Da I Germani e gli altri - a cura di
Vittoria Dolcetti Corazza e Renato Genere, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2003
- preleviamo, col consenso dell’autore, questo contributo.
Massimo Bacigalupo
Scoprendo Beowulf con Seamus Heaney
Un altro Beowulf in italiano? Nel 1999 il sessantenne poeta
irlandese Seamus Heaney pubblicò una nuova traduzione del formidabile poema a
Londra e New York, con grande successo di pubblico e critica. L’editore romano
per cui avevo curato negli anni precedenti tre volumi di prose critiche di
Heaney volle presentare in Italia questa fatica poetica e critica di un poeta
fra i più considerati dei nostri tempi, che tuttavia in Italia inevitabilmente
è noto solo a un pubblico limitato, e mi propose di dare una versione italiana
della versione inglese di Heaney. Misi mano all’impresa approfittando di un
soggiorno in Scozia presso Hawthornden Castle, una fondazione per scrittori,
nel luglio 2001. Poi iniziò il lungo e complesso lavoro redazionale per mettere
a punto la traduzione, ma il volume uscì a tempo di record nella primavera
2002. Un’edizione a grande formato contenente la bella introduzione di Heaney,
il suo testo inglese e la mia versione italiana, il testo anglosassone edito da
Wrenn e Bolton, le Genealogie presenti nell’edizione inglese (Heaney ha
semplificato alcuni dei nomi per facilitare la lettura), un Glossario dei nomi
che ho preparato per l’edizione italiana sulla base di quello di Wrenn e
Bolton, dando alcune indicazioni sulla pronuncia, una mia Postfazione
sull’operazione compiuta da Heaney e sulle strutture e simmetrie “barbare” del
poema, e infine, come se non bastasse, il celebre ma non facilmente reperibile
saggio di J.R. Tolkien su Beowulf del 1936, di cui Heaney parla
nell’Introduzione come fondamentale nel rivendicare il carattere di capolavoro poetico
dell’opera, strappandola alle grinfie degli antiquari.
La scelta di aggiungere il
lungo saggio era dell’editore italiano, sensibile giustamente al recente
rinnovo di interesse in Tolkien per via della serie di notevoli film tratti da Il
Signore degli Anelli. Sperava che il nuovo Beowulf italiano
beneficiasse di questa brezza consumistica e che qualcuno delle decine di
migliaia di spettatori e lettori di Tolkien se ne lasciasse incuriosire. Scoprì
che in Italia esisteva una traduzione del lavoro di Tolkien (in Il medioevo
e il fantastico, Milano-Trento, 2000), ma presto mi accorsi che essa era
alquanto zoppicante, sicché praticamente nelle ultime convulse settimane di
preparazione del volume dovetti riscrivere la traduzione del saggio tutt’altro
che semplice di Tolkien – quaranta fitte pagine nell’edizione italiana --
scritto peraltro nello stile ampolloso del conferenziere oxfordiano che faceva
parte del suo fascino Old England.
Ed ecco sul tavolo il bel
libro azzurro di grande formato, con sulla copertina un monile d’oro
serpentiforme, giusto in tempo per presentarlo al Salone del Libro di Torino
nel maggio 2002 e perché nell’occasione l’amico Piero Boitani ne parlasse con
entusiasmo dalle pagine del prestigioso supplemento domenicale del Sole-24
Ore (19 maggio 2002). Così il Beowulf rientra in circolo, diventa un
fenomeno letterario, tanto da assicurare al suo traduttore angloirlandese il
premio “Whitbread Book of the Year”. Heaney ne registra una lettura pressoché
integrale (ma decurtata delle digressioni) che è trasmessa ogni sera dalla BBC
nazionale e internazionale. Il villaggio globale ascolta nella nuova versione il
racconto nebuloso dell’antico bardo. Distribuita su tre compact disc dal suo
editore, la lettura di Heaney in quella sua voce angloirlandese pastosa e
pacata è una riscoperta di poesia nuda, di pura favola. Non c’è nessuna musica
di sottofondo a distrarre dalla pura presenza della voce.
Heaney è un maestro della
lingua ed è stato anzi accusato di compiacersi troppo delle pure sonorità (il
suo maestro Joyce l’avrebbe messo in guardia dalla delectatio morosa di
cui era esperto). Rileggendo il suo Beowulf in compagnia della sua voce
in cd notiamo le allitterazioni che ha voluto e saputo riprendere
dall’originale, concedendosi (come spiega nell’Introduzione) diverse libertà
rispetto alla metrica anglosassone. Per esempio della figlia di Halfdane
(Healfdene nell’originale, 57) si dice che essa è “a balm in bed for the
battle-scarred Swede” (63), un balsamo a letto per il marito svedese con le
cicatrici delle battaglie: dove balm in bed rende heals-gebedda
(“compagna dell’amplesso” nella traduzione di Ludovica Koch) in modo da
allitterare con battle. Poche righe sopra si dice di Halfdane: “He was
four times a father, this fighter prince” (59), dove vediamo il lessico
prosastico privilegiato da Heaney sposarsi senza forzatura alla serie
allitterativa (“Fu quattro volte padre, questo principe guerriero”, nella mia
traduzione, che riduce a due le tre omofonie
dell’originale).
Infatti Heaney è
scrittore che combina il gusto magico della tradizione irlandese, la voluttà
del canto, alla referenzialità della tradizione britannica. Uno dei suoi
maestri è Philip Larkin, rappresentante autoeletto dell’Inghilterra
piccoloborghese e esterofoba del secondo Novecento (“Dio stramaledica i
Francesi”, avrebbe potuto dire), che racconta di piccoli orrori quotidiani, di
incavolature, e cupi memento mori (vedi la recente riproposta della raccolta Finestre
alte, a cura di Enrico Testa, Torino 2002):
Man hands on misery to man.
It deepens like a coastal
shelf.
Get out as early as you can,
And don’t have any kids
yourself.
L’uomo trasmette all’uomo la pena.
Essa sprofonda come una piattaforma costiera.
Esci di scena il più presto che puoi
e non avere figli tuoi.
Heaney è sfuggito a questo
cupo realismo grazie alla sua serenità fatalistica di contadino irlandese
cattolico e grazie ai lunghi soggiorni in America, dove i vincoli e gli asti
europei (e irlandesi) sono lontani e ognuno è chiamato a fare per sé.
Fu infatti un editore
americano che per la più diffusa antologia universitaria della letteratura
inglese, The Norton Anthology of English Literature (la più adottata
anche in Italia), propose a Heaney di tradurre Beowulf nei primi anni
1980. Ed egli vi si mise come a un penso da svolgere con l’antica diligenza di
collegiale. Ma anche, con la sua attenzione ai rapporti fra antico e nuovo,
estrapolò qualche brano di rifacimento per i suoi libri di poesia. Così nella
raccolta The Haw Lantern (1987, trad. it. F.R. Paci, La lanterna di
biancospino, Parma 1999) troviamo un testo intitolato A Ship of Death
(c’era infatti un libro di D.H. Lawrence con un titolo simile), un rifacimento
(dichiarato in fondo) di Beowulf
26-52.
La lanterna di
biancospino è una raccolta in cui Heaney riprende l’allegorismo dei poeti
dell’Europa orientale per dar conto dei conflitti di coscienza e partiti fra
Eire e Ulster, e il funerale di Scyld è chiaramente un rito barbaro e composto
che trova eco in una situazione di guerriglia e bande leali ai loro capi. Un
funerale irlandese. Solo che naturalmente quello di Scyld è molto più
grandioso, anche se il bardo conclude assai prosaicamente a proposito degli ori
accumulati sul corpo del re morto nella barca funebre che
No man can tell,
no wise man in hall or
weathered veteran
knows for certain who salvaged
that load.
Nessuno può dire,
nessun saggio nella sala o vecchio veterano
sa per certo chi recuperò quel carico.
Chi confronterà l’originale vedrà che Heaney ha rispettato (come fa di
solito) il principio della traduzione verso per verso, per cui No man can
tell corrisponde al secondo emistichio del v. 50, Men ne cunnon. Il
revisore editoriale della mia versione mi presentò qualche dubbio circa l’uso
di sala per hall, avrebbe preferito corte o reggia,
ma a mia volta ho seguito da vicino il testo di Heaney, e ho prestato
attenzione alle allitterazioni che via via si offrivano, come appunto in saggio
nella sala. In seguito ho controllato l’originale e la traduzione a fronte
della Koch (Torino 1987), e delle volte ho scoperto parole e suoni analoghi a
quelli della mia traduzione, come qui il saggio nella sala traduce sele-rædende.
In generale nella mia
esperienza di traduttore ho trovato stimolante riprendere con parsimonia parole
e suoni dell’originale, anche se così si presta il fianco all’accusa di aver
chiamato in causa un “falso amico”, perché di rado il significato delle due
parole etimologicamente o foneticamente simili è lo stesso. Ma quando si può il
gioco può dare buoni risultati. Nel caso di una traduzione di una traduzione
uno può giocare su due tavoli: il rispecchiamento della traduzione e quello
dell’originale (come in sele-rædende/saggio nella sala). Ho fatto in
realtà una sola esperienza analoga, traducendo in italiano l’Omaggio a Sesto
Properzio di Ezra Pound (Genova 1984, Milano 1997), che è a sua volta un
rifacimento di brani di Properzio. Come col Beowulf, potendo scegliere
fra diversi sinonimi per una parola inglese, ho preferito usare quello più
vicino come suono e magari etimologia all’originale comune.
Properzio: Deficiunt magico torti sub carmine rhombi.
Pound: The twisted rhombs
ceased their clamor of accompaniment.
Versione italiana: I rombi torti cessarono il clamore del loro
accompagnamento.
Tornando alla versione di
Heaney del funerale di Scyld, vediamo come egli ha cambiato la versione
passando da quella inclusa come testo poetico a se stante in La lanterna di
biancospino a quella che poi divenne parte dell’opera complessiva:
A ring-necked prow rode in the
harbour,
clad with ice, its cables
tightening.
They stretched their beloved
lord in the boat,
laid out amidships by the mast
the great ring-giver.
(The
Haw Lantern, London 1987, p. 20)
A ring-whorled prow rode in
the harbour,
ice-clad, outbound, a craft
for a prince.
They stretched their beloved
lord in the boat,
laid out by the mast,
amidships,
the great ring-giver.
(Beowulf 32-36)
Una prua curva, ad anello, cavalcava nel porto,
vestita di ghiaccio, volta al largo, degna di un principe.
Stesero il loro amato signore nella sua barca,
composto presso l’albero, in mezzo allo scafo,
il grande donatore di anelli.
(Beowulf,
Roma 2002, p. 33)
Heaney rende la versione del secondo verso più conforme all’originale
rispetto alla prima stesura, dove il secondo emistichio era una aggiunta
(imbottitura) sua, forse suggerita dall’allitterazione di clad e cables.
Questa viene sostituita da quella di clad e craft. Qui
l’italiano, va confessato, è un po’ pedestre, certo non riesce a rendere il
ritmo impaziente dei due aggettivi bisillabi (trochei), per cui paradossalmente
la versione della Koch (“impaziente, ghiacciata. La nave del principe”) sembra
più vicina a Heaney della mia. In questa forse ha una certa efficacia la
tripartizione parallela, con l’allitterazione fra i primi due segmenti (vestita
- volta). Notiamo anche che Heaney ha virtuosisticamente sostituito ring-necked con ring-whorled,
che assuona con le moltre altre /o/ del contesto, creando uno dei suoi versi
più sonori e marini.
Scyld viene depositato
in mezzo all’imbarcazione, amidships,
termine poi ricollocato in fondo al
verso, mutandone la sintassi. Infatti nella prima versione laid out è di
modo finito (deposero), mentre nella seconda è un participio (deposto,
composto). Forse la prima versione ha più forza, e non mi è chiara la ragione
della correzione.
La parola amidships suona
familiare a un lettore di Ezra Pound, giacché sulla prima pagina dei Cantos
(il viaggio di Odisseo) troviamo:
Then sat we amidships, wind
jamming the tiller,
Thus with stretched sail, we went over sea till day’s end.
Poi sedemmo a mezza nave, il vento forzando il timone.
Così a vela tesa andammo sul mare sino alla fine del giorno.
La coincidenza non è forse casuale, giacché il canto 1 di Pound (1917)
è uno dei più noti tentativi di restituire all’inglese del secolo XX le
sonorità del Seafarer e in genere della poesia anglosassone. Si vedano
le allitterazioni we - wind, amidships - jamming, e poi stretched
- sail - sea. E’ probabile che volendo scrivere un testo inglese dalle
sonorità anglosassoni Heaney abbia ricordato il lupo di mare Ezra, anche se
l’inglese del suo Beowulf è assai più prosaico della litania poundiana.
Che a sua volta era una traduzione inglese di una traduzione latina
dell’undecimo libro dell’Odissea. Ma Pound è tanto preso dall’emozione
che spesso forza o trascura il senso del testo che rimaneggia. Heaney va molto
più cauto, anche se non esita a prendersi parecchie libertà. Un certo
scanzonato tono poundiano o americano è riscontrabile inoltre in alcune battute
particolarmente prosaiche, quasi delle stonature. La vedetta di Hrothgar dice:
I say it again: the sooner you
tell
where you come from and why,
the better.
Ve lo dico ancora: è meglio che mi narriate
subito da dove venite e perché.
(256-57)
E più avanti lo stesso personaggio filosofeggia:
Anyone with gumption
and a sharp mind will take the
measure
of two things: what’s said and
what’s done.
Chiunque abbia fegato
e mente acuta saprà misurare
due cose diverse: il dire e il fare.
(287-89)
Brani che possono ricordare certe volute stecche del Properzio di Pound
e quelle ancora più vistose della sua tarda riscrittura di Sofocle, Women of
Trachis.
Ma di solito la semplicità della versione di Heaney, sostenuta da una
grande plasticità e dinamicità della lingua, risolve il problema del livello
del lessico e riesce a far parlare convincentemente gli antichi re e guerrieri
rimuovendo la patina di stantio senza privarli di dignità e preparandosi a
rendere il momento della verità, le fragorose scene di combattimento con i
mostri, che come Heaney accenna nell’introduzione, risultano vivaci e
avvincenti “come un cartone animato”. Pur conoscendo l’esito in anticipo a
causa della prolessi caratteristica del narratore, ci troviamo a leggere le
fasi dei duelli con una partecipazione non troppo diminuita, diremmo, rispetto
a quella del primo uditorio di Beowulf.
L’intenzione di Heaney
è di proporre un testo attuale e sostanzialmente fedele all’originale (a parte
la specularità quanto a numero dei versi) e a giudicare dalle critiche e dal
successo egli vi è riuscito. Uno studioso inglese ha opinato che “Heaney has done
more for Old English than anyone before him” (Graham Coe, “Beowulf:
Dinosaur, Monster or Visionary Poem?”, European English Messanger 10.2
(2001), 68). Non tutti sono stati
d’accordo, ma se ci sono stati dissensi sono
rimasti in sordina. Io ho avuto un’esperienza curiosa proprio quando stavo per
mettermi a tradurre il Beowulf di Heaney a Hawthornden Castle. La
giovane responsabile del centro era una americana dottoranda in filologia
germanica e la sera che sono arrivato alla villa-castello di William Drummond
of Hawthornden, senza che io facessi alcun accenno al mio progetto, si lanciò
in una filippica (l’intolleranza dei giovani!) contro il furto o colpo di mano
compiuto da Heaney nei confronti del padre di tutti i poemi, travisandolo e
rifacendolo a sua misura. Dunque mentre decine di migliaia di persone
scoprivano Beowulf grazie a Heaney (un recensore disse addirittura che
questa era la prima volta che veniva tradotto!) qualche studioso se la prendeva
per tanto clamore intorno all’oggetto delle sue ricerche, carpitogli in qualche
modo da questo irlandese astuto. E forse, reagendo così, anche se fraintendeva
il generoso lavoro di ricreazione di Heaney, coglieva un aspetto
dell’operazione che il traduttore stesso mette in luce nell’Introduzione. Cioè
che egli ha voluto in qualche modo appropriare Beowulf alla sua lingua e
visione regionalistica, al punto da usare termini dell’uso angloirlandese
come bawn (721) per il palazzo
fortificato di Hrothgar, keening (787) per lamento funebre, fors’anche mere
(845) per il lago stregato dove si celano Grendel e sua madre. Le brughiere su
cui Grendel si aggira mietendo vittime sono così diventate le torbiere
irlandesi rese celebri da altri testi di Heaney, che le celebra come paesaggio
nazionale, spoglio, arcaico, impietoso. Heaney aveva insomma un intento
revisionista. La vicenda di Beowulf, nata forse in Scandinavia, narrata e
registrata in Inghilterra nella lingua che allora vi si parlava, è tempo che
compia un’altra migrazione: essere riscritta non nell’inglese britannico
dell’Impero e del Commonwealth ma nell’inglese delle province, e soprattutto
degli oppressi. Quale più astuta rivincita del colono? E’ la vecchia polemica
già portata avanti da Joyce, che ha pressoché dirottato il romanzo inglese e la
lingua inglese domiciliandoli a Dublino.
Quando Heaney tenne la sua
serie di conferenze a Oxford come titolare della cattedra di poesia, fra 1989 e
1994, poi confluite nel volume La riparazione della poesia (Roma 1999),
egli se ne valse per presentare all’uditorio una serie di autori marginali o
eccentrici o provinciali rispetto al canone inglese, da Marlowe a John Clare a
Wilde all’americana Elizabeth Bishop, così sottilmente portando avanti la sua
revisione dei giudizi consolidati, rovesciando il rapporto provincia-capitale,
giacchè il provinciale rivela ad Oxford la nuova interpretazione della stessa
letteratura inglese. Qualcosa di simile avviene con questa rilettura o
riscrittura di Beowulf da parte di un cattolico dell’Ulster, che in
quanto tale si sente erede delle tradizioni culturali di entrambe le isole
britanniche. (Heaney per molti versi è molto più britannico -- nel senso di
inglese -- del dublinese Yeats, che non voleva aver nulla da spartire con la
“grettezza” del realismo inglese.)
In una celebre scena del Ritratto
dell’artista di Joyce lo studente Stephen Dedalus rivendica a proposito di
una parola desueta, tundish, che
gli capita di usare parlando con un insegnante, di essere più addentro alla
lingua inglese degli stessi inglesi. Heaney nell’Introduzione al Beowulf
parla della rivelazione, del diritto di accesso al poema, concessigli dal verbo
tholian incontrato nel testo e nel lessico di Wrenn, che nella forma
derivata thole riconobbe come termine comunemente usato in famiglia.
- Dovranno semplicemente imparare a sopportare, They’ll just have to
learn to thole -- diceva mia zia a proposito di qualcuno che aveva subito
un lutto imprevisto. Ed ecco che ora thole mi riappariva nel mondo
testuale ufficiale, mediato dall’apparato di una edizione filologica, un
piccolo campanello che mi ricordava che la lingua di mia zia non era solo un
possedimento famigliare circoscritto ma un’eredità storica: essa includeva il
viaggio a nord che tholian aveva compiuto verso la Scozia e da lì la
traversata nell’Ulster con i coloni, e poi da questi ai colonizzati che
originalmente parlavano irlandese, e poi la più lunga traversata quando gli
Irlandesi scozzesi erano emigrati nel secolo XVIII nel sud degli attuali Stati
Uniti. Quando lessi nell’americano John Crowe Ransom il verso Sweet ladies,
long may ye bloom, and toughly I hope ye may thole (Dolci signore, possiate
a lungo fiorire, e fortemente spero possiate sopportare), il mio cuore ebbe di
nuovo un sussulto, il mondo si ampliò, qualcosa fu portato avanti. La distanza
coperta dalla parola, il piacere fenomenologico di trovarla variamente
trasformata dalla modernità di Ransom e dalla venerabilità di Beowulf,
mi fece provare qualcosa di vago per cui di nuovo trovai l’espressione giusta
solo più tardi. Quel che sentivo mentre continuavo a imbattermi in thole
lungo la sua odissea multiculturale era il sentimento che Osip Mandel’štam
definì “nostalgia di una cultura mondiale”. Era una nostalgia di cui non sapevo
neppure di soffrire finché la trovai appagata da questa piccola epifania. Era
come se, per analogia col battesimo per desiderio, avessi subito una sorta di
illuminazione per filologia. E anche se ancora non lo sapevo, avevo ormai
raggiunto un punto in cui ero pronto a tradurre Beowulf. Tholian
mi aveva garantito il diritto di passaggio. (Beowulf, p. 20)
Il brano è rappresentativo del modo pacato e poetico di ragionare del
nostro poeta-filologo. Infatti l’Introduzione si apre con una sintesti critica
del Beowulf, per poi passare alla genesi della traduzione, alla storia
di Heaney. Che è persona degna e modesta, ma evidentemente non vede nulla di
strano nell’introdurre la propria vicenda personale nell’avantesto dell’epica
anglosassone. (Questo nuovo Beowulf è stato molto letto dal pubblico
della poesia moderna, concordi nell’ammirarne l’Introduzione.) Come nelle
lezioni di Oxford il radicalismo dell’intervento è celato dal tono affabile, ma
si rivela appena pensiamo cosa in effetti senza dirlo Heaney sta facendo. Sta
facendo quello che paventava la mia giovane dottoranda americana. Questa non
sapeva che sotto lo stesso tetto si stava preparando un ulteriore tradimento,
cioè una versione italiana non del Beowulf tout court ma del Beowulf
di Heaney. Quando gliel’ho mandato deve essersi molto stupita, ma ha incassato
il colpo e mi ha mandato un biglietto di congratulazioni. (“Beowulf!
It haunts me! No, really, congratulations – it must gave been an epic
struggle”.)
Almeno in un caso
nella versione provai anch’io la tentazione di seguire l’esempio di Heaney e
regionalizzare il testo. Ho già detto dell’uso del termine irlandese bawn
per fortilizio. Qui si sarebbe potuto scrivere in italiano castellaro o castellare,
ricordando che così sono chiamati in Liguria e forse altrove i siti di
insediamenti preistorici di pastori-guerrieri in cima alle colline. Uno di
questi castellari si trova presso S. Ambrogio di Zoagli, ed è spesso evocato
struggentemente da Ezra Pound nei Canti pisani, come un luogo fatato fra
muretti a secco, ulivi, apparizioni visionarie (“from il triedro to the
castellaro / the olives grey over grey holding walls / and their leaves turn
under Scirocco”, canto 76). Certo Heorot sarà stato ben più splendido del
fortiilizio preistorico a picco sul Golfo Tigullio dove passeggiava Ezra che
studiò e tradusse a suo modo l’anglosassone (vi tornò citando da Layamon nel
canto 91 in un brano commosso) e che in qualche modo (ma Heaney forse non sarà
d’accordo) diede il la al Beowulf del 1999. Comunque il mio revisionismo
ligure fu bloccato dal revisore editoriale a cui il termine non suonava, sicché
ripiegai sulla soluzione indolore. Grendel si avvicina a Heorot:
Spurred and joyless, he
journeyed ahead
and arrived at the bawn.
Disprezzato e tetro, proseguì il cammino
e arrivò al fortilizio.
(720-721)
Un Beowulf moderno soggiace alle regole dell’editoria e una
delle parti più interessanti del lavoro, quando si ha a che fare con dei
revisori preparati (e cortesi), è confrontarsi con le correzioni che questi
primi lettori propongono. La traduzione viene modificata, non solo per le
stesse proposte, ma perché esse fanno notare al traduttore cose che altrimenti
gli erano sfuggite. Un testo è come una tela di ragno che deve avere una sua
compresenza, e in certi momenti dopo aver lavorato ore e giorni su un testo, se
ne ha questo tipo di percezione spaziale, paradigmatica.
Un luogo dove ho
conservato una mia scelta nonostante i dubbi del revisore è il famoso brano in
cui Beowulf parla del dolore di un vecchio che ha perso il figlio, che si
conclude come segue nella versione inglese:
Alone with his longing, he
lies down on his bed
and sings a lament; everything
seems too large,
the steadings and the fields.
Solo col suo desiderio, egli è coricato nel letto
e intona un lamento; tutto sembra troppo largo,
i poderi e i campi.
(2460-61)
L’uso di largo parve strano al mio interlocutore, ma ho
preferito conservarlo (Koch ha spazioso) per diverse ragioni, una
sicuramente la mia occasionale predilezione per gli apparenti “falsi amici”: cioè
per conservare nella traduzione una parola graficamente e foneticamente simile
all’originale, anche se può parere un errore. Infatti la poesia colpisce usando
delle parole che non sono quelle che ci aspetteremmo, sono un po’ fuori linea.
Nella versione così antieroica di Heaney, così volutamente pedestre o diciamo
terra a terra, queste piccole infrazioni aiutano a segnalare al lettore che non
ci troviamo davanti a una cronaca spiccia. Nei versi succitati notiamo un altro
caso di regionalismo nella parola steadings, che penso faccia anche
parte del lessico contadino dell’Ulster che Heaney apprese bambino prima di
partire per il collegio e per l’avventura che non lo portò al sacerdozio (come
probabilmente si aspettavano i genitori) ma a Berkeley, Oxford e Stoccolma.
Riscrivendo Beowulf
per il lettore anglosassone del 2000, Heaney ha eliminato la divisione in
quarantatré sezioni dell’originale sulle cui ragioni molto si è ragionato. Ha
supplito, in luogo di un glossario e di note, delle rubriche in margine che
riassumono a grandi tratti gli episodi e forniscono un minimo di
giustificazione delle digressioni, i lunghi episodi introdotti nella vicenda
principale. Nella versione italiana ho preferito ripristinare in margine
l’indicazione delle parti e aggiungere (come ho detto) un indice dei nomi.
Comunque è evidente l’intenzione di Heaney di proporre il Beowulf come
immediatamente leggibile e godibile con un minimo di informazioni
supplementari: quante ne possono dare l’Introduzione e le glosse marginali.
Nell’Introduzione non manca di sottolineare che le lotte fra Svedesi Danesi e
Geati, e la presunta distruzione di questi ultimi dopo la morte del loro grande
eroe lamentata alla fine, è materia di scottante attualità, da telegiornale. E
nella lotta con i tre mostri nota un progressivo incupirsi dalla sfida spavalda
di un giovane gagliardo all’ultima resa dei conti, l’ombra fatale della morte.
Leggendo il Beowulf,
avvertono gli specialisti, occore badare a non sovrapporre le nostre
aspettative in termini sia di visione esistenziale che di strutture narrative,
a quanto in effetto l’autore ci dice. Ma traducendolo e rileggendolo e
studiandolo colpisce la complessa organicità della vicenda, e la funzionalità
delle digressioni, che sembrano andare a ricomporre via via una compiuta
cronaca dell’eroe e dei suoi interlocutori e dei loro popoli. Come in un puzzle
in cui mancano dei pezzi, l’autore ci fornisce queste informazioni in maniera
non cronologica, tornando al passato o anticipando eventi futuri.
Ed emotivamente appare
calcolato quanto efficace l’episodio del tesoro nascosto che prelude
all’apparizione del drago mortale. Il tesoro che egli custodisce è quanto
rimane di un popolo scomparso, e questo anticipa senz’altro – non saprei quanto
volutamente – il terrore finale dei Geati che hanno perso il loro grande
protettore. Il dramma dell’eroe che non può vincere sempre ma, come il
re-sacerdote di Nemi, vive in attesa della sua nemesi, si rispecchia nel dramma
del suo popolo. Ecco il bel brano cupo ed elegiaco – un sentimento che sappiamo
caro alla poesia anglosassone – sulla scomparsa del popolo che possedeva il
tesoro:
La mia gente
è stata distrutta dalla guerra; a uno a uno
sono scesi nella morte, videro per l’ultima volta
la vita soave nella reggia. Sono rimasto senza nessuno
che porti una spada o lustri coppe laminate,
o faccia splendere i calici. Le compagnie sono partite.
L’elmo robusto, cinto d’oro, sarà spogliato delle lamine;
dorme il lucidatore dell’elmo che dovrebbe
lustrare il metallo della maschera da guerra;
la cotta di maglia che attraversò tutti i combattimenti,
tutti i crolli di scudi e fendenti di spada,
si corrompe col guerriero. Non più la cotta intrecciata
viaggia lontano sulla schiena del capo
accanto agli uomini adunati. Non arpa
sonante, non legno intonato, non falco
che sfrecci per la sala, non cavallo veloce
che scalpiti nel cortile. Razzia e saccheggio
hanno vuotato la terra di popoli interi.
(2249-66)
“The companies have departed”,
dice Heaney. E non può non ricordare un
verso di The Waste Land del suo maestro Eliot: “The nymphs have
departed”. La tecnica sembra essere quella del catalogo, dell’accumularsi di
immagini desolate, legate con diversi espediente retorici, ma essenzialmente
presentati uno di seguito all’altro, paratatticamente, secondo una tecnica che
ritroveremo nei moderni. Per tutti Whitman, che coi suoi cataloghi estatici
voleva scrivere una nuova Genesi, non una Caduta degli Dei. Ma forse è
fuorviante ricordare la grandiosità del Walhalla di Wagner. Beowulf è
una storia umana in cui il soprannaturale è appena al di là del credibile,
visto che ingaggia lotte fisiche con l’eroe. Un altro americano, Melville,
mostrerà degli uomini ed eroi comuni alle prese con un mostro che forse (o solo
per alcuni) rappresenta il principio del male. In Beowulf non c’è dubbio
che Grendel e sua madre sono dei tremendi ostacoli da abbattere con le proprie
mani, sono malvagi solo in quanto si oppongono al principio sociale, alla
cultura di cui è simbolo Heorot, e che è sempre esposta alle loro incursioni
selvagge. Sono però anche inevitabili, come il Drago dell’ultima parte del
poema, che Beowulf affronta consapevole della sua prossima fine. Insomma, come
voleva Heaney, questo Beowulf riletto fra 1999 e 2001, tradotto e
ritradotto, scritto e riscritto, è ricco di rivelazioni e immagini per la
storia – privata e pubblica – che ancora e sempre ci troviamo a vivere.