda della seduzione di una donna sposata, Maria Tturston, per le male arti di Alexander Percy, ovvero Northangerland, l’eroe negativo con cui il giovane Brontë amava identificarsi: tanto da assumere il titolo nobiliare di fantasia Northangerland quale pseudonimo quando pubblicava le sue poesie nei giornali della regione. Nella versione precedente la donna cadeva senza opporre resistenza nelle braccia del seduttore: in questa, influenzata dalle sue recenti esperienze di vita, Branwell ne aveva fatto una moglie trascurata e profondamente religiosa (quale Mrs. Robinson era in linea di massima, o quale tendeva ad apparire), che pur cedendo alla passione ne provava un acerbo rimorso.

Non era certo una novità che fino a un passato assai recente le ambizioni letterarie del fratello fossero condivise da Charlotte, sua collaboratrice in Angria, o meglio autrice parallela. Di averle coltivate da sernpre lei lo aveva confessato in una lettera a Héger, lamentando la prospettiva di doversi dedicare invece all'insegnamento: una singolare mancanza di tatto, data l'appassionata e tenace vocazione d’insegnante del suo corrispondente. Non si può escludere che adesso agisse da stimolo la dichiarata intenzione di Branwell di scrivere un romanzo; o anche la recente pubblicazione sul Halifax Guardian di altre due poesie sue. Fin dai gioghi di fantasia dell'infanzia e dell’adolescenza, perseguiti prima in comune, poi nelle due coppie separate ma comunicanti, Branwell-Charlotte per Angria, Emily-Anne per Gondai, i quattro Brontë si erano fortemente influenzati a vicenda.

Soltanto così, del resto, si spiega la peculiarità di questa famiglia straordinaria, quell'assidua attività letteraria portata avanti per anni da tutti i rappresentanti della giovane generazione, molto prima di trovarne un qualsiasi sbocco professionale.

Da tempo, tuttavia, la comunicazione tra le coppie e anche all'interno di ciascuna di esse si era molto allentata. Dispersi in varie località da diversi impieghi e iniziative (Charlotte e in un primo tempo pure Emily in collegio a Bruxelles, Anne istitutrice a Thorp Green, Branwell impiegato alle ferrovie, poi precettore dagli stessi datori di lavoro di Anne), i quattro avevano perduto l'abitudine di leggere liberamente gli uni gli scritti degli altri quasi nel momento stesso in cui venivano prodotti. Nel documento del 31 luglio Anne si domandava di che trattassero le poesie scritte ultimamente da Emly e dava notizia di una Vita dell'imperatore Julius della quale la sorella le aveva letto una parte, confessandosi desiderosa di ascoltare il resto. Dunque anche tra queste due fedeli associate si era instaurata una perfetta discrezione reciproca.

Poté costituire perciò una vera sorpresa per Charlotte il quaderno di poesie di Emily che trovò aperto su un tavolo nella temporanea assenza di lei e che si permise di leggere. Che avesse subito o meno l'influenza delle rinnovate ambizioni del fratello in questo periodo così frustrante per entrambi, rimane vero che fu quella lettura a dare una svolta decisiva alle proprie ambizioni e, in seguito, all’avvenire di autrici dì loro tre sorelle.

Sarà il caso di ribadire che quelle poesie erano copiate ordinatamente in un quaderno. Fin da bambini, com’è noto, i Brontë dell'ultima generazione avevano cominciato a riempire dei loro scritti privati - non diari ma narrazioni più o meno fantastiche, inframmezzate di versi - una serie di libriccini, per lo più minuscoli. Ne sono rimasti molti di quelli scritti da Charlotte e da Branwell sul versante di Angria; delle prose attinenti a Gondal, solo qualche titolo riportato da una o l'altra delle due collaboratrici.. Non si conosce il perché o le modalità della sparizione di un materiale che doveva esser stato abbondante, mentre delle stesse autrici sopravviveva una massa di poesie, qualche volta in stesure diverse. Comunque il fatto che EmiIy avesse incominciato a ricopiarle in quaderni di dimensioni normali, uno per le gondaliane, l'altro per le liriche estranee al ciclo, sembra datasse solo dal febbraio dell'anno precedente, 1844. Può essere un'indicazione significativa che proprio allora sentisse il bisogno di dare un assetto stabile a quei materiali: nulla prova però che anche lei  cominciasse a pensare a una futura pubblicazione.

Il resoconto che Charlotte fece della scoperta data da qualche anno più tardi, il 1850, quando entrambe le sorelle erano morte e la sopravvissuta si accollò il compito di stenderne una Bjographical Notice, anche o soprattutto per difendere la loro memoria dalle illazioni di quei lettori che erano rimasti scandalizzati dall’audacia e la novità dirompente dei loro romanzi. Tuttavia, benché non sia un documento contemporaneo al fatto, non sono mai stati avanzati dubbi sulla sua sostanziale veridicità.

Charlotte dunque trovò aperto il quaderno, nel quale l'ultima poesia ricopiata doveva essere quella datata 9 ottobre; una narrazione in versi attribuita a Julian M., un giovane gondaliano innarnorato di una prigioniera appartenente a una fazione nemica, A.G. Rochelle. Non c1è da meravigliarsi che ne rimanesse colpita: i versi visionari in cui la fanciulla in catene evoca il tormentoso e misterioso conforto di un'immaginazione spinta fino alle soglie dell’estasi, sono per comune ammissione tra i più belli e profondi della letteratura inglese, non solo ottocentesca. Continuò a sfogliare il quaderno, concentrandosi nella lettura di quelle righe fitte e minute e tornando ripetutamente a imbattersi nella particolare musicalità che l'aveva colpita fin dall’inizio. Nel 1850 l’avrebbe definita con tre aggettivi persicisi: wild, selvatica, vale a dire impetuosa e spontanea, melanchoIy, malinconica, e elevatine, che potrebbe riferirsi all'effetto esaltante di quei versi o all'elevatezza morale di essi.

Stando alla sua esposizione dei fatti, la decisione che poesie simili meritavano la pubblicazione fu istantanea. L'ostacolo era Emìly. Col suo carattere assai chiuso e l'abitudine all'isolamento confermata dai lunghi periodi di distacco dalle sorelle assenti da casa perché impiegate altrove, non poteva ammettere tanto facilmente che qualcuno si intromettesse nel mondo privato della sua immaginazione senza nemmeno chiedere il permesso. Pochi anni prima aveva scritto che solo lei, l'immaginazione e la libertà esercitavano una sovranità indiscussa su quelle sue visioni: condividerle con un pubblico era una nozione che doveva risultarle estranea.

Andò su tutte le furie, come si sarebbe potuto prevedere. Imprevisto fu l'intervento di Anne, che quietly, al suo solito modo tranquillo e discreto, offrì a Charlotte un contributo di versi, dicendo che se quelli dì Emily le erano piaciuti forse vorrebbe dare un’occhiata anche ai suoi. Chariotte vi trovò un pathos dolce e sincero, quanto bastava per precisare l'idea di pubblicare un volume di poesie di tutte e tre. Con la sua iniziativa Anne, invece di spalleggiare l’alleata di sempre nel suo rifiuto, si schierava dalla parte della maggiore. Questa, recentemente, aveva scritto poco o nulla, in versi come del resto anche in prosa: perfino Angria era stato abbandonato, dopo tanti anni. Ma aveva preso fuoco per quel progetto del libro di poesie in comune come, anni prima, per quello del trasferimento in Belgio, in cerca di una qualificazione che poi finora non era servita a nulla. Nel suo stato attuale di sterilità della fantasia e mancanza di prospettive, accompagnate per di più dalla depressione debilitante che allora si chiamava ipocondria, quel progetto rappresentava un’ancora di salvezza.

Vi contribuì, una volta vinta la resistenza di Emily, con diciannove poesie, quasi tutte risalenti a qualche anno prima: addirittura tredici del 1837, quando alla scuola di Miss Wooler a Roe Head aveva vissuto un periodo eccezionalmente produttivo sul versante poetico, e tre distribuite tra il '38, '39 e '41. Solo le tre rimanenti, di cui non si conosce una versione manoscritta, erano probabilmente più recenti. Per contrasto, nessuna delle ventuno di Anne risaliva a prima del 1840: ben diciassette erano degli ultimi tre anni e di queste, la maggioranza era stata composta nell'anno in corso. Perfettamente in linea con la sua associata, anche Emily contribuiva ventun poesie, in maggioranza pure queste scritte nel 1845 e nell'anno precedente. Non vi comprese quella anomala e impetuosa dichiarazione di fede, No coward soul is mine (Non è codarda l’anima mia). Avrebbe potuto fare in tempo: nel manoscritto essa porta la data del 2 gennaio dell'anno nuovo. Forse lei stessa la trovò troppo poco ortodossa per darla in pasto al pubblico, o aveva altre ragioni per tenerla da parte.

E' tipico comunque che sia lei, sia Anne cercassero di salvaguardare per quanto possibile il mondo segreto di Gondal eliminando i nomi geografici di fantasia e ogni riferimento troppo evidente alle complicate vicissitudini della saga. Forse fu una loro iniziativa anche l'idea di pubblicare sotto pseudonimo, mantenendo le vere iniziali e diventando Currer, Ellis e Acton Bell: nomi di suono neutro, non necessariamente mascolini (che sarebbe stata una specie di menzogna), però nemmeno dichiaratamente femminili.

Anche per Charlotte comunque la salvaguardia degli pseudonimi dovette rappresentare una difesa dalle possibili intromissioni della famiglia e del paese e una precauzione in vista di un fallimento del tentativo. Era un modo di salvare la faccia se, una volta pubblicato, il libro dovesse cadere nel vuoto dell'indifferenza generale.

Si occupò attivamente della pubblicazione, che al momento era per lei una ragione di vita, cercando di mettersi in contano con vari editori a cui sottoporre il manoscritto. Non ottenne risposta, come continuava a non ottenerne da Héger. Senza dubbio il professore, ammogliato, padre di famiglia e buon cattolico, giudicava che fosse ormai tempo di lasciar cadere la corrispondenza con quell’ex allieva troppo affezionata e sempre più esplicita nel dichiarargli per lettera il suo affetto. Gli aveva riscritto in novembre, affermando di languire e strnggersi a causa di quel muro di silenzio, di perdere il sonno e l’appetito. Non ottenne riscontro.

Invece, dopo tre mesi e più di tentativi caduti nel vuoto, ricevette una risposta da Chamber's di Edimburgo, editori di una rivista molto letta in casa Brontë, ai quali si era rivolta per consiglio. Furono loro a sbloccare la situazione fornendole alcuni indirizzi utili Tra questi scelse Aylott & Jones di Paternoster Row, librai e piccoli editori londinesi ai quali inviò il manoscritto il 28 gennaio. Le poste con l’avvento della ferrovia avevano acquistato una rapidità che pochi anni prima sarebbe stata impensabile: la risposta giunse entro il 31. Aylott e Jones erano d’accordo di pubblicare il volume dei signori Bell purché questi si accollassero tutte le spese.

Le autrici non si erano illuse che tre nomi sconosciuti potessero esercitare un richiamo abbastanza forte da indurre un editore a investire su di essi il suo denaro. Il 3 marzo Charlotte inviava una tratta bancaria di 31 sterline e dieci scellini, una somma assai consistente per le loro modeste possibilità: corrispondeva a più di tre quarti dello stipendio annuale che Anne aveva percepito a Thorp Green. Si erano potute permettere quella spesa mettendo insieme le loro risorse ma era soprattutto la sorella maggiore il motore dell'impresa: lei più ancora delle altre ambiva a veder pubblicato qualcosa di suo.

Quel progetto la rianimava anche sul piano personale. Dopo aver proclamato per mesi nelle lettere a Ellen Nussey di non voler andare in visita da lei a Brookroyd presso Birstall dove abitava con la madre, né di riceverla a Haworth finché era condizionata dalla presenza scomoda del fratello, il 18 febbraio decideva di partire. Le si presentò poi un buon motivo di trattenersi a Brookroyd più della settimana prevista. Un dottor William Carr, che aveva sposato una cugina di Ellen, esercitava la medicina a Gomersal, sede dell'altra grande amica di Charlotte, Mary Taylor. Consultato riguardo al continuo peggioramento della vista del reverendo Brontë, fu dell'opinione che si potesse operare con ottime probabilità di successo, ma che fosse opportuno rimandare per dare alla cataratta il tempo di indurire così da renderne più agevole la rimozione. Patrick Brontë si rallegrò di quella speranza di riacquistare la vista ma nello stesso tempo dovette provare sollievo di non dover affrontare immediatamente un'operazione dolorosa.

A turbare il ritorno in famiglia fu unaltra volta Branwell, che la sorella volle andare a salutare in camera sua, dove ormai preferiva rintanarsi in solitudine, quando era in casa. Fu un tentativo inutile, perché lo trovò del tutto incosciente. Emily le spiegò che aveva ottenuto i mezzi per ridursi in quello stato estorcendo una sovrana al padre col pretesto di dover pagare un debito uregente. In conclusione lo definì a hopeless being, un essere impossibile: non  “una creatura senza speranza”, come tradurrebbe un biografo tentato dall'idea di un'EmiIy schierata con pertinacia dalla parte del fratello e indulgente ai suoi trascorsi.

Altre volte le sorelle sospettavano con fondamento che fosse Mrs. Robinson a foraggiarlo per mezzo di persone della sua cerchia che mantenevano i contatti con lui senza comprometterla direttamente: il medico dottor Crosby, la cameriera personale Ann Marshall. Senza dubbio l’avveduta signora, che in seguito avrebbe dimostrato di saper badare molto bene ai propri interessi, si preoccupava di tenerlo a distanza per evitare il pericolo di altri scandali. Del resto non si può nemmeno escludere che provasse ancora qualche strascico di affetto per quello spasimante scomodo, o che ne avesse compassione.

Gli stravizi di Branwell tanto deplorati dalla famiglia, con le giornate letargiche che ne erano una conseguenza, lasciavano ancora spazio alle ambizioni letterarie e agli inquieti progetti di chi sogna un Altrove dove costruirsi una vita migliore. Ai primi d'aprile di quest’anno 1846 fu per tre giorni a Halifax dall'amico Leyland e colse l'occasione per cercare di procurarsi un impiego all'estero mediante un'inserzione sul Halifax Guardian. Lo stesso giornale gli pubblicò a breve scadenza un'epistola poetica di un padre a una figlia morta bambina, in cui però i versi più sentiti sembravano richiamarsi al ricordo di un amore perduto: per il poeta, quello vissuto a Thorp Green. Branwell, come già in passato non aveva difficoltà a piazzare i suoi versi sui giornali della regione, peraltro assai esigenti nella scelta dei collaboratori. Nello stesso tempo prese fuoco per un progetto molto più ambizioso, un poema sulla fusa d'amore di un'antenata di Leyland, la bella Ann Morley di Morley Hall nel Lancashire. lì giovane Brontë, quando non era abulico e disperato, preferiva sperare in grande.

Ci si può domandare come mai quel fratello che aveva già pubblicato parecchie poesie sulla stampa periodica non venisse invitato a partecipare all'impresa familiare del volume di versi in comune. Le risposte sembrano evidenti. Innanzitutto si imponeva una ragione economica: le sorelle, grazie all'eredità della zia investita in buoni ferroviari, disponevano di un loro capitale, per quanto modesto, mentre dal maschio, così promettente e pieno di talento, Miss Branwell aveva creduto di potersi aspettare che si facesse strada da sé. Inoltre le abitudini scioperate degli ultimi tempi non permettevano di contare sulla sua discrezione Intenzionate a mantenere il segreto sulla loro iniziativa, le tre signorine Brontë non potevano confidarlo a un bevitore abituale, incline per temperamento a parlar troppo.

Finora il segreto non pareva a rischio, ma con l'arrivo alla canonica delle prime bozze del volume accadde quel che Charlotte scrivendo alleditore definì a little mistake, un piccolo disguido. Le bozze erano state inviate all'indirizzo di C. Brontë esquire; forse ingannato da quel titolo maschile di cortesia, già allora usato solo nella corrispondenza, qualcuno, quasi certamente Branwell, aveva aperto il pacco ed esaminato il contenuto. Difficilmente dunque potrebbe esser vero che il fratello fosse rimasto sempre ignaro delle ambizioni letterarie perseguite dalle sorelle, come sostenne Charlotte pochi anni più tardi, quando era ormai diventata la memorialista ufficiale (ma non sempre del tutto veritiera) della sua famiglia distrutta.

 

3 - tre romanzi.

Dalla data della lettera all'editore si evince che le bozze erano arrivate alla canonica il 27 marzo. Prima che il volumetto dei Poems dei tre Bell vedesse la luce, una lettera di Currer a Aylott & Jones datata 6 aprile 1846 informava gli editori che Currer, Ellis e Acton Bell stavano preparando per le stampe un'opera di narrativa consistente di tre romanzi che avrebbero potuto esser pubblicati insieme nel consueto formato in tre volumi, oppure separatamente in volumi singoli. La risposta fu negativa: questo editore non era interessato a opere dà narrativa. Evidentemente però per le Brontë il progetto del libro di versi aveva funzionato da apripista. Come Charlotte avrebbe scritto in seguito, il tentativo in sé aveva dato alla loro esistenza un gusto nuovo, una nuova ragione di vita, ed esse intendevano persistere.

La conclusione a cui Branwell era giunto tempo addietro, che ormai fosse il romanzo il genere più richiesto dal pubblico. poteva essersi comunicata ad Anne nel contatto quotidiano in casa Robinson a Thorp Green. Inoltre Anne dimostrò  di avere già in partenza un’idea assai precisa del genere di romanzo che le sarebbe congeniale. Lo lascia capire il titolo volutamente limitativo e prosaico di un'opera attribuita a un personaggio gondaliano, annotato nel documento del 31 luglio dell'anno precedente Passages in the Life of an Individual (Episodi della vita di un individuo, o Momenti di una vita). Non a caso nel medesimo scritto aveva osservato che i gondaliani non erano nelle condizioni migliori, quasi confessando un calo d'interesse da parte sua per quel mondo irrequieto, pieno di contese imprigionamenti ed empiti nostalgici.

Il contributo al progetto comune che stava scrivendo adesso era la narrazione, che si sarebbe tentati di definire minimalista, dell’esperienza di vita di un'istitutrice quale era stata lei. La esponeva con un linguaggio piano e limpido, in una serie di capitoli intitolati con semplicità disarmante La canonica, Altre lezioni, La nonna, Lo zio e simili. Il titolo coincideva col nome di quella protagonista povera e non bella: Agnes Grey. Forse proprio perché aveva fissato al proprio lavoro dei limiti di verosimiglianza e di sobrietà così rigorosi, le stava riuscendo bene.

La sorella maggiore non aveva mai dimostrato un'alta considerazione per le doti intellettuali della minore di loro tre. Fu sempre portata a scriverne in termini volutamente riduttivi, come di un’eterna sorellina, tanto buona e piena di buone intenzioni, passando però sotto silenzio l'intelligenza e l'intraprendenza da lei dimostrate anche in passato. Proprio Anne nel 1839, quando aveva diciannove anni, era stata la prima a impiegarsi come istitutrice in una casa privata; e Charlotte allora aveva seguito il suo esempio. Lo seguì di nuovo adesso, orientando il suo romanzo The Professor nella stessa direzione di sobrietà e di realismo quotidiano. Ciò le imponeva di voltare decisamente le spalle alle roventi vicende angriane o ai multipli amori dei suoi eroi arroganti e amorali. Cercava, adesso, il giusto equilibrio di una temperie più moderata, più simile a quella della vita reale.

Tuttavia il pungolo dell’ambizione non bastava, al momento, a farle superare del tutto la sua fallimentare situazione emotiva. In gennaio aveva di nuovo scritto a Héger, ancora senza ottenere risposta. Anche l’immaginazione, così vivida in paassato da rasentare a volte uno stato allucinatorio, stentava a mettersi in moto ora che si trattava di trarne una narrazione da proporre al pubblico invece di una fantasia privata da buttare giù a rotta di collo, in una grafia tanto minuscola da proteggerne il segreto. Per riuscire ad iniziare dovette rifarsi ai primi capitoli di un vecchio racconto angriano di Branwell, ambientato con qualche pretesa di realismo in una manifattura laniera. La virulenza e la maleducazione dei diverbi tra i due fratelli nemici, il protagonista William Crimsworth e Edward, il primogenito, potevano essere perdonabili in un autore diciassettenne, quale era Branweli all'epoca della composizione di quei capitoli, ma stonavano nell'opera di una autrice assai più matura. Che si fosse impadronita senza permesso di quei vecchi scritti dell'associato di un tempo dà l'idea di quanto radicalmente si fosse estraniata da lui, al punto di pensarlo del tuttto ignaro di ciò che la riguardava. Attingendo a piene mani da quelle pagine non sue, Charlotte certo si riteneva sicura che il fratello non verrebbe mai a conoscenza di quella disinvolta appropriazione.

Il  fatto curioso è che anche Emily verso l’inizio del proprio romanzo sembrò in qualche modo influenzata da quel fratello ormai screditato, quale era stato in tempi migliori: tanto da richiamare in una scena dell'antefatto le prediche esaltate di stampo metodista messe in caricatura da Branwell in vari racconti giovanili. L’antefatto consiste, come si sa, dei capitoli esposti direttamente da Lockwood, il narratore ufficiale della vicenda, prima che prenda l'avvio il lungo racconto della seconda e più importante narratrice, Nelly Dean, testimone a suo tempo dei fatti che gli va man mano rivelando. Il sogno grottesco della predica intollerabilmente lunga e noiosa, che non sorprenderebbe trovare in un satirico episodio angriano, sta verso l’inizio del terzo capitolo di Wuthering Heights, che poi in Italia si sarebbe chiamato Cime tempestose, e solo un breve intervallo di veglia del sognatore e narratore lo divide dall'altro sogno tanto più impressionante e significativo della bambina-spettro che piange fuori della Finestra chiedendo di entrare.

Si direbbe che entrambe queste sorelle, forse memori del tempo in cui Branwell era stato dì tutti loro l'autore più fecondo e ricco di idee, avessero bisogno del puntello del suo esempio per darsi lo slancio. Solo Anne, per il suo romanzo così equilibrato e ben proporzionato, aveva potuto farne a meno.

Per quanto riguarda Emily, un altro richiamo, non agli scritti di Branwell rna a lui stesso e ai suoi fatti personali, sta proprio nelle pagine iniziali del romanzo. Il narratore Lockwood, giovane di mondo che posa a misantropo, attribuisce a un difetto del proprio carattere il ridicolo di aver sfuggito con una sorta di panico una giovane donna da cui era attratto, non appena lei aveva dato qualche segno di ricambiarne i sentimenti. Ora sappiamo da una lettera di Charlotte che precisamente questo era accaduto tra Branwell e Mary Taylor durante una visita con la sorella Martha alla canonica di Haworth. I Brontë della giovane generazione si erano sempre canzonati spietatamente a vicenda nei loro scritti privati: che Emily continuasse a farlo nel momento stesso in cui, per così dire, usciva allo scoperto con un libro a cui sperava di trovare un pubblico, può essere un segno che in fondo non lo ritenesse ancora un fallito da trattare con compatimento o da lasciar dimenticare. In tuffi i casi, quei primi capitoli, con i quiproquo del povero Lockwood incapace di comprendere l'anomala composizione della famiglia di cui è ospite suo malgrado e le scene addirittura farsesche dei suoi conflitti con i cani nel cap. 2, sembrano esser radicati in quel retroterra di estrose e sovente sardoniche improvvisazioni giovanili che era stato a lungo il regno di tutti e quattro.

In altre parole, sembra ancora esservi molto di Gondal in Wuthering Heights. Quanto, non possiamo saperlo, data la scomparsa dell'intero corpus delle prose gondaliane, comprese quelle di Anne. Tuttavia qualche motivo che risultò basilare nella trama del romanzo si può rintracciare fin da qualche anno prima nei versi che accompagnavano le prose scomparse come espressione dei sentimenti e dei punti di vista dei vari personaggi. In particolare, una poesia del 17 maggio 1842 anticipava quel gioco di chiaro e scuro, biondo e bruno che nella vicenda romanzesca contrassegna le stirpi dissimili ma reciprocamente coinvolte degli Earnshaw di Wuthering Heights, bruni e impetuosi, e dei Linton di Thrushcross Grange, biondi e tendenzialmente miti, con qualche risvolto di viltà. Altri versi delineano assai precocemente (dal febbraio 1887, poi nel luglio dello stesso anno e il 28 aprile 1839) dente figure di fanciulli infelici, o inselvatichiti, o predestinati a un futuro di conflitti e di malvagità, che avranno un seguito nell'infanzia e l'adolescenza di Heathcliff. Inoltre l'elemento soprannaturale di fantasmi e apparizioni, che nel romanzo è intrecciato con suprema abilità alla vicenda di interessi e di contrasti ereditari, compariva già con evidenza assai più cruda nella produzione poetica giovanile.

       Che Emily si fosse potuta basare in parte su scritti precedenti si arguisce poi dalla rapidità con cui portò avanti il suo lavoro. Negli stessi mesi in cui le sorelle componevano romanzi piuttosto lineari e per il metro dell’epoca assai brevi, lei scriveva Wuthering Heights, lungo quasi i doppio e infinitamente più complesso. Tuttavia è un romanzo a pieno diritto, non il semplice rifacimento di un romance gondaliano. Basti dire che mentre questi, a giudicare dalle poesie rimaste, erano pieni di personaggi d'alto lignaggio, Lord, re, perfino imperatori, qui tutto si svolge tre due famiglie di proprietari terrieri dell’Inghilterra settentrionale, distribuite tra una villa di fondovalle con relativo parco e una vecchia casa sulle alture che ha visto tempi migliori, benché mantenga avanzi evidenti di un antico, rustico splendore.

Coll’inoltrarsi della stagione le tre autrici proseguirono con costanza e assiduità sulla strada prescelta. Charlotte superò le secche iniziali utilizzando in forma trasposta l'esperienza vissuta a Bruxelles, dove il suo William Crimsworth diventava il Professore del titolo in quanto insegnante in un collegio femminile, nella cui direttrice attraente ma infida si sarebbe potuto riconoscere una Madame Héger alquanto ringiovanita e ripensata con memore antipatia. Presto la creazione di un'eroina povera e poco appariscente ma sensibile e intelligente, un'altra se stessa un poco più graziosa, le permise la gratificante esperienza di immaginarla (lo stesso che immaginarsi) oggetto d'amore da parte del suo protagonista.

Anne, quieta e tenace come sempre, pareva non trovare particolari difficoltà nello svolgimento di una trama che anche questa alla fine avrebbe concesso alla protagonista in titolo una adeguata e convincente storia d'amore. Emily, sempre più assorbita da un intreccio quanto mai complicato ma privo della minima lungaggine o sbavatura, lasciava indietro il rude piglio e l'umorismo burlesco delle scene iniziali mantenendo quel suo peculiare tono brusco, conflittuale e quotidiano percorso da improvvise aperture di dolcezza e di una astrale serenità.

Per la storia d'amore si servì, più che di esperienze o aspirazioni private, dell'intuizione quasi astratta già espressa nella poesia del 2 gennaio che molto più tardi divenne famosa assumendo come titolo il verso iniziale, No coward soul is mine. In quei versi aveva enunciato una compresenza e una sorta di identificazione reciproca tra l'anima individuale e un'entità divina universale, tra l'individuo effimero e l'Eterno. Usò gli stessi concetti e quasi le stesse parole per definire la passione (del tutto priva di sbocchi sessuali) dei suoi protagonisti, Heathcliff e Catherine. Emily, che per quanto se ne sa non ebbe esperienze amorose né dimostrò di sentirne la mancanza, prendeva ciò di cui aveva bisogno per i suoi scopi narrativi dalle intuizioni di un'immaginazione potente, capace di nutrirsi praticamente di sé stessa, con pochi apporti dall'esterno.

Nel frattempo giungeva in parto l'impresa del volume di poesie: le tre copie omaggio giunsero alla canonica il 7 maggio 1846. Erano volumetti molto smilzi; la qualità della carta lasciava a desiderare e il prezzo di soli quattro scellini implicava da parte dell'editore una certa sfiducia nelle prospettive di vendita di un prodotto tanto modesto. D'altra pane si trattava, finalmente, dopo tanti volumetti fatti in casa e cuciti con ago e filo dalle autrici stesse, di un vero libro stampato, rilegato in panno verde bottiglia con un fregio geometrico sulla copertina. Tutto sommato si presentava bene. Charlotte, vibrante d'emozione e d'impazienza, scrisse il giorno stesso a Aylott & Jones ordinando di inviare dieci copie appena possibile (sottolineò queste parole, a indicare l'urgenza) ai giornali e periodici più autorevoli.

Pochi giorni dopo Anne siglava con precisione diaristica Lunedi sera, 11 maggio 1846 una nostalgica invocazione in versi alla pace domestica che non ha nulla di gondaliano: il focolare desolato benché né la morte né la malattia né il bisogno abbiano prodotto dei vuoti nella cerchia familiare, è chiaramente quello della canonica, attristato e turbato dalle smanie e le intemperanze del fratello.

In quello stesso mese, molto prima che le autrici avessero la soddisfazione di leggere almeno una recensione dell'unica opera pubblicata, accadeva un evento destinato ad accentuare la curva discendente dell'esistenza di Branwell Brontë, quindi di riflesso a turbare tutti loro. Il 26 maggio moriva a Thorp Green il reverendo Edmund Robinson, in età di quarantasei anni. Trattandosi di un personaggio molto abbiente e assai noto, i giornali locali ne diedero notizia tempestivamente; a Branwell però dovette sfuggire, se pochi giorni dopo scriveva un altro dei suoi sonetti nostalgici sull'amore lontano, che dunque reputava ancora impossibile.

La notizia, quando infine g1i pervenne, lo esaltò. Non aveva mai dubitato che il suo sentimento per Lydia Robinson fosse pienamente contraccambiato. Rimosso l’ostacolo del marito, poteva sperare di passare quanto prima a giuste nozze con l'oggetto dea sua passione, oltre tutto padrona o usufruttuaria di un notevole patrimonio che avrebbe consentito al nuovo compagno di farsi un nome nel mondo delle lettere senza il fastidio di dover lavorare per vivere. Così, con totale schiettezza, si sarebbe espresso più tardi in una lettera a Leyland. Come altri giovani promettenti, non vedeva niente di disonorevole nella prospettiva di farsi mantenere da una donna ricca e molto più anziana di lui della quale peraltro era davvero innamorato. In attesa di quel lieto fine che presumeva imminente, per tre giorni non mangiò praticamente nulla; praticamente non dormi per quattro notti.

L'oggetto di quei sogni, però, aveva in mente altri programmi. Non doveva mai esserle passata per la testa l’idea di rendersi ridicola e perdere la parte più consistente dei beni a sua disposizione per unirsi a un giovane privo di mezzi di fortuna. (Infatti pochi anni più tardi si sarebbe risposata con un vedovo molto abbiente, titolato e all'epoca quasi settantenne.) Si mise al riparo dalle insistenze di quell’innamorato troppo speranzoso inviandogli in tutta fretta il suo cocchiere, William Allison, incaricato di riferire una storia melodrammatica quanto menzognera.

Si incontrarono al Black Bull, che della mezza dozzina di pub di Haworth era il più vicino alla chiesa e alla canonìca. Allison doveva dipingere un quadro patetico della disperazione della padrona, ridotta sull'orlo della pazzia dal rimorso nei riguardi del marito tradito e dello stesso Branwell, per averlo coinvolto in una relazione così disastrosa. Lo scopo principale del messaggio era di togliergli ogni speranza di un futuro matrimonio, col pretesto di una clausola testamentaria che avrebbe diseredato completamente la vedova nel caso si risposasse. Era una storia inventata dalla stessa Mrs. Robinson o da qualcuno della sua cerchia, ma l'illuso preferì accettarla ad occhi chiusi piuttosto di dover credere all’inconsistenza, da parte dell’amata, di quella passione in lui tanto viva e penosamente sincera. Ripartito Allison, rimase chiuso nel medesimo locale del pub senza dar segno di sé finché, circa un'ora dopo, un suono che qualcuno descrisse come “simile al muggito di un vitello” allertò i curiosi. Lo trovarono sul pavimento, letteralmente abbattuto dal colpo, anche nel senso fisico della parola. Certo avevano contribuito a ridurlo a quello stato la tensione, l'insonnia e il semidigiuno di quei giorni di aspettativa frenetica.

Scrivendo a Leyland, quando ne fu in grado, avrebbe parlato figurativamente di un finishing stroke, un colpo di grazia, o mortale. Era vero nel senso che da esso non arrivò mai a riprendersi del tutto. Fu, da quel momento, un uomo finito.

Per la verità, non risulta che nei mesi passati, mentre le sorelle lavoravano ai loro romanzi, il fratello si fosse sforzato di dar corpo alle idee abbozzate non molto tempo prima, in un momento di creatività velleitaria. Ma soltanto in seguito al crollo subitaneo delle sue speranze sul piano personale si ridusse a confidare all'amico Francis Grundy di aver rinunciato definitivamente a ogni progetto letterario. A quelli artistici aveva dato l’addio molto tempo prima, quando aveva troncato sugli inizi la sua carriera di pittore ritrattista. Ora non gli rimaneva che il misericordioso oblio offerto dall’alcol e da qualche oppiaceo, quando riusciva a cavar fuori il denaro per procurarseli.

Per lo più era il padre a fornirglielo in seguito alle sue martellanti richieste, non di rado accompagnate da minacce di suicidio. La famiglia assisteva inorridita e impotente a quelle estorsioni. Charlotte ne scrisse con biasimo e fastidio a Ellen Nussey, riportando anche lei le notizie del tutto infondate sulla conclamata pazzia di Mrs. Robinson, che il medico curante della signora andava propinando all'ingannato ex precettore. La sorella, conoscendolo, non sapeva fino a che punto prestargli fede; ma finì col concludere che colei doveva essere davvero molto malata. QueI castello di bugie per il momento convinceva quasi tutti.

Parallelo alle impellenti preoccupazioni domestiche, si imponeva alle tre autrici segrete il pensiero della loro opera, quella già pubblicata e quella da avviare quanto prima alla pubblicazione. Risulta che il 27 giugno Charlotte terminasse di mettere in bella copia The Professor. Il 4 luglio uscirono contemporaneamente le prime due recensioni al volume di versi su The Critic  e The Athenaeum, quest'ultima abbastanza acuta da sottolineare la superiorità del contributo di EIlis Bell, l'altra più generica ma molto favorevole. Il pubblico non diede segno di esserne invogliato all'acquisto, ma si poteva sempre sperare. Negli stessi giorni, gli inizi di luglio, Charlotte scriveva all'editore Henry Colburn, firmando col suo pseudonimo, per proporgli The Professor; Wuthering Heights e Agnes Grey. Il pacco con i tre romanzi cominciò così il suo giro presso gli editori; nessuno al momento poteva indovinare quanto sarebbe stato lungo e frustrante.

Intanto la vista del padre era ormai totalmente oscurata. Non poteva metter piede fuori di casa se non accompagnato. Ormai conduceva una vita da invalido: la sua attività parrocchiale si riduceva al sermone della domenica, composto con fatica a mente. Tutti gli altri doveri pastorali erano delegati al curato Arthur Bell Nicholls, ignaro di aver fornito quel cognome Bell agli pseudonimi delle tre sorelle della canonica, tanto più di dover diventare pochi anni dopo il marito della maggiore.

L'operazione di cui si parlava da mesi diventava dunque improrogabile. Davvero, in quel periodo, gli eventi incalzavano, sul fronte familiare come su quello letterario. Ai primi di agosto Charlotte, accompagnata da EmiIy in funzione di braccio destro e di aiuto pratico, si recò in avanscoperta a Manchester, città industriale ricca e progredita dove esisteva un ospedale specializzato in oculistica. Ebbero la fortuna d'essere indirizzate alla persona giusta, il dottor WiIliam James Wilson, uno dei fondatori di quell’ospedale. Il luminare, come era logico, chiese di vedere di persona il paziente prima di decidere se convenisse operare e Charlotte promise di tornare col padre entro tre settimane.

Il 19 agosto il reverendo Brontë, allora quasi settantenne, era a Manchester, accompagnato da quell’unica figlia: le altre, con un Branwell da tenere a bada, erano più utili a casa. Il dottore lo visitò quel giorno stesso e rilasciò una prognosi molto favorevole, stabilendo di operare il lunedì seguente. Patrick Brontë durante l'operazione diede prova di una fermezza e una capacità di sopportazione del tutto eccezionali: sia il dottore, sia i suoi due assistenti ne rimasero meravigliati. La subì da sveglio, secondo la prassi comune dell'epoca, interessandosi al procedimento tanto da prenderne nota, quando fu di nuovo in grado di vedere e di scrivere, nel margine di un volume divulgativo di medicina.

La nota sostituisce sovente alla punteggiatura la lineetta, molto usata dai vittoriani nella corrispondenza e frequente pure negli scritti delle figlie Brontë.  “La belladonna velenosissima - fu dapprima applicata, due volte, così da dilatare la pupilla - ciò cagionò dolori acutissimi per circa cinque secondi soltanto - La sensazione, sotto l'operazione - che durò quindici minuti, fu di bruciore - ma non intollerabile - come ho letto che accade generalmente nelle operazioni chirurgiche.”

Che il dottor Wilson fosse uno specialista scrupoloso e aggiornato si arguisce dalle precauzioni prese per scongiurare il pericolo di un'infezione. Non tutti allora si preoccupavano di simili dettagli. Per un mese il paziente tu confinato in una camera oscurata, nell'alloggio che Charlotte aveva trovato in affitto su indicazione del dottore, e per i primi giorni dovette tenere una benda sugli occhi. Era assistito giorno e notte da un 'infermiera professionista; sotto quel controllo il recupero della vista e delle forze fisiche tu graduale. ma molto soddisfacente. La figlia era praticamente estromessa da quella camera, dove non poteva rendersi utile: era bene, le dicevano, che il convalescente venisse lasciato in pace. Nel salottino adiacente, in quell’intervallo d’inazione, tormentato per di più da un mal di denti che la affliggeva a intermittenze da oltre un mese, Charlotte incominciò a scrivere Jane Eyre.

In circostanze così poco propizie, doveva esser stata colta da un accesso di creatività del tutto fuori dell'ordinario, se riuscì a superare di slancio le remore di moderazione e di voluta prosaicità che l'avevano intralciata con The Professor Quelle remore, e le regole che aveva voluto imporsi, non corrispondevano alla sua indole solo apparentemente sensata e moderata, né alle motivazioni profonde da cui era mossa la sua fantasia. il nuovo romanzo non si sottraeva all'esigenza moderna (cioè ottocentesca) di una ricostruzione convincente del reale, ma partecipava di nuovo del clima rovente delle antiche fantasie angriane, fino a toccare a tratti i limiti del visionario e del paranormale. Fu proprio Jane Eyre a sbloccare, poco tempo dopo esser giunto alla pubblicazione, la situazione delle Brontë. Di tutte e tre.

Infatti solo il successo quasi immediato di esso avrebbe indotto Thomas Cautley Newby, l'editore assai disonesto che teneva in giacenza da molti mesi Wuthering Heìghts di Emily e Agnes Grey di Anne, a pubblicarli sulla scia di quel cognome Bell, ormai noto al pubblico dei lettori.

Tutto questo sarebbe avvenuto in un avvenire non molto lontano. Ma già in quell’estate del 1846, se il terzetto delle sorelle autrici si fosse soffermato a ripercorrere mentalmente gli eventi dei mesi trascorsi dall'agosto precedente, si sarebbe dovuto render conto dei molti cambiamenti avvenuti nel frattempo.

Il padre, che pareva destinato alla cecità e a una progressiva inazione, era sulla via di un recupero che lo avrebbe mantenuto in piena attività ancora per parecchi anni: unico della sua famiglia, fu molto longevo. Il fratello incostante ma promettente degli anni giovanili si era ormai dichiarato in tutto e per tutto un vecchio: e in effetti, tra l'infelice vicenda sentimentale, le cattive abitudini  e la mancanza di speranze e di incentivi, poteva considerarsi un uomo finito. Viceversa tutte e tre le sorelle già insegnanti di scarsa vocazione e di prospettive incerte, erano diventate autrici professioniste, con vari romanzi all'attivo: Emily il solo Wuthering Heights (ma con tutta probabilità ne scrisse un secondo, forse incompleto, comunque mai pubblicato e scomparso senza lasciare traccia), Charlotte, col tempo, quattro, Anne due. Charlotte fu presto famosa, le altre rimasero a lungo in sottordine, comunque non furono mai dimenticate. Il giro di mesi tra l'agosto del 1845 e quello dell'anno seguente aveva davvero cambiato molte cose.

Ci fu per loro, a scadenza assai ravvicinata, un altro anno fatale. In un giro di mesi ancora più stretto, tra il settembre dei 1848 e il maggio dell'anno seguente, morirono uno dopo l'altro Branwell, Emily e Anne: il fratello di bronchite cronica e deperimento organico generale, Emily di tisi galoppante, come la chiamavano allora, e pure di tisi, con un decorso più lento, la sorella minore. Questo tragico incalzare di lutti è però molto noto. Rimase meno noto il periodo misto di speranze e disperazione, di progetti e assiduo lavoro, che in definitiva doveva portare quella famiglia eccezionale dall'oscurità a una fama mondiale e imperitura. Quel periodo di cui davvero si potrebbe dire, senza esagerazione, che vi fosse accaduto, per i Brontë, tutto e il contrario di tutto.