Maurice Blanchot
(1907-2003)
Stavolta
sarà difficile per i suoi avversari non constatare la morte dell’autore. Pare
che lo scrittore Maurice Blanchot,
già dissolto e raccolto in un’opera che abbraccia almeno sei decenni, si sia
finalmente arreso alla defezione inaggirabile.
L’istante della sua morte, concessogli e negatogli quando ebbe la chance di
sottrarsi in extremis ad un plotone d’esecuzione germanico nel 1944, si è dato
lo scorso 20 febbraio, ancora in minore.
E’
stata, la sua, una biografia sempre già bibliografia, povera di eventi che non
fossero le frequentazioni anteguerra dei Maulnier o
le amicizie sbandierate con i Bataille, Levinas o Duras, tanto che per
vivacizzarne la stesura se ne sono periodicamente riesumati i trascorsi
monarchico-nazionalistici, con annesse punte giudeofobe.
Sport accademico che sotto la rubrica “vediamo cosa scriveva il grand’uomo da
giovane” spulcia tra i peccati nascosti sotto il tappeto e che ha coinvolto
pensatori più decisivi di Blanchot (gli scheletri di Heidegger sono ormai, fuori dall’armadio, quasi una
categoria dello spirito servile). Cominciò negli anni settanta la rivista “Gramma” e Blanchot non ebbe difficoltà a dichiararsi
francamente nauseato da quanto firmava con sempre minor convinzione in quei
periodici d’anteguerra. Ciononostante i malpensanti non esiteranno a
classificare tutto il devoto raccoglimento sulla letteratura “concentrazionaria” sotto la rubrica “atto riparativo verso troppo esplicite invettive antigiudaiche
lanciate nelle riviste degli anni trenta”. Altri potranno leggere
l’impraticabilità della sua opzione politica traslata nell’accento posto
sull’impossibilità di progettare l’opera e la morte e l’estremismo maurrasiano trasformato nell’esigenza del terrore
letterario. Altrettante forme di impotenza da Blanchot
estesamente teorizzate, fino a perseguire un metodo di occultamento capace di
sottrarlo ad una sia pur minima
esposizione mondano-mediatica; ma, d’altra parte, la
misurazione accanita dello spazio letterario, spinta fino alla cancellazione
dell’autore a favore della trascendenza di un’opera mai posseduta, lo avrebbe
reso una prestigiosa figura di riferimento per tutto il secondo dopoguerra come
precursore di interrogazioni divulgate poi dai vari Barthes
e Foucault. In parallelo a tanta autorità, si
sarebbe svolta una piccola, perlopiù anonima, attività di insubordinazione,
soprattutto a fianco di Mascolo, che dalla guerra
d’Algeria sarebbe arrivata al joli mai, dando
testimonianza frammentaria di quella comunità inconfessabile che nelle estreme
riflessioni blanchotiane riprendeva vecchie letture
surrealiste dell’opera di Sade.