Lucetta Frisa
Legami della diversità: Franco Bellucci e Rita Arimont
Franco Bellucci e Rita Arimont non si
conoscono, tra loro non c’è nessun legame carnale né sentimentale, né tantomeno
geografico. Il legame è unicamente
psichico, ma anche quello è casuale e solo noi che osserviamo le loro
opere possiamo scoprirlo facilmente e con una certa dose di sorpresa.
Franco Bellucci l’ho incontrato la prima
volta alla mostra Due ma non due (1) a Genova, curata da Gustavo Giacosa presso La
Loggia della Mercanzia nel 2008, tra i bei caruggi genovesi: più precisamente
ho incontrato le sue opere che se ne stavano attaccate, quasi aggrappate al
muro. Giustamente, dato che si difendevano dal mondo. Non di pittura o disegno
o scultura o quant’altro si trattava, ma di piccoli oggetti, non da lui
costruiti, bamboline o animali, giocattoli reali o immaginati come tali, e
comunque tutti proprio tutti strettamente legati insieme, a coppie, a gruppo,
annodati da spessi fili di canapa, nylon, corde e cordicelle di ogni tipo e
colore, fili di ferro e di gomma, fili elettrici, lacci elastici. Un esempio
significativo: il lupo e l’agnello
(quindi coppie di opposti) .
“State fermi lì - sembra dirci il suo autore -
non andatevene più, io vi ho fermati per sempre. Vi ho imprigionati come fa il
tempo con noi, che ti chiude a morsa fino alla morte. La mia infanzia si è
fermata qui”.
I bambini, si sa, temono che le cose amate
spariscano per sempre, quando spariscono dalla loro vista, come gli
animali che vedendo il padrone
allontanarsi piangono per l’abbandono avvertito come definitivo. Il loro tempo
è il presente. L’atto del legamento - che potrebbe essere paragonato all’envoûtement delle streghe - è
lentissimo, ripetitivo, concentrato, come un rituale onnipotente d’amore. Lui
accarezza sensualmente tutti questi oggetti che imprigiona in un tempo che non
scorre ma si incanta, si pietrifica. E tutto quanto accarezza diventa suo per
sempre, sottoposto alla sua legge “divina”. E’ il suo modo di fare l’amore: si
porta gli oggetti legati sul suo lettino, dove è steso in posizione fetale, li
adagia sul ventre e li abbraccia, culla, morde, lecca. È il letto, infatti, il
suo campo di lavoro. (2)
Ma non è l’unica motivazione a spingerlo
compulsivamente ad agire così. Il legame non è solo per fermare il tempo delle
cose amate ma rappresentare con quel gesto la propria personale prigionia, il
proprio stato d’impotenza.
Franco Bellucci è stato internato per molti
anni nel manicomio di Volterra a causa di un grave danno cerebrale provocato da
una malattia infettiva. Dopo l’infanzia ha cominciato a mostrare crisi di
distruttività incontenibili, che hanno reso necessario il suo ricovero in una
struttura psichiatrica e l’uso di
strumenti di contenzione. Difficile riassumere la sua storia, che è molto
complessa. Sottolineo solo questo: era violento contro se stesso e contro gli
oggetti, mai contro gli altri. Tornato provvisoriamente a casa dopo 15 anni di
assenza, il suo primo pensiero fu quello di precipitarsi ad aprire il cassetto
dove conservava i suoi giocattoli. Decisivo è l’incontro con chi diventerà il
suo tutor, il pittore Riccardo
Bargellini, che dirige da più di 10 anni l’Atelier di espressione visiva di outsider
art “BluCammello” di Livorno per i pazienti del Centro di Salute Mentale.
Da quel momento Franco sviluppa il gesto di
legare e annodare insieme piccoli oggetti, feticci dell’infanzia che Riccardo
cerca per lui e sottopone al suo consenso, e che chiamerà, dopo il suo
intervento, oggetti-nodo.
Perché allora, voler ad esempio,
intrappolare-legare un pesce, libero animale del mare? intrappolare i fiori e
altre rappresentazioni di creature viventi in grado in qualche modo di
muoversi, crescere, svilupparsi ecc. se non per rispecchiarvisi, identificarsi?
“Il lavoro di Franco non conosce nessuna evoluzione: il suo unico interesse è
quello di costruirsi i propri giocattoli legando delle cose insieme - dice
Bargellini. Legare insieme lupo e agnello perché entrambi sono vittime di uno
stesso destino, per meglio dire di una fatalità di natura che li ha segnati
ineluttabilmente nei loro rispettivi ruoli di vittima e carnefice, di preda e
predatore, di buono e cattivo? O anche perché Franco vi immagina, in un certo
senso, un’ utopia di una conciliazione degli opposti? Non lo credo. E’ l’unica sua opera che può
farci ipotizzare un pensiero così elaborato e razionale, seppure inconscio, di
tale conciliazione. Ma solo noi, i “normali”, siamo in condizione di azzardare
diverse interpretazioni con la nostra immaginazione “colta”, tentando
un’incompleta e superficiale “spiegazione” a queste sue pulsioni, di cui lui è
totalmente inconsapevole e che esprime nella sua opera ininterrotta, dato che
la follia è uno “stato di fermo” dentro un’ossessione.
F.B., a causa di una malattia infantile
trascurata è sprofondato nella follia distruttiva.
Rita Arimont folle non è, semplicemente è
affetta dalla Sindrome di Down. Sappiamo ben poco di lei, solo che è nata a
Malmédy in Belgio nel 1967, vive in Belgio presumibilmente insieme ai parenti,
frequenta la S Grand Atelier dove ha la possibilità di esprimersi creativamente.
Partecipa assiduamente ad atelier di cucito.
A distanza di due anni, dal mio primo
incontro con le opere di F. Bellucci,
incontro quelle di Rita nel nuovo spazio
artistico di Contemporart Ospitale dell’arte, sempre a Genova, nelle belle
stanze restaurate di Villa Piaggio. Si inaugurava un’altra mostra di outsider
art, molto coinvolgente e di alta
qualità.
Che cosa mi ha così tanto colpito in lei,
“legandola “per analogia, agli oggetti-nodo di Bellucci (del quale sono
esposti, nella stessa sede, nuove opere?)
Fra i due ci sono dei legami, dicevo.
Infatti, la Arimont lega con spaghi di raffia
larghi e stretti diversamente colorati, una serie di bamboline, tutte della stessa misura, a volte sorridenti a
volte no, vivacemente dipinte e abbigliate chi da contadinella di balletto
folclorico come matrioske in miniatura, chi sfoggiando uno svariato guardaroba
alla Barbie. Le lega a due, a tre, a gruppi,
presentandole in verticale o in
orizzontale oppure oblique o capovolte. L’idea di rappresentare un sorta di solidarietà tra
donne “prigioniere” di uno stesso disagio, è un pensiero “femminista” che viene
spontaneo solo a chi guarda. Per lei è diverso. Ma non diverso dal gesto
utopico e onnipotente di Franco, quello di fermare il tempo, di ritualizzarlo,
conservare la sua infanzia attraverso oggetti che gliela rievocano. ”Voglio
essere sempre così - una bimba che danza”. È
così? D’accordo: l’immagine che
ha di sé sarebbe quello stereotipo della donna-bambola in cui lei si rispecchia
o sogna di assomigliare…
Non so se l’idea di incorniciare e quindi
mettere sotto vetro le bamboline in serie - con un ulteriore effetto di
prigionia e costrizione, e suddividerle in una serie di quadretti da appendere
al muro, (nel caso di un’esposizione pubblica) - sia tutta di sua invenzione.
Infatti Rita fascia con plastica leggera e trasparente, le sue creature. Le
impacchetta e a volte le mette da parte, un po’ le nasconde e un po’ no. Le
scopre e ricopre, con foto, scritture varie, lettere, e materiali come scotch,
colla, carta da pacchi. Le marchia come un tatuaggio per segnare la sua
identità-proprietà o stende su di loro qualcosa di simile a una coperta
protettiva? Non per conservare la vita in prospettiva di una naturale crescita,
come fa una madre coi suoi figli piccoli, mettendoli a dormire ma, al
contrario, fermarli in quel magico tempo di coccole infantili e non farli
uscire più da lì. Mi incuriosisce saperlo. Certo che queste espressioni
artistiche particolari, ci riportano pari pari al mondo delle fiabe. Mi viene
in mente la Bella Addormentata al centro di una foresta e di un paese con i
suoi abitanti pietrificati e soprattutto
Biancaneve quando, apparentemente morta, viene posta dentro una bara di
cristallo, in modo che tutti la possano ammirare e piangere. Ma poi sappiamo
che le due belle fanciulle si risveglieranno, come la primavera tornata a
risplendere dopo i rigori dell’inverno. Sarà così anche per le bamboline di
Rita? Quelle da lei coperte, conservate e nascoste, faranno la nanna per
sempre, dopo la sua segnatura?
Gli alienati, in genere, col loro gesto
onnipotente, si sostituiscono al fatale avanzare del tempo, e decidono loro
quando e come dominarlo.
Note
1)Il
catalogo della mostra Due ma non due -
aperture ed incontri nell’arte degli anni post Basaglia, a cura di Gustavo
Giacosa (Joker, 2008), è stato accuratamente
recensito da Marina Raccanelli in:
viadellebelledonne.wordpress.com/2009/03/20/due-ma-non-due/
2)Sono
immagini del video su Franco Bellucci presente all’interno della suddetta
mostra.