Massimo Bacigalupo

Due traduzioni di Milton: religioso, moderno, urgente

Nel 2008 è stato festeggiato un po’ in sordina il quarto centenario della nascita di John Milton, il maggiore poeta inglese, che nel 1658, sconfitti con la morte di Cromwell i suoi accesi ideali repubblicani, mise mano al Paradise Lost, immenso poema sulla Caduta e il destino dell’uomo, fonte inesauribile di ispirazione per i poeti romantici, contestato e denigrato accesamente dai novecentisti per la sua lingua giudicata ampollosa. In realtà Paradise Lost è l’equivalente in poesia delle volte barocche con affreschi del Lanfranco e del Baciccio che conducono l’occhio nel profondo dei cieli, dove l’Altissimo dialoga con il Figlio circondato da angeli e santi mentre Satana medita vendetta e inganna l’umanità smarrita e colpevole. E’ una lettura mozzafiato, in quanto parla delle cose prime e ultime e pone in mezzo il grande vate cieco, Milton che detta nel buio le sue pagine sfolgoranti e i suoi versi possenti, isolato e tradito, anche dai famigliari. (Pare che le figlie gli nascondessero i libri...)

    In Italia però il 2009 ha portato addirittura due nuove traduzioni dell’epos miltonico: Il paradiso perduto di Flavio Giacomantonio (Fabrizio Serra Editore, pp. 622, € 125,00) e – più accessibile per prezzo, formato e distribuzione – Paradiso perduto di Roberto Piumini, a cura di Fabio Cicero (Bompiani, pp. 1074, € 35,00). (Non sono però d’accordo sulla soppressione dell’articolo.) Quella di Giacomantonio, prefata da Vittorio Gabrieli, è una traduzione interlineare commentata; quella di Piumini è l’opera ragguardevole di uno dei nostri migliori poeti narrativi (vedi i candidi racconti in versi di Il piegatore di lenzuoli, Aragno 2008), con un utile indice dei nomi attraverso il quale possiamo reperire nel mare magnum dei 12 libri (10.565 versi) i passi in cui Milton ricorda Galileo (che forse visitò durante il viaggio in Italia nel 1639) o cita Colombo a proposito delle foglie con cui Adamo ed Eva vollero ricoprirsi dopo aver peccato:

 

Che differenza dalla loro prima

bellezza nuda e splendida! Colombo,

non molto tempo fa, gli Americani

scoprì con piume ai fianchi, come loro

nudi nel resto del corpo, selvaggi,

su isole e costiere ricche d’alberi...  (IX 1114-18)

 

    Forse “of late” significa “anni fa”, visto che dal 1492 al 1660 erano passati 168 anni. O forse sono pochi nell’universo immenso di Milton, che va come la Bibbia dalla Genesi alla fine dei tempi.

    Piumini, che ha anche tradotto da par suo i Sonetti di Shakespeare (Bompiani 1999), propone endecasillabi sciolti, e come i predecessori che hanno tradotto in versi (su tutti il canonico Lazzaro Papi, 1846), allunga l’originale di circa un terzo, per farci stare tutta la materia sovrabbondante di Milton.

     Giacomantonio traduce verso per verso, facilitando il confronto con l’originale, ma con qualche zeppa:

 

             Non tanto tempo

fa, Colombo trovò gli Americani, ancor selvaggi,

vagar,  sulle isole alberate e per i boscosi lidi, ignudi,

eccetto i fianchi da penne ricoperti a mo’ di fascia...

 

    Si tratta di un verso libero, come quello addottato da Roberto Sanesi nel 1987:

 

        Simili a loro,

recentemente Colombo trovò gli Americani

fasciati attorno ai fianchi da una cintura di piume

e per il resto nudi, selvaggi, vagare per le isole

e sulle spiagge boscose...

 

    Tutto sommato Piumini è più preciso e conciso, visto che Milton non dice che gli indigeni “vagano”, ma li descrive “naked else and wild / among the trees on isles and woody shores” (“per il resto nudi e selvaggi / fra gli alberi su isole e coste boscose”).

    Dunque questo Paradiso perduto di Piumini è senz’altro da consigliare per affrontare l’arduo meraviglioso poema. Le sviste sono relativamente poche (“spot”, III 733, non sarà banalmente “posto” -- “punto” in Sanesi -- piuttosto che “macchia”?); gli errori di stampa (pp. 273, 309, 698, 700...) potranno essere corretti. A mio avviso sarebbe stato opportuno stampare a fronte il testo inglese con grafia e punteggiatura aggiornate, piuttosto che riprodurre quello del 1674, con scrupolo filologico in questo caso fuori luogo. Ad esempio, nel primo verso si legge “Mans” dove l’ortografia moderna vuole “man’s”, e altrove “then” sta sempre per l’odierno “than”. Non per nulla oggi tutti leggono Shakespeare e Milton in testi dall’ortografia aggiornata, con discrezione ovviamente:

 

Of man’s first disobedience, and the fruit

Of that forbidden tree...    (I 1-2)

 

    Sentiamo Piumini:

 

Del primo atto di disobbedienza

che l’uomo ha commesso, e del frutto

dell’albero proibito, il cui fatale

sapore ci portò dolore e morte

e perdita dell’Eden, fino a quando

l’Uomo maggiore ci risanerà

riconquistandoci il luogo beato,

cantami o Musa, come sul nascosto

monte d’Orèb, o Sinai, hai ispirato

quel pastore che al popolo eletto

svelò per primo come cieli e terra

uscirono in origine dal Caos...   

 

    Ed è solo l’inizio di uno straordinario periodo di 16 versi.

    Milton era un poeta coltissimo, che attinge a tutto il sapere classico e moderno, religioso e mitologico, con un senso di urgenza e immediatezza personale che lo rende indimenticabile. Era un puritano, e occorre sempre ricordare che i puritani lungi dall’essere sessuofobi furono fra i primi a celebrare l’amore sessuale, anche se alla donna era riservato un ruolo subalterno (“lui soltanto era per Dio, e lei per Dio in lui”, IV 299). Ed ecco le scene che celebrano la nudità e gli amplessi casti dei progenitori.

    Milton aveva sofferto per il fallimento del suo primo matrimonio, e non può fare a meno di mettere in bocca ad Adamo dopo la Caduta un lamento modernissimo (X 900) sulle difficoltà e sofferenze inerenti a questo istituto. Come spesso si scaglia contro la Chiesa come istituzione: Satana fu il primo a usare ipocrisia, a fingere unzione per fini malvagi, ma trovò molti molti seguaci.

    La straordinaria qualità dell’affresco di Paradise Lost è la presenza di questo gigantesco poeta e uomo che ci parla dalla sua condizione di miseria e fallimento e propone un senso credibile alla storia dell’umanità nell’universo.

“il Manifesto-Alias”, 23 febbraio 2010