Massimo Bacigalupo

Mondo e dizione.

Finalmente un saggio approfondito sulla poesia inglese del Novecento

La lingua inglese è la più diffusa in Occidente e la letteratura di lingua inglese quella che invade le librerie anche italiane e che viene studiata in tutte le Università da schiere di specialisti. Eppure la poesia britannica degli ultimi decenni è quasi sconosciuta da noi salvo qualche smilzo libretto di singoli autori più rappresentativi, spesso mal tradotti e gettati sul mercato fra il disinteresse generale. Va dunque salutato come un evento del tutto eccezionale la pubblicazione dell’opera completa di Ted Hughes, il maggior poeta inglese del secondo ’900, in un Meridiano accurato ma non pedissequo (Poesie, a cura di Nicola Gardini e Anna Ravano, Mondadori 2008), con lucida introduzione, cronologia eccellente, puntuale commento critico e ottima traduzione

     Altrettanto eccezionale è la pubblicazione di un saggio critico di grande respiro, intelligenza e utilità: Fausto Ciompi, Mondo e dizione . La poesia in Gran Bretagna e Irlanda dal 1945 a oggi (pp. 590, ETS, Pisa, 2007) . L’autore è riuscito dove interi dipartimenti universitari non si sono arrischiati: a fornire un quadro organico e completo, quale non esiste forse nemmeno in Gran Bretagna, di un periodo ricchissimo, e a fare, attraverso la storia della poesia, la storia di una cultura in un’epoca in cui siamo tutti coinvolti. I libri di critica sono troppo spesso utili a chi li scrive più che a chi li legge: Fausto Ciompi si è rimboccato le maniche e si è avventurato in un campo enorme e pressoché inesplorato e ne è tornato con un resoconto puntuale e accurato che fa ben sperare per la critica letteraria di cui si sente spesso lamentare l’agonia. E’ importante andare oltre la monografia o il saggio, che offre visioni parziali di un elefante che va visto invece nella sua interezza, pena non comprendere il fenomeno. Mondo e dizione riesce a fare questo con invidiabile lena, senza perciò disperdersi nelle genericità delle storie letterarie: di quasi tutti gli autori Ciompi offre un ritratto approfondito, citando e commentando testi, riportando giudizi critici. Inoltre Mondo e dizione consta di una prima parte storiografica (pp. 1-310) e di una parte seconda di “Approfondimenti”, cioè saggi su singoli autori anche minori: Larkin, Stevie Smith, MacBeth, Henri, MacNeice, Bunting, Hughes, Hill ecc. In Italia, dove di questi solo Hughes è stato oggetto di una monografia in anni lontani, si capisce che il contributo di Ciompi apre un nuovo orizzonte critico. Toscano, egli scrive un italiano qua e là tempestato di termini insoliti, sempre adeguati tuttavia, interpretanti: “La poesia explicitale della raccolta” scrive di Lupercal di Hughes, “si apre con il sostituto rituale del lupo, il suo discendente domestico e ipovalente: il cane”.

     Se questa è la particolare “dizione” del disteso saggio di Ciompi, quale è il “mondo” che esso descrive? Si tratta di cento versioni dell’Inghilterra e dei modi di dirla. Il mondo di Hughes, profetico e violento, è fatto di brughiere, faine, albe livide, miniere abbandonate, visioni paradossali delle origini (Corvo). Agli antipodi il mondo umiliato di un Philip Larkin: l’Inghilterra degli ipermercati suburbani, delle casette a schiera, dei gabinetti con la moquette. Larkin è calato nella contemporaneità con eliotiano disagio, laddove Hughes riprende eccezionalmente  nel secondo Novecento il progetto mitico di D. H. Lawrence, ma senza eccessi predicatori, tenendosi stretta la sua visione di forze incontrollate e antagoniste.  Non impone la sublimità ma respira come già Wordsworth un mondo di grandi forme alle cui sfide non si sottrae. In Italia erano già note le lunghe e intense poesie indirizzate postumamente alla moglie suicida Sylvia Plath,  temerario confronto con una materia dolente e irriducibile. Hughes crede nella tragedia e sfida a testa alta chi della vita dello scrittore fa mestiere o, peggio, pettegolezzo. Ora, grazie alle cure generose di Nicola Gardini e Anna Ravano, abbiamo tutto il corpus di Hughes in cui immergerci. E’ così forte la  sua tensione conoscitiva che i testi comunicano anche in italiano: le fiamme che si sprigionano dal corpo dell’antenato vescovo martirizzato, la vita deflagrante di cardi e uccelli, il falco spietato che contempla l’inizio e la fine. Mi sembra che in Hughes troviamo la voce nuda della poesia, che parla perché deve testimoniare, ed è sostenuta da una vita psichica ricchissima, terribile ed esemplare.

"Indice", febbraio 2009