Maurizio
Cabona
Amadeo Bordiga il comunista infelice amato da Montanelli
Amadeo
Bordiga. Chi era costui? Per la prima volta ne ho
sentito parlare dal Giornale Radio nel 1970, quando lui, primo
segretario del Partito comunista d’Italia nato nel 1921, era morto. Ciò senza
che io mi fossi accorto che era stato vivo per quasi un secolo, inclusi i miei
primi 19 anni.
La mia seconda volta fu nel 1982, per il romanzo Un’avventura
di Amedeo Bordiga” (Longanesi). L’averlo scritto
portò Diego Gabutti a collaborare a Il
Giornale, perché Indro Montanelli simpatizzava per i comunisti “infelici” o
assassinati, e anche per i comunisti che non si sentivano tanto bene.
L’apparizione della firma di Gabutti sulla grande
stampa, seppure quella minore, favorì il suo passaggio su un libro a più mani
che nel 1982 stava formandosi: C’eravamo tanto a(r))mati (Edizioni
Settecolori, 1984). Quindi ogni volta che incontro il
caso Amadeo Bordiga, penso
a Diego Gabutti e mi viene voglia di incontrarlo col
pretesto di un convegno, se non fosse che Gabutti è
ritroso perfino quando c’è di mezzo un suo libro. Figurarsi se di mezzo un suo
libro non c’è.
La mia terza volta con Bordiga ha coinciso con la fine dell’impero sovietico.
Anche lì c’è stato di mezzo Montanelli. Tra 1986 e 1994 andavo alle riunioni di
mezzogiorno del Giornale, quelle dove si imposta il numero del
giorno dopo. Colleghi ansiosi di esibire al direttore il loro anticomunismo,
esultavano nei giorni del 1989 in cui turisti della Repubblica Democratica
Tedesca, passati in Ungheria, di lì passavano in Austria, direzione Repubblica
Federale di Germania, senza che la polizia ungherese li fermasse. Ma si poteva
ancora sperare che anche questa “primavera” – sebbene fosse estate – finisse
presto: ce n’erano state un paio in Polonia (1956 e 1981), cambiando qualcosa
perché quasi tutto restasse uguale. Invece no: venne l’autunno e con lui la
Repubblica Democratica Tedesca si sfaldò. L’Urss avrebbe resistito solo per
definire la resa cominciata dal 1984 della sconfitta aeronautica siriana nel
cielo del Libano.
I soliti colleghi esultavano vieppiù e Montanelli, angosciato, li guardava col disprezzo
che aveva per le persone di cui si circondava per sentirsi più solo. Lui sapeva
che, con gli equilibri della Guerra fredda, finivano anche quelli della sua
carriera e che Il Giornale avrebbe smesso di essere un
condominio di cui altri pagavano le spese. Dalla sua faccia capivo anch’io che
per un’area politica italiana, che non era quell del
Pci (ex Pcd’I), venivano giorni duri: a che servono
gli anticomunisti, se è finito il comunismo? Per Alberto Pasolini Zanelli, l’altro del Giornale che capiva
tutto subito e che aveva sposato, con Hedwig, un
frammento di Germania, c’era la rivincita sul 1945. Ma per gli altri ci sarebbe
stata un’esistenza da ricostruire quando già le carriere giornalistiche
spezzate non si rifondavano – come il comunismo – senza essere grottesche… In quei giorni Montanelli pensava, chiuso nel
suo esiguo ufficio al Giornale, ad Amedeo Bordiga,
e si sentiva come lui settant’anni prima, che s’era visto sottrarre il Pcd’I dall’Internazionale comunista. Di lì a tre anni
Il Giornale se lo sarebbe visto sottrarre dall’Internazionale capitalista…
Ma torniamo a Bordiga.
Non sarebbe stato Montanelli a tenerne vive le idee, ci volevano altre tempre,
più modeste, più tenaci, più dogmatiche e – paradossalmente – più simpatiche,
come quella di Corrado Basile, già tipografo, poi editore “contro venti e
maree”, come dicono in Francia, riferendosi a quelle dell’Atlantico. Basile
invece è genovese, conosce un mare meno soggetto alle maree e più accarezzato,
che flagellato, dai venti. Ma una vita da bordighiano
non è una vita mediano. Essere considerato l’estremista del comunismo in
un’area ormai votata alla socialdemocrazia significa sì essere coerente, ma
anche apparire squilibrato. Del resto scrivere due libri editi dal Colibrì –
uno, di vasto respiro e vasta fogliazione, Amadeo
Bordiga politico, e uno, più sottile, sull’”Ottobre
tedesco” del 1923 e il suo fallimento – denota ferrea volontà.
Se di Bordiga vi ho edotto, dell’ottobre tedesco del 1923 dirò
che è stata la versione comunista e fallimentare dell’ottobre fascista e
italiano del 1922. Dietro le quinte, come burattinai, però in Germania c’erano
i sovietici dell’ultimo Lenin. In Italia c’erano stati i tradizionali finanziatori
di Benito Mussolini: britannici e francesi. Quel Mussolini che aveva avuto tra
seguaci, quand’era socialista massimalista, un giovanotto napoletano più
giovane di lui di sei anni, Amedeo Bordiga, appunto.
Di questo si è parlato a Genova nel convegno di lunedì 11 settembre alla
Fondazione De Ferrari con Corrado Basile, intitolato “Rosso Bordiga”.
Di ricordi non si vive, ma i ricordi aiutano a capire il passato. E a diffidare
dell’avvenire.
“Barbadillo.it”,
11 settembre 2017