Massimo Bacigalupo
fascisti, giù le mani da Pound
Mary de Rachewiltz, nata da
Ezra Pound e la sua compagna americana Olga Rudge, si occupa da una vita delle
“ceneri di Pound” e sul padre e il suo mondo ha scritto un notevole memoriale, Discrezioni, che andrebbe ristampato.
Vive a Tirolo di Merano, in un vecchio
maniero dove la famiglia ospita corsi estivi di università americane e qualche
volta convegni dedicati all’autore dei “Cantos” (che Mary ha tradotto con passione
e continua – dice – a studiare). Giunta a un’età più che ragguardevole (la
madre comunque morì centenaria), l’età in cui suo padre taceva abbastanza
serenamente fra le calli di Venezia e le mulattiere di Rapallo e d’ogni tanto
faceva ancora una nuotata guardato a vista dal bagnino Pippo Ottonello, Mary
meriterebbe anche lei un po’ di serenità circondata dai nipoti e magari
bisnipoti. E invece la (s)fortuna di Pound in patria e l’abuso che del suo nome
da qualche anno fanno le destre anche estreme è una ferita dolorosa sempre
rinnovata. “Il Natale è rovinato” ha detto quando ha saputo che un
simpatizzante di CasaPound, il centro sociale romano con emanazioni in molte
città italiane, aveva ucciso dei senegalesi a Firenze prima di suicidarsi. E
dire che Pound, non a torto accusato di antisemitismo perlomeno ideologico
(infatti il suo odio per i “mercanti di cannoni” e per gli usurai -- che
secondo lui vogliono una guerra dopo l’altra solo per i loro interessi
finanziari -- si trasformò in ossessione antiebraica), ebbe sempre ammirazione
per le civiltà africane descritte dal suo nume Leo Frobenius, e nel campo di
detenzione di Pisa fraternizzò con i detenuti afroamericani. E i Canti pisani registrano l’esecuzione di
un certo Louis Till, padre del giovane Emmett Till il cui linciaggio in
Mississippi nel 1955 fu una delle cause celebri della lotta per i diritti
civili.
Mary ha annunciato che farà
causa a CasaPound per l’impiego non autorizzato e fuorviante del nome del
padre. Infatti Pound era soprattutto un poeta che nell’economia e nella storia
cercava e trovava materiali di passione, per le sue folgorazioni e geremiadi.
Con usura
non ha più nessuno una casa di pietra liscia
dai blocchi ben tagliati
affinché la pittura ne copra la superficie
con usura
non ha più nessuno un paradiso dipinto sul muro della chiesa
harpes et luthes
o dove la vergine riceve il messaggio
e l’aureola si proietta dall’incisione...
Solo i lettori colti e usi al
metodo poundiano individueranno in questi versi le allusioni all’Odissea
(“Nessuno”), François Villon (la preghiera alla vergine della madre di Villon
nel Grand Testament) e all’Annunciazione di Simone Martini. Pound
parla insieme un linguaggio pubblico e privato e vuole, con la forza della sua
lingua e delle sue convinzioni, che il lettore condivida il suo mondo. E’ un
viaggio affascinante, come sanno i lettori dei Cantos, e già Pasolini affermava dei Canti pisani (la sezione dei canti 74-84, scritta appunto nel 1945
a Metato presso Pisa, in una prigionia in realtà non troppo severa), Pasolini
appunto si entusiasmava: “Leggere il Canto 76 fa l’effetto che suppongo debba
fare la più potente e meravigliosa delle droghe”. E continuava: “Pound non è
potuto divenire mai, esplicitamente, appannaggio delle Destre: la sua altissima
cultura, anche se, americanamente, un po’ elementare... l’ha preservato da una
strumentalizzazione sfacciata: il serpentaccio fascista non ha potuto ingoiare
questo spropositato agnello pasquale”.
Purtroppo oggi non è più così,
e Pound rischia di essere identificato solo con quello che egli vide e
fraintese del fascismo. (Non molto, se ancora nel 1959 confondeva Partito
Socialista e MSI.) Avviene a lui, colpevole di aver difeso la sua Italia che
era anche quella del Ventennio, ciò che non accade a tanti intellettuali
italiani che fiancheggiarono il fascismo e non si tirarono indietro nemmeno
dopo le leggi razziali. Non che Pound non abbia fatto scelte sbagliato e
pronunciato frasi farneticanti e che poi, detenuto in un campo militare e in un
manicomio giudiziario, abbia letto nel proprio destino la conferma delle sue
teorie sul “bellum perenne fra l’usuraio e chi vuol fare un buon lavoro” come
si legge ancora nei Cantos. Ma
appunto, Pound non è tutto qui, e merita anche lui l’indulto comminato a tanti
altri perché si possa apprezzare ciò che di “buon lavoro” ha ancora da darci.
Il suo fascismo è del resto il lato inquietante di un impegno che a molti è
parso ammirevole. Come al nostro Sanguineti secondo cui occorreva avvicinare
Pound e Brecht. Comunque il verso conclusivo di uno dei Canti pisani, “Oh lasciate che un vecchio riposi”, va ribadito, e
vale anche per sua figlia Mary. “Il Secolo XIX”, 10 gennaio 2012