Quella che segue è la prefazione
alla riedizione con Off Topic (2013) de Gli
incendiari della Comune di Ulisse
Barbieri (1871)
Wolf Bruno
Barbieri, Petruccelli e la Comune
Ulisse Barbieri (1841-1899) fu un patriota mantovano
che dalle battaglie del Risorgimento – e dal carcere – passò al nascente
socialismo. Collaborò alla stampa radicale dell’epoca e si occupò perfino di un
giornale, “Combattiamo!”, che
continuò le pubblicazioni a Genova e Voghera anche oltre il breve periodo della
sua direzione (1887-1888). Ripose inoltre le sue energie in tutto il ventaglio
dell’attività letteraria (romanzi, poesie e altro). Nel 1871, quando in
sostanziale presa diretta scrisse Gli
incendiari della Comune e subito lo pubblicò con l’editore Legros, fece altresì uscire il dramma L’assedio di Parigi e, per i
tipi di Croci, la “fantasia romantica” intitolata a Lucifero.
Il libro sulla Comune ha un molteplice interesse sia
per la tempestività, sia per il basarsi, come dichiara il frontespizio, su
“relazioni particolari” ottenute in coincidenza e subito dopo i fatti, ma
soprattutto per la corrispondenza di Ferdinando
Petruccelli della Gattina (1815-1890) che
viene riprodotta nel volume.
Altro patriota, Petruccelli
finì esule in Inghilterra e in Francia (dove morì) a seguito dei moti
anti-borbonici del 1848. Nato in Basilicata da un medico e una nobildonna, usò
battezzarsi della Gattina (la località di un suo podere) per confondere i gendarmi
borbonici. Messo a pensione presso un Arciprete
di Castelsaraceno, nei pressi di Potenza, e
finito in seguito nel seminario dei gesuiti a Pozzuoli, maturò ben presto lo
spirito anticlericale e spregiudicato che lo contraddistinse. Giornalista
disinibito è considerato fra i maggiori del XIX secolo (avrebbe affermato Luigi
Russo nel 1923: “Rimane ancora oggi, insieme con Edoardo Scarfoglio,
il nostro più grande giornalista, e l’unico giornalista italiano di tipo
europeo”) ma non incontrò il favore di Benedetto Croce che vide nella sua opera
solo del sensazionalismo, un giudizio pesante che ne compromise a lungo – e di
fatto ancora oggi impedisce – la fama. Petruccelli non piacque nemmeno al suo contemporaneo
Vittorio Imbriani, tanto anticonvenzionale in
letteratura quanto prudente in politica, pur denunciandone in qualità di
giornalista il malcostume.
L’opera più nota del Petruccelli
è I moribondi del Palazzo Carignano del 1862 che lodevolmente Folco Portinari ripropose 120anni
dopo nei piccoli, raffinati volumi rilegati pubblicati da Rizzoli come “Ramo
d’oro” (ma se ne trova un’edizione più recente, del 2011, nel catalogo di
Mursia). Insediatosi a Torino nel 1861
il primo parlamento, nel palazzo Carignano, anche quest’opera è in “presa
diretta” (deriva infatti da alcuni articoli) e Petruccelli,
che siede sui banchi della sinistra, vi denuncia la classe dirigente
inaugurando una vena polemica nei confronti della politica che forse mai riuscì
a eguagliarne il livello.
Per tornare alla Comune, affermandone immediatamente
il carattere federalista, Petruccelli si interrogava
allo stesso tempo sul significato dell’espressione “universaliser
le pouvoir et la proprieté” decidendo
che in quel modo si voleva intendere “l'abolizione del salario, e la
partecipazione uguale dei produttori al prodotto”. Una sintesi che se in
Francia vibrava nel contributo di proudhoniani, fourieristi e blanquisti, in
Italia, avversata da Mazzini, aveva in
parlamento un sostenitore nel vecchio patriota, amico e corrispondente di Proudhon, Giuseppe Ferrari, ma la cui eredità, da tutti
reclamata, fu guerreggiata fra le diverse scuole di socialisti e libertari.
Un paradosso in questa eredità è che essendo stata
repressa la Comune - e con quale ferocia - dalla borghesia repubblicana, essa finì
per entrare nella mitologia dei monarchici meno conformisti così da suggerire
ancora molti anni dopo le toccanti parole di di Bernanos, per quanto in pagine controverse poiché
incentrate sulla figura di Edouard Drumont, sì
socialistoide (in chiave nazionale) ma antisemita (elemento del resto non
estraneo nemmeno a Louise Michel, l'eroina comunarda per eccellenza) così da
creare imbarazzo fra molti sostenitori dello scrittore.
E se, come si racconta, la repressione messa in atto
dai repubblicani contro i comunardi colorò la Senna del colore delle ciliege,
quelle stesse della popolare canzone di quei giorni (le temps des cerises) che arieggiava l'amore fra conquiste e
abbandoni, fra festosità e amara nostalgia, dalla Comune vennero le parole –
musicata lo fu più tardi - de
"l'Internazionale".