Pubblichiamo
di seguito la prefazione a The Black Pope. The Authentic Biography of
Anton Szandor LaVey (The Mind Opening
Books, 2008) di Burton H. Wolfe, attivo negli anni Sessanta come autore di The
Hippies
e collaboratore a “The Realist”,
la rivista di Paul Krassner che fu un incunabolo della stampa alternativa e
della controcultura. Fino al 1980 fu una delle firme del “San Francisco Bay
Guardian”. Oggi vive in Florida e produce
e-book. Il suo nome lo si associa tuttavia a La Vey sia per le biografie, sia per l’introduzione alla Bibbia di Satana (disponibile in Italia nel catalogo
Arcana). La sua frequentazione della controcultura californiana degli anni
sessanta non poteva non condurlo al raziocinante satanismo di La Vey, “Black
Pope” molto “Pop”, a cominciare dai suoi racconti di trascorsi circensi e freaks
show.
Burton H. Wolfe
introduzione al Papa nero
A seguito di un problematico
divorzio, cercai negli anni Sessanta uno stile di vita diverso. Mi feci
crescere una folta barba, mi trasferìi nel quartiere di Haight-Ashbury a San
Francisco e scrissi sugli Hippies
(New American Library, 1968). Coltivai pure qualche sperimentazione sessuale,
in parte all'interno della Sexual Freedom League. La promiscuità insensata che
vi trovai non faceva per me ma mi suggerì numerosi articoli e un libro che a
sua volta mi portò ad Anton Szandor LaVey e al suo moderno satanismo quale
filosofia di vita.
In quegli anni numerose
storie su Anton, vestito da diavolo, con cappuccio cornuto e mantello nero,
comparvero su tante pagine di quotidiani e copertine di riviste. Ero
incuriosito dalla sua audacia di mostrarsi in pubblico in tal fatta e dal nome
che aveva scelto per la sua organizzazione: Chiesa di Satana. Mi domandai se il
suo era solo un modo per far soldi. Anton un semplice showman? O stava
seriamente prendendo in giro il cristianesimo? Con mia grande sorpresa una sua
conferenza me lo rivelò in una luce diversa da quella che mi aspettavo. Colsi
il lato intellettuale del rifiuto della divinità in favore di un materialismo
darwinista fondato sulla disibinizione e la carnalità.
Ma se la conferenza di
Anton era filosofica e zeppa di riferimenti letterari, non poteva essere che il
suo rifiuto della divinità preludesse alla formazione di un nuovo gregge
adorante nomi diversi come Satana e Lucifero? Viceversa, non poteva trattarsi
di un espediente simbolico che prendeva utilitaristicamente il nome di
“chiesa”?
Avvicinai Anton dopo che
aveva finito di parlare e la Sexual Freedom League aveva chiuso l'incontro. Mi
presentai come scrittore free-lance i cui lavori erano presenti in numerosi
giornali e riviste e dissi di essere interessato a scrivere un articolo, e
forse qualcosa di più, sul suo conto. Fino ad allora a chiunque avessi fatto
una simile proposta vuoi per il ritorno pubblicitario o solo per la
soddisfazione dell’ego si era offerto di collaborare. Ma Anton, anche se non meno guidato da entrambe
le caratteristiche, era disposto ad essere intervistato a una precisa
condizione, che gli mostrassi cioè l’incarico dell’editore di un periodico a
buona diffusione: “non concedo il mio tempo a chi vuole speculare”.
Non solo gli mostrai
l’incarico, ma con quello diverse lettere di vari redattori che erano
interessati a pubblicare sui loro giornali articoli al riguardo di Anton
Szandor LaVey e la Chiesa di Satana. Fu così che mi guadagnai l’ingresso alla
“black house” che è stata l’oggetto di decine di articoli.
Dopo aver parlato con Anton
presi a interessarmi al tema del Satanismo e ai vari personaggi che gli erano
stati associati. Dal momento che possedeva una signora biblioteca sul tema
specifico, gli chiesi di potervi accedere.
Si assicurò che avrei trattato i volumi nel migliore dei modi, e non
come certuni che li avevano macchiati, e ottenni il permesso. Divenni così un
frequentatore quotidiano del 8114 di California Street a San Francisco.
Ci fu un problema quando
Anton si svegliò dal suo pisolino pomeridiano e mi chiese di fargli compagnia
in cucina in modo da chiacchierare intanto che consumava una zuppa allora
popolare attraverso i fumetti di Braccio di Ferro. Mi chiese poi di unirmi a
lui in una discussione che si protrasse fino a mezzanotte e mi unìi a lui
mentre suonava l’organo nel seminterrato “Den iniquity” (descritto più avanti
in questo libro). Perdemmo tempo a giocare sul suo flipper a scapito delle mie
ricerche. Peraltro quelle non erano le “mie ore” e mi sentivo esausto. La
stessa cosa accadde nelle numerose giornate successive tanto che divenni – cosa
che inizialmente era lontano dalle mie intenzioni – un suo caro amico. Da
allora visitammo insieme edicole e librerie, sparammo con fucili e pistole,
cenammo nei ristoranti preferiti, a volte soli, a volte con le nostre donne.
Ottenni in questo modo la
sua fiducia e insieme di sapere sul suo conto più notizie di chiunque altro, ad
eccezione delle sue compagne e dei figli. Per farla breve, la storia del
satanismo dalle origini a La Vey che avevo intenzione di scrivere non vide mai
la luce poiché svariati editori ritenevano che fosse troppo sbilanciata su
Anton e a loro interessava quel tipo di materiale a sensazione fatto di
torture, Barbablù, Aleister Crowley e così via. Dal momento che non avevo
intenzione di prostituirmi, invece che sulla storia prevista mi concentrai
sulla sola Chiesa di Satana di La Vey.
Dopo una dozzina di
rifiuti, il libro fu accettato dalla Pyramid Books, che lo pubblicò in una
brossura di 222 pagine col titolo The
Devil’s Avenger nel 1974. Commisi, e me ne vergogno, il peccato capitale di
ogni biografo tenta di evitare, di essere cioè troppo coinvolto col soggetto
così da dar credito a certe sue storie. Questo non vuol dire che il mio libro
fosse costruito su delle fandonie, al contrario, la maggior parte delle sue
storie era verificabile e le parti essenziali erano affidabili. Il libro fu in
ogni caso osteggiato dalla chiese cristiane che minacciavano di boicottare chi
lo vendeva, cosicché molte copie tornarono indietro e la Pyramid decise, in una
sorta di replica degli auto da fé nazisti, di mandarle al macero senza
avvisarmi, togliendomi così l’opportunità di acquistarne un certo numero di
copie da diffondere da me o da Anton stesso. Di conseguenza solo una minuscola
parte della tiratura di 150.000 copie rimase disponibile. Fatto sta che oggi è
un libro raro da collezione. Amazon per dirne una, lo ha venduto a prezzi che
variano dai 125 ai 245 dollari (costava nel 1974 3 dollari e mezzo). Ne esiste
tuttavia anche una traduzione tedesca.
Nel 1990 la Feral House
pubblicò The Secret Life of a Satanist, una biografia di Anton compilata
da "Blanche Barton" (Sharon Densley). Nello stesso anno la suddetta,
con la sigla “Hell’s Kitchen Productions” (un’autoproduzione) pubblicò The
Church of Satan: A History of the World’s Most Notorious Religion. Il primo dei due comparve
con la dicitura "la biografia autorizzata di Anton LaVey": In
sostanza l’autrice, che era stata l’amante di Anton e la madre di uno dei suoi
figli, ammetteva di aver scritto a comando, per quanto in sostanza si rifacesse
al mio libro imbellettandone le notizie. Ma i libri su La Vey sono numerosi e
difficilmente si discostano da queste impostazioni. Lo stesso vale per il sito
web della Chiesa di Satana o il lemma di Wikipedia. Alterazioni piuttosto di
fatti.
Dal momento che il mio
libro del 1974, ancorché raro, è rimasto la principale fonte per tutta questa
produzione, mi son deciso a correggere tutto ciò che in quello c’era di non
verificato e ad aggiornarne i contenuti. “Il Papa nero”, il titolo che ho
scelto, è una delle definizioni mediatiche che hanno accompagnato la vicenda di
Anton. Se in questa nuova biografia mi soffermo sui difetti dell’uomo e sugli
sproloqui circa le sue origini, ciò non vuole minimamente sminuire la storia di
un personaggio eccentrico, musicista e burlone che ha giocato con le ipocrisie
e i conformismi della religione cristiana. La sua opera di “diavolo vendicatore” è ancora seguita
come l’opera del “Papa nero” Anton Szandor LaVey.
Burton H. Wolfe, settembre 2008