Massimo Bacigalupo

Yeats. Quelle forme poderose fedeli al contemporaneo

 

William Butler Yeats morì a Roquebrune il 28 gennaio 1939, settant’anni fa, guadagnandosi una celebre elegia di W.H. Auden: “Eri sciocco come noi: il tuo talento sopravvisse a tutto...” Yeats era caratterizzato da una straordinaria forza espressiva e anche se le sue fonti erano eccentriche (lo spiritualismo fin de siècle) egli colse la drammaticità della condizione moderna, fu poeta-profeta, testimone delle violenze che distrussero il “mondo di ieri” a partire almeno dal 1914. Fu in particolare la guerra civile in Irlanda, la pulizia etnica e religiosa, che gli si presentò e che egli seppe elaborare. Un poeta che spesso da noi passa ancora per un nuvoloso mitomane immerso in sogni “celtici” vide invece e raccontò le violenze delle squadracce delle parti opposte che battevano le campagne assonnate dell’Irlanda: “Ora è tempo di draghi, l’incubo / cavalca il sonno; una soldataglia ubriaca / può lasciare una madre massacrata a strisciare nel sangue / davanti alla sua porta, e andarsene impunita...” (cito il poemetto 1919 nella felice  versione di Ariodante Marianni, raccolta nella massiccia Opera poetica, Meridiani Mondadori).

    Se Yeats ci parla oggi  più del suo affabile ammiratore Auden e di ogni altro poeta attivo nelle isole “britanniche” nel secolo scorso ciò si deve – è ovvio – all’intensità della sua immaginazioni e alla capacità di creare forme poderose ma fedeli ai moti dell’animo contemporaneo. “Troppo lungo un sacrificio / può fare una pietra del cuore” scrisse a proposito della sollevazione dublinese della Pasqua 1916, dando risonanza e gloria mondiale a un episodio locale. E una poesia breve e potente, Il secondo avvento, è divenuta (hanno notato i commentatori) il testo più citato dagli editoriali e persino dai militari a proposito della guerra in Iraq. (Si provi a cercare su Google “second coming iraq war”.)

     Tutti conoscono l’epigramma  che si trova al centro di questo testo: “I migliori difettano d’ogni convinzione, i peggiori / sono colmi d’appassionata intensità”. Poteva essere un commento sul terrorismo brigatista, sulle purghe staliniane e hitleriane, sul “silenzio degli innocenti”, sull’incapacità in Italia della classe media progressista di farsi carico della politica, dandola in gestione a faccendieri e palazzinari. L’inizio della poesia è invece quello che ricorre nei dispacci da Baghdad:

 

Le cose cadono a pezzi; il centro non regge più;

sul mondo dilaga mera anarchia,

l’onda feroce di sangue dilaga, e in ogni luogo

sommerge il rito dell’innocenza...

 

 I poeti ci danno le parole per affrontare l’esperienza: una violenza o energia interna (diceva Wallace Stevens) per contrastare, affrontare, la violenza esterna. Le parole possono diventare retorica, frasi fatte: anche le più felici possono aiutare a non vedere dando l’illusione di dire. Ma Yeats non si fermò mai e fino all’ultimo giorno di vita continuò a prorompere in quei suoi vaticini che non di rado cedevano il passo al paradosso, all’ironia, al mondo dei sensi che lo ossessionava quanto più la vecchiaia lo rendeva sbiadito. Si sa che l’ultima raccolta si chiude con una movenza popolare adattata ai tempi della Guerra di Spagna:

 

Come posso,

con quella ragazza là in piedi,

fissare l’attenzione

sulla politica russa o la spagnola

o su quella romana?

Eppure qui c’è un uomo navigato

che sa quello che dice...

 

Passionalità e sprezzatura: il maestro del sublime non esita a scendere (metaforicamente) nella taverna coi ghiottoni. Yeats che secondo la leggenda entrò solo una volta in un pub dublinese (lo si può ancora visitare a due passi da St. Stephen’s Green) scrisse canzoni che tuttora nei pub si cantano: “Down by the salley gardens / My love and I did meet...” Su YouTube si può anche sentirle intonate da Branduardi o da Carla Bruni.

     Sempre a Dublino, la National Library presenta fino a gennaio una splendida mostra sul bardo multiforme, con sezioni sul drammaturgo, lo spiritista, il politico, l’innamorato... E’ aperta fino a gennaio ed è anche possibile una visita virtuale sul sito www.nli.ie/yeats, dove ci muoviamo fra bacheche e possiamo ingrandire le foto e gli oggetti che contengono, udire la voce vibrante di Yeats, leggere i manoscritti di alcune delle poesie più celebri, vedere anteprime dei video che nella mostra sono inseriti in ambienti che ricordano quelli dove il poeta visse: l’appartamento di Bloomsbury, la mitica Torre normanna di Galway a cui intitolò la raccolta più possente, l’Abbey Theatre che fondò e diresse... Una grande immagine dell’antico Castello di Rapallo sovrasta la versione digitale del “Rapallo Notebook” dove nel 1930, soggiornando in Riviera presso l’amico Pound, l’anziano vate cominciò a scrivere la labirintica poesia “Bisanzio”, ma evocò anche il personaggio di Jane la Pazza, una vagabonda che inveisce contro il Vescovo:

 

Il bello e il sozzo sono parenti,

e il bello ha bisogno di sozzura...

Una donna può essere altera e dura

quando è intenta all’amore.

Ma Amore piantò la sua dimora

nel luogo degli escrementi...

 

     Nella bacheca dedicata alle Ultime poesie (1939), c’è il dattiloscritto della poesia Ritorno alla Municipal Gallery, cronaca di una visita alla galleria fondata da Hugh Lane nel 1908 con opere degli impressionisti e di pittori irlandesi, oggetto di una delle prime grandiose polemiche yeatsiane a proposito dei mancati finanziamenti pubblici e privati per darvi una sede degna e conservarla a Dublino: oggi naturalmente è uno dei principali poli d’attrazione della città e fino al 29 settembre ospita in una mostra centenaria tutti i quadri della Collezione Lane, anche quelli finiti per via delle polemiche a Londra (fra cui i famosi Ombrelli di Renoir). La Galleria è stata ingrandita con nuovi spazi luminosi in cui fra l’altro è stato ricostruito lo studio londinese di Francis Bacon, altro disperato irlandese: un mare di cartacce, abbozzi, ritagli. Proprio quella che Yeats chiama in un testo grandioso “la laida rigatteria del cuore”.

     Dunque a Dublino si può ancora entrare nella Municipal Gallery ripetendo la visita narrata da Yeats: “Intorno a me le immagini di trent’anni...” Il vecchio poeta rivede i ritratti di amici e collaboratori: Synge, Lady Gregory, Lane (nipote della Gregory), il grande amore Maud Gonne (la sua Elena). Spesso la sua poesia narra in questo modo un episodio e lo emblematizza, vedi ad esempio la famosa Fra le scolare. C’è l’occasione, e poi scatta la riflessione, il rammarico, la visione.

     Fra le altre curiosità della mostra, una copia del volumetto con la traduzione poundiana (1927) del Ta Hio di Confucio, con la dedica autografa:

 

To Wm.

’Appy Noo Year 1939.

wif ’opes of enlightenment.

EP

 

(Cioè, nell’idioletto cockney poundiano, “Happy New Year, with hopes of enlightenment”.) Pound dunque inviava a Yeats come regalo per quello che sarebbe stati il suo ultimo capodanno le scritture confuciane, sperando ancora di “illuminarlo”... Ma Yeats non ne aveva bisogno, e negli ultimi giorni del 1938 dettava alla moglie alcuni febbrili e stravaganti appunti filosofici, poi continuava a lavorare alle ultime poesie e commedie, letteralmente sino all’ultimo respiro.

      Usciamo da mostre e gallerie e magari ci fermiamo davanti alla tomba di Jonathan Swift nella cattedrale protestante di San Patrizio (ma ormai occorre un biglietto d’ingresso), e vi leggiamo “il più grande epitaffio mai scritto”, come lo definì Yeats. Ubi saeva indignatio ulterius cor lacerare nequit... Dove la furiosa indignazione non può più lacerare il suo cuore... 

    Yeats però volle misurarsi col tremendo modello e dettò un epitaffio altrettanto celebre per la sua tomba presso Sligo, “sotto la testa calva di Ben Bulben”, cioè il monte antidiluviano che si staglia all’orizzonte del camposanto:

 

Getta un occhio freddo

sulla vita, sulla morte.

Cavaliere, va’ innanzi!

 

     Siamo sulla costa atlantica, l’ultimo lembo d’Europa, la spiaggia dove naufragò l’Invincibile Armada di Filippo II che tentava invano la conquista dell’Inghilterra (e gli irlandesi ricordano quel naufragio con rimpianto, o perlomeno con sentimenti conflittuali). Da Sligo proveniva la madre di Yeats, appartenente a una famiglia di armatori e naviganti, e a Sligo il poeta bambino trovò di che ispirarsi. Jane la Pazza cammina idealmente lungo quelle spiagge. Il padre del poeta, pittore e affabulatore, disse con espressione felice degna del figlio geniale: “Noi Yeats abbiamo idee e niente passione, ma sposando una Pollexfen abbiamo dato una voce alle scogliere”.

 “Il Manifesto-Alias”, 13 settembre 2008