Jean Montalbano

Bessie

(la nuova edizione aggiornata del Bessie di Chris Albertson, Yale Un. Press)

Il nome Bessie Smith, come per quei pensatori presocratici che dall’inestricabilità di mito e ragione traggono buona parte del proprio fascino, sventaglia all’ingresso della sua personale Hall of Fame le immaginette votive di cui l’hanno circondato sessanta anni di corretta coscienza bianca: “B. Smith. Voce non buona” recitava la lapidaria schedina di Thomas A. Edison per l’audizione del 1924; Bessie ubriaca ai party pro-integrazione epoca Harlem-Renaissance; Bessie che interrompe una sessione discografica dovendo, poco signora, “sputare”; Bessie che vende a fine carriera caramelle nei cinema; Bessie che muore dissanguata per le ferite riportate in un incidente stradale dopo essere stata respinta dagli ospedali per bianchi e via mitizzando…Quest’ultimo aneddoto, ancora oggi acriticamente tramandato, era già stato messo in quarantena da Paul Oliver nella sua monografia degli anni cinquanta e quando il danese Chris Albertson pubblicò il suo Bessie nel 1972 si trattò di sostanziare con documenti e testimonianze quel che tanti conoscenti e addetti ai lavori ammettevano a bassa voce: chi ne uscì peggio fu il “progressista” produttore John Hammond, apertamente accusato da Albertson come propalatore della “morte per razzismo” di Bessie Smith al fine di venderne meglio le ultime registrazioni. L’ edizione riveduta ed aggiornata che ha da poco pubblicato la Yale University Press non risulterà “devastating” e “provocative” come trent’anni fa sentenziò Leonard Feather, il quale da parte sua già negli anni quaranta scrisse un “Heil Hammond”, ma le nuove precisazioni e i puntuali riscontri scovati dall’autore (che prima di curare la ripubblicazione del lascito discografico della cantante, si era già distinto, negli anni sessanta, riportando in studio per la Riverside, prima che fosse troppo tardi, parecchie leggende ancora viventi) formano una base certa da cui riedificare eventuali nuovi piedistalli (ci riprovò pure Angela Davis con il suo Blues Legacies and Black Feminism riannodando la ghirlanda che da Ma Rainey porta a Billie Holiday). Non è vero per esempio che Bessie bevesse gin (troppo “classe alta”), preferendogli il “moonshine” o il liquoraccio da discount pur se non raggiunse gli estremi di Tommy Johnson stroncato dalle bevute di canned heat, mentre sono attestate le aggressioni col coltello; ma chissà se pure nella sua resa di Tea for two in piena swing-era trasparivano feeling e tessitura blues. Un dato è certo: nascere a Chattanooga e morire nei pressi della Highway 61 non aiuta a frenare l’istinto mitopoietico.