Wolf Bruno
cattivi i cattivi della critica?
A un certo
libricino che tanto ha fatto parlar di sé
fra l’estate e l’autunno mi sono dedicato soltanto quando la promozione
era ormai finita e le baruffe che in fondo ci si aspettava non si sono pienamente
verificate. Sul banco dei cattivi (Interventi Donzelli, Roma 2006) di Ferroni, Onofri, la Porta e Berardinelli è stato presentato da tutti coloro che se ne
sono occupati sui giornali come l’esempio militante dell’arte della stroncatura
letteraria. Chi promette di esprimersi con la più totale mancanza di buon cuore
gode in genere della mia attenzione, ma il tanto che ne avevo letto (comprese ampie
anticipazioni) aveva esaurito quasi interamente il mio interesse. Il titolo non
era male, per quanto dall’ironica astuzia si spargesse un cipiglio professorale.
Che poi venisse annunciato in copertina il proposito di ciarlare di “Baricco e di altri scrittori alla moda” mi lasciava
indifferente, salvo pensare – ma già avevo avuto modo di accertarlo in svariate
occasioni - che lo scrittore torinese, per i critici affermati, aveva acquisito
il rango del nemico. Povero lui non viene proprio da dire, ma buon per lui sì, essendo
peraltro considerato ancora (credevo infatti il contrario) “alla moda”. Alla
fine, con il ritardo che in queste cose sembra essere imperdonabile, il volumetto è giunto fortunosamente fra le mie mani e, in men che non si dica, sono arrivato all’ultima pagina (la
94).
Preciso subito che di Baricco ho letto
pochissimo, e nulla della sua narrativa (se non di sfuggita). Benché fossi
rimasto a suo tempo impressionato da un paio di libri musicali, non affrontai
le opere che l’hanno reso famoso e in ciò non ha nessuna responsabilità la
critica, che allora era tutta positiva. Non essendo un lettore professionale e
avendo la possibilità di scegliere ho scelto altrimenti, magari sbagliando. Di Baricco, in Sul banco dei cattivi, si occupa
Giulio Ferroni, un gran professorone, un erudito esperto
di letteratura italiana, uno storico di vaglio privo tuttavia del minimo
accenno di buon umore, di una scrittura accattivante, di veri accessi di
malizia, come mi era del resto noto attraverso i suoi pessimi e noiosissimi
scritti giornalistici. Se vuole essere una stroncatura, il suo saggetto manca dei requisiti minimi per essere preso
veramente in considerazione come tale. Nemmeno è chiaro dove Ferroni sia voluto arrivare e, per un professorone grande
esperto di letteratura, appurare che il suo testo manca di un vero assunto cui,
nel bene o nel male, tener dietro dà da pensare sullo stato degli studi
letterari in Italia. Il fatto che abbia preso di mira Baricco
meriterebbe, credo, una precisa attenzione esso stesso e una ricerca su come
uno scrittore diventi il bersaglio privilegiato dei critici andrebbe fatta.
Riguardo Baricco mi sono comunque fatto un’opinione.
Non era lui, quando la sua stella brillava come poche, che era stato collocato,
con la leggerezza tipica dei mass media, in quell’ettaro
esclusivo di cielo che tocca agli uomini belli e interessanti? Credo che le sue
sfortune attuali derivino essenzialmente da questo, dall’esser stato graziato
dalla natura come viceversa non lo sono di solito i critici letterari. Si fa
presto a parlar d’invidia!
Come per Baricco, confesso che anche degli
altri scrittori presi in esame nel libro ho letto veramente poco e di due di
loro, Salvatore Niffoi e Isabella Santacroce, proprio
un bel niente. L’ignoranza è un grave limite, ma in questo caso penso mi abbia
permesso un’immersione meno compromessa dai pregiudizi nella scrittura dei
critici. Ho notato con piacere che Massimo Onofri,
nei suoi esempi, veleggia disinvolto su Gadda, il che
segna una certa distanza dalle generazioni più anziane della critica letteraria.
Onofri incentra la sua analisi sulle opere di Niffoi, Santacroce ed Erri De Luca. Dei primi due ho detto sopra
e quel che so (poco più dei nomi) l’ho appreso dalle pagine culturali dei
giornali o dalla TV, nulla che vada oltre a vaghe notizie sull’erotismo un po’ “bondage” della Santacroce – nient’affatto allettante per la
verità – e il sardismo “barbarico” di Niffoi – capace, per il momento, di rendermi sospettoso più che interessato. Di Erri
De Luca ho, sfortunatamente, qualche più diretta cognizione e sebbene Onofri non sia tenero con la sua poetica che “da proletaria
finisce piccolo-borghese”, mi pare che la stroncatura sia un’altra cosa. Tuttavia,
accomunati da Onofri nella categoria del “basso
sublime”, i tre scrittori passano al vaglio di una critica sociologizzante
(ma con evidenti impennate “di gusto”) in fin dei conti piacevole come lo sono certi
suoi remoti modelli (Mac Donald
e il Barthes delle Mythologies).
Non so veramente che dire del contributo di Alfonso Berardinelli,
che magari è il più vicino a una stroncatura. Concepito come una lettera al suo
scolaro di un tempo Tiziano Scarpa, sembrerebbe prendere a cuore la funzione
dello scrittore nella società contemporanea. Forse ho capito male ma mi mancano
gli stimoli per approfondire la questione, ad ogni modo insignificante. Quello
di Filippo La Porta Contro il nuovo
Giallo Italiano mi ha invece affabilmente acchiappato. Ho avuto modo di
constatare quanto poco sia piaciuto agli appassionati della letteratura “di
genere”, e certe obiezioni sono anche sacrosante. Non si deve comunque condividere
ogni asserzione di un testo per apprezzarlo e le argomentazioni di La Porta mi
sono parse tutto fuorché banali. Posso anzi aggiungere che da solo questo breve
saggio vale il libro.