Bruno Bongiovanni

l'epico corporativismo dei bolscevichi

(Pier Luigi Bassignana, Fascisti nel paese dei Soviet, Bollati Boringhieri, Torino 2000)

Per un quinquennio - 1929-1934 - i rapporti tra il regime fascista e l'Urss, grazie anche agli interessi concreti di settori dell'industria italiana, furono contrassegnati da una tiepida, e pur innegabile, "intesa cordiale". Viaggiatori e giornalisti, di cultura più o meno fascista, si recarono allora in Urss e inviarono réportages o scrissero resoconti al loro ritorno. Questo libro ci racconta nella prima parte la storia interessantissima di un'immagine "positiva" (o comunque mai in toto negativa) dell'Urss, e cerca in modo convincente, senza movenze scandalistiche (Dio lo benedica!), di spiegarci le ragioni che concorsero a costruire una tale immagine. Nella seconda parte si trova un'utile antologia di scritti.

Non vi sono qui gli ideologi alla Rossoni, raccolti intorno a "Critica Fascista", o alla Spirito, il teorico della "corporazione proprietaria", vale a dire coloro che scorgevano nel bolscevismo una sintesi primitiva, ma organica, di capitale e lavoro. Né vi sono, sul lato opposto, gli antibolscevichi di professione, terrorizzati, soprattutto dopo il Concordato, dalle sorti della civiltà cristiana minacciata. Vi sono, appunto, i viaggiatori: ingegneri, tecnici, giornalisti (ivi compresi Alvaro, Barzini, Malaparte), avventurosi avventurieri (Balbo), personaggi intrigati dalla civiltà delle macchine e, nel contempo, dal destino della società. Nel 1929, del resto, era esplosa la grande crisi. E se, fino a quell'anno, il mito americano era stato debordante, ora cominciava a declinare. Il macchinismo esasperato e senz'anima appariva infatti un'aberrazione, cui il fascismo ruralistico, cattolico e tradizionalista, doveva, senza rinunciare alla potenza industriale, sottrarsi. Le merci americane, come denunciava il tedesco Fried nel 1931, sembravano linde ed esatte, ma "enza amore". L'estremo Occidente era insomma senza valori e stanco. E il fascismo ne era l'alternativa da privilegiare. Ma, oltre il fascismo, vi era a oriente un'altra alternativa, a sua volta non dominata dal demone del guadagno. Nel bolscevismo, d'altra parte, si coglievano aspetti assai prossimi, pur nella loro inefficienza, all'americanismo, responsabile di quella crisi mondiale che, grazie al piano quinquennale, non aveva toccato l'Urss. In quest'ultima, peraltro, vi erano un'ansia di futuro, un'attesa messianica, una disposizione eroica, un'attitudine collettiva ed epica al lavoro, che seducevano i fascisti. E che incutevano rispetto e ammirazione. Anche gli ingegneri, come Gaetano Ciocca, uomo dai giudizi acutissimi, scorgevano nella Russia e nell'America, sospinte dalla concentrazione e dalla meccanizzazione, i più genuini rappresentanti del capitalismo novecentesco "di classe" che si stava sostituendo al capitalismo ottocentesco "di casta". Nessuno, e questo è straordinario, intravedeva comunismo nel "comunismo". Tutti, o quasi, vi individuavano un laboratorio sociale che avrebbe potuto diventare o americano o fascista. Ma il fatto di aver voltato risolutamente le spalle al liberalismo, scriveva Renzo Bertoni in un libro del 1933 dal titolo Russia trionfo del fascismo, rendeva praticamente certa la "corporativizzazione" del collettivismo.

"l'indice", luglio-agosto 2000

sfoglia "l'indice"

<