Massimo Bacigalupo

Rimoldi/Garrone: tre generazioni fra cinema e teatro

 

Adriano Rimoldi, nato a La Spezia nell’aprile 1912 e morto a Roma nel 1965, fu il bell'attore che intorno al 1940 il cinema italiano propose come alternativa autarchica ai divi americani, in film come Addio, giovinezza!, Miseria e nobiltà, Tosca, Capitan Tempesta, Don Giovanni, soprattutto I bambini ci guardano di De Sica e Zavattini. Nel 2009 la Mediateca Regionale Ligure ha promosso una mostra ampia e sorprendente, "Rimoldi/Garrone - Eredità di Cinema", che dopo essere stata inaugurata a La Spezia, ai primi del 2010 è traslocata in forma ridotta a Palazzo Ducale, a Genova (chiudendo il 12 febbraio). Infatti i concittadini spezzini di Rimoldi hanno scoperto che Matteo Garrone, uno dei migliori giovani registi italiani, è il nipote di Adriano.

    La vita di Rimoldi fu avventurosa quanto i suoi film. Fece il boxeur, lo chansonnier, lo studente di medicina a Firenze, Roma e Siena, l’attore di rivista, poi il divo di successo. “E’ attor giovane in giro per la Toscana con le compagnie del Guf”, scrive Fabio Carlini nel ricco catalogo della mostra, “e ‘cantante in orchestra’ nei tabarin di Grecia e Turchia, dove sussurra con successo languide canzoni d’amore alle turiste di passaggio. Si sposa prestissimo (febbraio 1937) con Clara Orazi, che, dicono le cronache, gli fu presentata da un suo amico, guarda caso proprio il fidanzato della sua futura moglie”.

    Si dà il caso che quell’amico fosse Giuseppe Bacigalupo, mio padre, anch’egli  studente di medicina piuttosto svogliato a Siena, che in effetti aveva del tenero per la simpatica biondina Clara. Restarono amici anche in seguito, e Clara spesso tornò a Rapallo nel dopoguerra con le belle figlie giovinette, Simonetta e Donatella, entrambe poi arrivate a La Spezia per l’inaugurazione della mostra Rimoldi/Garrone, i cui materiali provenivano in buona parte dall’archivio di famiglia. All’inaugurazione c’era anche un figlio spagnolo di Adriano, nato nel 1962, un fratello ritrovato e affettuosamente accolto nella allargata famiglia Rimoldi.

    Infatti Adriano, dopo i successi cinematografici italiani, col precipitare della situazione bellica si spostò in Spagna dove girò fra 1944 e 1949 molti film accanto alla nuova compagna Mery Martin. Titoli come Una sombra en la ventana, Ni pobre, ni rico, sino todo lo contrario, Hombres sin honor, Cabeza de hierro, tutti del 1944, cui seguirono fra gli altri Nada (1947) e Doce horas de vida (1949). Mery Martin, ci dice Carlini, “ha vent’anni, è di origine svedese, ha un volto affascinante che ricorda quello di Greta Garbo, occhi che ammaliano...  Adriano sfodera il suo fascino” e “con lei gira una quindicina dei trentasei film che interpreta in Spagna, prevalentemente negli studi di Barcellona”.

    Dopo gli allori (non solo artistici) spagnoli, e finito il conflitto, Rimoldi rientra in Italia per una serie di film  drammatici e comici non memorabili (La mano della morta, Gente così, I due sergenti, Cuore di mamma). Fa anche da spalla al duo Stanlio e Ollio al tramonto in Atollo K (1951). Ritorna alla rivista con successo, salvo il fiasco di Sexophone (1955-56), “spettacolo mancato” (Morandini) scritto e interpretato dal maledetto toscano Curzio Malaparte, che così entra anch’egli in questo quadro multiforme. Sempre Carlini riferisce che il 3 gennaio 1954 Adriano è chiamato con Isa Barzizza a inaugurare il primo giorno di trasmissioni della tv italiana, per i cui “ottantamila abbonati” lavora anche in seguito.

   Fra 1957 e 1963 è di nuovo in Spagna, ed è qui che da un nuovo amore nasce il terzogenito Alejandro. Interpreta fra l’altro Los chicos (1959), primo film di un altro maledetto, Marco Ferreri. Rientrato in Italia, malconcio di salute, appare nel 1962 in un episodio di L’amore difficile, L’avaro, deuteragonista dell’avaro avvocato Vittorio Gassman che nega a un povero debitore il prestito che lo salverebbe. Nella scena patetica della richiesta del prestito Rimoldi è così efficace ed espressivo da rubare la scena al protervo Vittorio. L’ultimo titolo della accidentata filmografia rimoldiana è abbastanza emblematico di un’esistenza all’insegna dell’imprevisto: Zarabanda Bing Bing (1966), che arriva da  noi come Baleari operazione oro.   

     La mostra spezzina-genovese e il catalogo hanno permesso di viaggiare fra istantanee, foto di scena, album di famiglia, manifesti. In una sala si poteva gustare una scelta di sequenze dai film di Rimoldi, che restituivano benissimo il senso della sua vicenda convulsa di artista di spettacolo nell’Europa a cavallo della guerra.

    Poi si passava alla sezione dedicata al lavoro del nipote Matteo Garrone, esperto italiano di noir (Terra di mezzo, L’imbalsamatore, Estate romana, Gomorra...), un ottimo artigiano del racconto cinematografico. (Matteo è stato anche pittore iperrealista.) Il suo Gomorra, uscito negli Usa nel 2009, era segnalato a fine anno nella classifica del “New York Times” dei dieci migliori film per tutto quello che riesce a dire con uno sguardo abbastanza distaccato, morale senza essere moralista. Gomorra è infatti un film a episodi che si intrecciano abilmente, fanno allibire, ridere, riflettere. Il merito va anche agli sceneggiatori (fra cui Ugo Chiti) e al fotografo Marco Onorato, ma lo stesso Matteo prende volentieri in mano la macchina da presa, come si vede dalle foto di set che costituivano la parte (molto contenuta) a lui dedicata della mostra.

    Matteo è figlio di Donatella Rimoldi e del compianto critico e autore Nico Garrone, figura centrale della vita teatrale italiana degli ultimi decenni. Anche per Matteo i film del nonno Adriano saranno stati una scoperta. Ma è cresciuto in un’atmosfera di fantasia sbrigliata, di vita gioiosa, alla Zarabanda Bing Bing, in cui sicuramente ha avuto parte preponderante la nonna Clara Orazi Rimoldi, quella giovane vivacissima che sulla metà degli anni ’30 due studenti di medicina corteggiavano nella severa Siena.  

“Rapallo Notizie”, aprile 2010