Jean Montalbano

Bowers, svitato ritrovato

   L’attento lettore del numero 10 di “Minotaure avrebbe notato, tra le pagine di Breton poi confluite nell’Anthologie de l’humour noir, due fotogrammi di un film attribuito ad Harald Müller; li commentava in calce una notiziola sul cinema di cui, ribaditane la “condanna” verso soluzioni estreme (fatalmente incrocianti lo humour) si ripercorreva una parabola che, culminata con Sennet e Chaplin, pareva concludersi, dopo i fratelli Marx e Buñuel, col fiore oscuro di It’s a bird, trascinante immersione “nel cuore stesso della stella nera”: elogio, accalorato pur se criptico, venuto a “cadere”, forse anche per mancanza di più dettagliate informazioni, nella redazione definitiva dell’ Antologia. Lo stesso Ado Kirou in una nota del suo Surréalisme au cinéma confessava di non aver potuto vedere il corto citato: tante righe mancanti a rimarcare l’assenza di un solo nome, quello di Charley Bowers(1889-1946) oggi artefice riconosciuto di quel piccolo capolavoro d’animazione, ma già negli anni trenta inoltrati tenuto in disparte dal nuovo sistema degli studios; né gli sarebbe giunta, riteniamo, notizia alcuna della benevola cooptazione bretoniana, essendo troppo lontano per provenienza e formazione da un ambiente di riviste parigine non ancora specializzatesi nel ricordare agli americani i loro stessi autori.

Non si sbagliava comunque Breton quando leggeva in quel particolare film di Bowers (ma avrebbe potuto altresì citare Many a slip o Say ah-h !) la rivolta degli oggetti, e la poesia della logica felicemente smentita, nella linea del destino della cosa surrealista: perché, accanto al tutto sommato facile-sicuro cinema d’arte, presto recuperato dopo le prime stramberie alla Dalì/Man Ray, era nel basso intrattenimento (fossero pure, e soprattutto, varietà o farsesche balordaggini provenienti dai music-hall della provincia americana) che sopravvivevano degradate quelle negazioni che i Manifesti si affannavano a nobilitare di gergo hegeliano. Percorsi differenti eppure ricompresi, con lievi esitazioni, già nelle conferenze messicane del 1938, in un circolo di amaro disinganno che del sistema-cinema faceva una “cosa del passato”quantomeno secondo una prospettiva di rivolta surrealista, archiviando nella rubrica “tradimenti” l’incontro tra surrealismo e cinema.

Certo al burlesque o slapstick di Bowers fu negata la popolarità arrisa sproporzionatamente ad altri clowneschi colleghi, ma i suoi esercizi di non-accettazione (dalla buccia di banana antiscivolo alle uova infrangibili, dagli alberi che gemmano gatti alle scarpe che comandano il ballo) tramandano quel buon repertorio di rovesciamenti in grado di “assicurargli” la sopravvivenza di un ristretto e tenace culto, pur se la devozione è cosa bisbigliata e dispersa nelle raccolte private e le bobine ritrovate, sovente mutile, fanno ufficio di “rotolo del Mar Morto” più che di codice miniato.

I suoi esordi folgoranti come funambolo (tratto comune a molti eroi del cinema avventuroso) gli avevano procurato, dice la leggenda stampata, un rapimento a sei anni da parte di un impresario circense ma era stata poi, dopo il vaudeville, la sua abilità di scenografo e caricaturista a spingerlo verso il cinema. Alle centinaia di cartoons (a lui non accreditati nei titoli di testa) della serie Mutt and Jeff  era seguita, al termine del primo conflitto mondiale, la collaborazione con Barré e Fischer e  successivamente, tesaurizzando gli insegnamenti del cinema animato, Bowers avrebbe realizzato svariate commedie, oggi  perdute o incomplete, in cui, elevando un canto frenetico alla cinepresa come “monumental liar” (James Quirk su “Photoplay”) procrastinò la resa alla benevola sensatezza del realismo. Ma quando, nel 1939, collaborò col giovane Joseph Losey al suo corto Pete Roleum and his cousins, il cinquantenne Bowers era un sopravvissuto, dedicandosi ormai prevalentemente ai filmati pubblicitari e all’illustrazione di libri per l’infanzia. Ultimo film, forse, Wild Oysters del 1940.

La devota ed oscura ammirazione fin qui ristretta agli happy few festivalieri, grazie alla stampa dell’integrale in un doppio dvd della Lobster (comprensivo di documentario e dossier fotografico) potrà ora essere più agevolmente “illuminata” ed, eventualmente, allargarsi in proporzione ai progressi seguiti alle prime scoperte, negli anni sessanta, dell’iniziatore Raymond Borde e di Louise Beaudet.