Wolf Bruno

rosso Bordiga

Corrado Basile: L"OTTOBRE TEDESCO" DEL 1923 E IL SUO FALLIMENTO. Colibrì, 2016 | Corrado Basile - Alessandro Leni: AMADEO BORDIGA POLITICO. Colibrì, 2014

Nell'ottobre del 1923 la prevista sollevazione rivoluzionaria in Germania fallì. All'inizio dell'anno era avvenuta l'atroce occupazione franco-belga della Ruhr provocando in seno al Partito comunista e all'Internazionale divisioni e perplessità che non furono mitigate né dalla constatazione di alcuni dirigenti come Heinrich Brandler dell'esito negativo ottenuto con la teoria del "socialfascismo" né dalle considerazioni di Karl Radek - l'uomo della terza Internazionale più impegnato sul tema delle conseguenze arrecate dal Trattato di Versailles - circa l'ampia incomprensione del fenomeno nazionalista come "fattore di accelerazione dell'attuale rovina capitalistica". Non migliorò la situazione il rapporto con le sinistre socialdemocratiche e tutto fu compromesso da una visione prettamente "operaistica", fino alla rinuncia dell'insurrezione.

Raccontando fatti e posizioni delle forze implicate, mettendo da subito a confronto le osservazioni di Trotsky su "un raro momento favorevole" sfuggito "per considerazioni dottrinarie e fatalistiche", la testimonianza di Heinrich Brandler e le riflessioni di uno storico schierato come Isaac Deutcher, Corrado Basile delinea col piglio dello studioso le circostanze di quell'oltretutto poco esplorato fallimento. Tuttavia, anziché fare dell'accademia - di cui per altro mostra di possedere le migliori qualità - sembra voler fare i conti soprattutto con la propria storia personale.

Ciò è ancora più evidente nella biografia, scritta con Alessandro Leni, sulla vicenda politico-intellettuale di Amadeo Bordiga. Mi risulta d'altronde che Basile, negli ultimi anni di vita del fondatore del Partito comunista d'Italia, gli fu seguace e amico, e ciò sembrerebbe infondere un attributo speciale all'ipotesi autocritica.

La figura di Bordiga, a parte adepti e affini, risultò a lungo consegnata al silenzio (quando non era derisione) imposto dal vertice togliattiano del Partito comunista. Questo andazzo venne a suo tempo interrotto, negli anni Cinquanta, prima da Giorgio Galli e poi da Stefano Merli e Luigi Cortesi della "Rivista storica del socialsmo" fino alle successive monografie di Andreina De Clementi e Franco Livorsi. Dopo di allora - e siamo agli anni Settanta - ancorché la storiografia non abbia più lesinato attenzione, gli sforzi maggiori sono venuti ancora una volta dagli ambienti che - ed è il caso del grosso e impegnativo volume in questione che, segnalo, manda in appendice un superbo dizionario biografico - potremmo definire simpatetici, come se quello del comunista napoletano risultasse un terreno insicuro per gli altri.

Amadeo Bordiga fu un intransigente campione della cosiddetta "ortodossia" della Seconda Internazionale, fino a condividerne a conti fatti la celebre teoria del crollo del capitalismo che su basi per lui indubitabili fissò per gli anni Settanta, ma la cui fallacia non poté verificare morendo prima. Detta intransigenza lo portò, attraverso una riflessione autonoma che si può dire prescindesse da Lenin e dagli eventi rivoluzionari del 1917, alla fondazione del Partito comunista e all'inserimento nella nuova Internazionale della quale combatté tuttavia presto, e fieramente, la russificazione. Le sue linee guida miravano a ripulire da ogni ingerenza il conflitto fra capitale e lavoro, finendo col non cogliere pienamente le oscillazioni nella composizione della classe dominante oltre a sottovalutare il peso di ideologie come quelle nazionaliste e la realtà delle agitazioni coloniali. Posizioni schematiche del genere non erano nuove nell'ambito della Seconda Internazionale, tanto che Jules Guesde liquidò a suo tempo l'affare Dreyfus come una semplice faccenda interna alla borghesia. Tipica di Bordiga fu però la sua ipostatizzazione nella dottrina dell'invarianza del programma comunista, fondata su pochi testi a partire dal manifesto marx-engelsiano del 1848. Ciò nondimeno dietro quel che superficialmente si coglieva quale parto di un rigido settarismo c'erano ragioni che altrimenti soppesate - e il pensiero va a Jacques Camatte - approdavano a inaspettati sviluppi, benché alla fine avulsi dal perimetro bordighista.

Il quadro concettuale e critico di Basile e Leni, con procedure magari diverse, mi sembra non si discosti (perlomeno non troppo) da quello qui sommariamente esposto. Gli anni sui quali più si concentra la loro sollecitudine sono quelli, fra il 1923 e il 1927, che segnano la sconfitta di Bordiga all'interno del partito che aveva fondato. La scelta è ovvia poiché proprio dal confronto coi vincitori gramsciani, e da lì a poco togliattiani, la posizione di Bordiga acquisisce un potere dirimente che se lascerà minoritaria la sua tendenza farà sì che allo stesso tempo il suo prestigio internazionale meglio si precisi fra i primi critici del sistema moscovita. Karl Korsh lo sollecitò a lasciare l'Italia e a portare il suo contributo nell'agone internazionale, ma rinunciò. Dopo un periodo di carcerazione visse gli anni del fascismo col suo lavoro di ingegnere. Essendo il fascismo un'incarnazione del capitale, dura fin che si vuole, non c'era che da aspettare la "ripresa proletaria" conservando immacolata la dottrina. Chi teorizzava la priorità della lotta al regime era dimentico del vero conflitto, quello di classe. Da ciò deriva "l'anti-antifascismo" e la presa di distanza, fra chi seguiva il suo orientamento all'estero, dalle implicazioni della guerra di Spagna. Stessa cosa varrà per la guerra civile in Italia. Ci si appiattiva a questo punto sulla questione di principio evitando di misurarsi con circostanze complesse che vedevano oltretutto darsi all'azione masse ingenti nelle situazioni pericolose di un tragico contesto.

Più speditamente - lamentando la riduzione del partito a, di fatto, puro organo di propaganda, facendo trasparire così le loro aspettative radicali - gli autori passano a descrivere l'attività bordighiana nel secondo dopoguerra con testate e gruppi che ne rivendicano l'ispirazione. Questo è un vero peccato, perché l'attività pubblicistica di Bordiga (ricostruita dai seguaci dal momento che si sviluppò nell'anonimato) fu ragguardevole e significativa. Se da una parte aspettava fiduciosamente il crollo finale del capitalismo, dall'altro scriveva coi toni e l'umorismo di uno scettico capace di dare lezioni di stile.

“Fogli di Via”, marzo-luglio 2017