Charles de Jacques

biografie

Pierre Assouline: GEORGES SIMENON. Odoya, 2014 | Arthur Hoyle: HENRY MILLER. Odoya, 2014 | Artur Domosławski: LA VERA STORIA DI KAPUSCINSKI. Reporter o narratore? Fazi, 2012 | John Leake : JACK ALL'INFERNO. La doppia vita di un serial killer. Mondadori, 2008 | Manlio Cancogni e Simone Caltabellota: TUTTO MI E PIACIUTO. Conversazione sulla libertà, la letteratura e la vita. Elliott, 2014

Vladimir Nabokov diceva che la biografia di uno scrittore non tocca la sua vita ma il suo stile. Certo si possono leggere i suoi libri senza saper niente di lui, ma la curiosità è facile a insinuarsi nel lettore e persino che costui prenda a favoleggiare intorno ai personaggi non solo per se stesso ma per proiettarli su chi li ha creati. "La disputa se sia legittimo scrivere biografie di scrittori non ha fine. Alcuni sostengono che l’opera dell’autore sia tutto ciò che dovremmo sapere di lui. Altri amano a tal punto i libri, che desiderano saperne di più su chi li ha scritti. C’è sempre la possibilità che la vita dello scrittore getti nuova luce sulla sua opera e ne approfondisca la comprensione".

Questa sintesi del problema, se di problema si tratta, la si deve a Ian Buruma e la ricavo da La vera vita di Kapuscinski di Artur Domosławski, dove è posta in esergo con altre di differenti autori. Se poi l'autore di questa stessa biografia, discepolo e amico di colui che è considerato uno dei maggiori reporter del XX secolo, dice che avrebbe voluta intitolarla "I segreti di Ryszard Kapuscinski" (ma il titolo originale, Kapuscinski Non-fiction, è già scherzosamente ambiguo) ci imbattiamo in quel che aspiriamo trarre da ogni biografia, vale a dire inesplorate intimità dell'esaminato che vorremmo magari ritrovare, trasfigurate o meno, nelle sue invenzioni. Trattando la storia di chi ha da parlar di fatti - e quanto ben raccontati lo sa ogni lettore del giornalista - le "invenzioni" insinuate in questa biografia (del tipo: ha veramente incontrato Che Guevara?) la fanno materia di golosi appetiti anche se in fin dei conti serviranno più che altro alla maggior gloria del Kapiscinski che fu in odore di Nobel.

A soddisfazione degli appetiti più forti val la pena di spostarsi all'istante sulla clamorosa vicenda di uno scrittore austriaco che incontrò fra i suoi sostenitori nientemeno che il premio Nobel Elfriede Jelinek (e varie altre autorità) nella stessa maniera in cui Jack Abbott incontrò i favori di Norman Mailer. Per chi non rammentasse i fatti, Abbot fu quell'assassino che divenuto in carcere scrittore più o meno maoista fu liberato da una campagna scatenata in suo favore per tornare poco dopo fra le sbarre quando liquidò al ristorante un cameriere che gli stava antipatico. Ma la storia di Jack Unterweger - scrittore, personaggio mediatico austriaco e stravagante elegantone con spiccata preferenza, come Tom Wolfe, per il bianco - va oltre ogni aspettativa e con pregevole attenzione ai particolari la racconta il texano John Leake, vissuto per qualche anno in Austria. In carcere per omicidio e, nel 1989, generosamente liberato anche lui da una campagna di chic intellettuale, nel volgere di pochi anni di libertà - intanto pubblicava libri di successo, seguiti reportages e racconti per bambini che venivano letti alla radio - uccise un bel numero di donne in Austria (strangolanole coi collants) e in California (coi reggiseno). Fu messo alle strette quando le polizie dei due paesi cominciarono a pensare di trovarsi davanti a un unico assassino. Unterweger si dichiarò innocente e vittima di pregiudizi, e per un po' anche la società letteraria riprese a sostenerlo, ma fu tutto inutile e si suicidò, lasciando infranto il cuore di altre donne, compresa una figlia, che non avevano sospettato niente.

Non sono tuttavia eventi così estremi ciò che in genere avvince nella biografia di uno scrittore. Si guarda per lo più alle atmosfere, ai fatti intimi, agli incontri, alle amicizie, ai climi intellettuali, ai luoghi che ha abitato e, insieme, a tutto ciò che ha costituito fonte di ispirazione o modello letterario fino alla gestazione e alla pubblicazione delle sue opere. Al giorno d'oggi, a meno che non finisca classificato tout court come romanzo, sembra essersi sfoltito quel genere biografico che faceva ricorso a situazioni e dialoghi simulati ma che pure sovente coglieva bene quanto sopra. Grandi e abili specialisti come Irving Stone non mi risulta che se ne vedano molti all'orizzonte. Fruttuosi possono rivelarsi ad ogni modo certi libri-intervista, da doversi leggere molte volte con sospetto, valutando le sfumature o anche quel che ci pare taciuto considerando il carico di particolari domande. Va anche detto che di norma l'intervistatore è persona di fiducia dell'intervistato, come il Simone Caltabellota che si è dedicato all'amico Cancogni (deceduto quest’anno quasi centenario) in un esempio recente di questo tipo di biografia dialogata. Oggi comunque tutto sembra essere saldamente in mano agli storici della letteratura, ma se questo dà precise garanzie di attendibilità e appropriate riflessioni sulle cirostanze più controverse, non è sufficiente ad assicurare nel lettore quell'affondo coinvolgente suggerito dal nome del biografato sulla copertina del libro. Così l'Henry Miller di Arthur Hoyle si intestardisce su ogni aspetto concernente le vicende editoriali e i guai con la censura riservando ben poca sostanza alla vita a Parigi, in Grecia e a Big Sur. Meno ancora è concesso alla personalità letteraria e allo stile di uno scrittore che per essersi posto senza condizionamenti etici o politici di fronte alla realtà faceva dire a George Orwell che "i buoni romanzi non li scrivono quelli che fiutano l’ortodossia corrente, né quelli che hanno il costante timore di non essere ortodossi" (Nel ventre della balena).

Anche Georges Simenon di Pierre Assouline (nell'originale un Simenon secco) coinvolge il lettore nei vivaci rapporti del biografato con gli editori (in particolare quello complicato con Gallimard e quello apparentemente più sereno e definitivo con le Presses de la Cité) ma con ben altro fervore si immerge negli anfratti di una vita che straordinariamente non esce dagli schemi piccolo-borghesi pur risultando straordinaria, con l'effetto di uno stile letterario immediato quanto abile nella resa psicologica e sociale al punto che non è a sproposito se si sente parlar di Simenon come del Balzac del XX secolo.

La biografia uscì in Francia nel 1992 e fece subito parlare di sé, anche perché l'autore ottenne finalmente, dopo un lungo corteggiamento, poco prima che lo scrittore morisse, l'autorizzazione ad accedere ai suoi archivi privati. Da allora è un punto di riferimento obbligato. Fin lì avevano fatto fede i vari e fuorvianti scritti autobiografici di Simenon e, da ultimo, le numerose Dictées rilasciate al magnetofono.

Per parte sua Assouline ha messo in risalto come Simenon, ancora adolescente, cominciasse a collaborare alla "Gazette de Liège" emergendo, fra l'altro, con alcuni articoli di tenore antisemita. Simenon, che a sentirlo si definiva anarchico, si mise anche alle dipendenze del monarchico militante il marchese Raymond Destutt de Tracy e durante l'occupazione tedesca della Francia fu quantomeno opportunista. Estraneo alla vita salottiera e antiintellettualistico per eccellenza, ma "cocco" degli intellettuali a comimciare da Gide, nel 1931 organizzò un "ballo antropometrico" che per quanto esplicitamente autopromozionale possedeva tutte le caratteristiche delle feste più tipiche dell'avanguardia di allora. Per mantenersi in salute diceva che aveva bisogno di scopare tre volte al giorno e fu un grande puttaniere. Fu anche l'amante di Josephine Baker all'epoca dei primi successi. I negri non sono gli ebrei e la faccenda di per sé non dovrebbe mettere a tacere qualsiasi ipotesi sul suo razzismo. Gli articoli antisemiti dei primi tempi - per altro commissionategli dal caporedattore - non ebbero tuttavia seguito e nella sua vasta opera - dove non mancano gli israeliti, spesso nel ruolo delle vittime - al massimo gli si potrebbe addebitare l'uso disinvolto di qualche stereotipo.

I fatti della vita, le donne, i figli, Liegi, gli anni parigini, il domicilio americano e poi quello svizzero, il suicidio della figlia seguendo il copione di un libro del padre, si legano in questa biografia alla quota della produzione letteraria. Tutto il libro è percorso da osservazioni sulla naturalezza della scrittura, sulla reticenza di Simenon a rivederla e un capitolo è interamente dedicato al suo metodo di lavoro, alla "fabbrica Simenon". Ma il libro è attraversato anche - assumendo un ruolo che l'autore non sembra esitare a trasformarlo nel tema biografico centrale - dal rapporto difficile di Simenon con sua madre, dichiaratamente incline a preferirgli il fratello (che morirà in Indocina dopo esser stato rexista con Léon Degrelle). Nel 1974 Simenon pubblica "lo sconvolgente" - così lo definisce Assouline - Lettera a mia Madre e - "dettature" a parte - sarà l'ultimo libro.