Massimo
Bacigalupo
Caterina Ricciardi, poundiani raccordi di
luce
Come leggere Pound? Con divertimento e passione,
addentrandosi nei meandri del labirinto. E’ quello che fa Caterina Ricciardi in
un agile libretto intitolato alle Ghiande
di luce (Raffaelli, pp. 182, 12,00) che Ezra si vantava nell’ultimo dei Cantos di averci consegnato.
Appassionata di percorsi artistici, Ricciardi presenta una serie
organica di indagini, portandoci prima nell’Arena di Verona dove un giovane
Pound meditava negli anni ’20 sulle sorti del mondo (e della letteratura) in
compagnia del sodale Eliot. Poi arriviamo al Tempio Malatestiano di Rimini,
fulcro dell’universo poundiano: Sigismondo come patrono, costruttore, uomo
d’armi e d’amori: il tempio dedicato alla “Divina Isotta” (altri dicono che
“D.” stia per “Domina”), la sua amante e poi moglie (dopo l’eliminazione fisica
delle precedenti consorti).
Al
Tempio un discepolo jungiano di Pound, Adrian Stokes, dedica un libro di
fantasticherie alla Bachelard, Stones
of Rimini, anch’esso recentemente
proposto da Raffaelli. E a novembre 2006 l’Università di Los Angeles UCLA, per
iniziativa del romagnolo Massimo Ciavolella, ha dedicato ai Malatesta tutto un
convegno in cui le ricostruzioni moderniste di Pound non potevano essere
ignorate. Per chi non lo sapesse, “Sig” è argomento dei canti 8-11 (1922) dei Cantos, una sorta di anti-Terra desolata, di risposta a Eliot, in
cui qualcuno ha anche voluto scorgere un precoce omaggio a un altro fatale
romagnolo, che Pound chiamerà “Muss”.
Ma
Ricciardi, beata lei, non si fa distrarre dalla politica che pure incombe e
rende selvaggio il dettato poundiano (e gli attira tanti estimatori
sprovveduti), e procede con passo spedito fra le ghiande di luce, lasciando il
lettore col fiato corto. Critica come poesia, fatta di intuizioni e raccordi,
soprattutto passioni.
Da
Rimini veniamo a Venezia (dove a giugno si terrà un megaconvegno poundiano,
preludio al centenario della pubblicazione veneziana del suo primo libro, A lume spento). Venezia scenario
prediletto del decadente Pound, insieme del resto alla sua Rapallo. E Roma? Una
“ghianda” rivela che il Circeo ha un ruolo nella camera di echi e specchi dei Cantos (“Rimettere la dea sul suo
piedistallo a Terracina” vaneggiava Ezra nel 1942).
Nella
conclusione spuntano i sonetti di Shakespeare, eterni come la bellezza di una
lirica di Yeats, e la Ricciardi arriva anche a Rapallo, con quel minimale
racconto del primo Hemingway, Gatto nella
pioggia. Qui però incorre in un curioso equivoco.
C’è una
coppia americana in albergo, annoiata dalla pioggia. Lei vede un gatto sotto la
finestra e scende a cercarlo, non lo trova, al marito imperturbabile fa una
piccola scena isterica: vuole avere una casa sua, vuole almeno un gatto.
Bussano alla porta, appare la cameriera. Nella traduzione del 1947 dei Quarantanove racconti: “Reggeva
faticosamente, tenendolo stretto a sé, un grosso gatto di maiolica”. Ma in
quella del 1988, Vincenzo Mantovani si
è accorto che un “big tortoiseshell cat” è “un gattone color tartaruga”,
insomma un gatto vero. Chissà perché, Ricciardi si ferma al vecchio
travisamento (“un gatto di guscio di tartaruga”), e ci costruisce sopra da par
suo raccordi e suggestioni.
“Il manifesto-Alias”, 14 aprile 2007