Massimo Bacigalupo

Bogliasco e dintorni: il Mar Ligure dei poeti

Da oltre un decennio la il “Centro Studi Ligure per le Arti e le Lettere” della Fondazione Bogliasco ospita studiosi, scrittori e artisti, svolgendo una preziosa funzione di promozione dell’immagine della Liguria all’estero, poiché tutti gli ospiti stranieri (non di rado autorevoli) partono con una forte impressione delle caratteristiche naturali, culturali e sociali della Regione e ne parlano ad altri e, se sono scrittori, nelle loro opere. Un libro del 2003, Luci e ombre di una città. Immagini di Genova, ha riunito gli scatti algidi di un fotografo americano (John M. Hall), le riflessioni sulla Genova levantina di una scrittrice e attivista angloegiziana (Adhaf Soueif, autrice del romanzo Il profumo delle notti sul Nilo) e le poesie del polacco Adam Zagajewski, che colgono con delicatezza impressioni urbane e marine.

Ecco per esempio Zagajewski all’“Aeroporto”:

Viaggio in auto di primo mattino attraverso le gallerie

di un’autostrada sonnolenta e serpeggiante,

l’oscurità antelucana e il gusto scuro del caffè

nel piccolo aeroporto – l’aereo si solleva

dalla pista e improvvisamente scorgi

la vasta distesa del mare che

oggi si sveglia con te,

bianche strisce sulla superficie

come pensieri ancora non espressi

fragili e trionfanti

 

Zagajewski passa così dalla registrazione alla metafora vitale davanti al Mar Ligure.

In un’altra poesia si mette  ad ascoltarlo mentre frange sugli scogli sotto la Villa dei Pini (sede della Fondazione):

Il mare parla a se stesso,

senza pausa sussurra o grida,

si rimprovera,

metodicamente scandisce versi,

si riposa per un giorno,

poi ancora una volta riprende

il suo infinito monologo.

Canta canzoni che nessuno

ricorda,

canticchia arcaiche ninnananne.

Il mare parla a se stesso

e a noi.

 

Zagajewski è un lirico prosaico che coglie la stranezza dei modi del mare, una presenza indefinibile e incessante. Vediamolo ancora a “Camogli”:

Vecchie case altissime sulla spiaggia

e un gatto sonnacchioso aspetta i pescatori

su reti bianche piegate:

un placido novembre a Camogli

pensionati prendono il sole sulle sdraio,

il pigro sole fa il suo giro

e i ciottoli rotolano lenti

sulla ghiaia della spiaggia,

ma esso, il mare, continua a venire verso riva,

onda dopo onda, come curioso

di vedere che ne è stato dei progetti dell’estate,

e del nostro sogno,

in cosa si è mutata la nostra giovinezza.

 

Lo sguardo del poeta è pacato come la giornata che coglie, c’è sempre un po’ di ironia e malinconia. E’ la poesia di questo inizio di millennio, dimessa ma efficace, comunicativa. Infatti Zagajewski è molto letto anche negli Stati Uniti, dove insegna una parte dell’anno. E’ tornato in Liguria in agosto e si è potuto godere delle belle nuotate: dalle poesie si poteva arguire la sua attrazione per il mare.

Un altro borsista della Fondazione Bogliasco, il neozelandese Karl (C.K.) Stead, uno dei più noti critici letterarari anglosassoni, ha descritto in una poesia anche il mondo allettante e infido che sta sotto la superficie:

Oggi l’acqua è così immobile e chiara,

che guardando sotto attraverso l’oblò della maschera

per un momento parve possibile cadere

giù per cinque o dieci metri di nulla cristallino

in cui i pesciolini neri dalla coda forcuta,

o argentei con sfumature azzurrine,

pendono come ‘mobiles’ nella stanza di un nipotino.

Chi sognerebbe che quest’elemento che ci circonda

potrebbe nuocere alla salute –

che questo giardino roccioso di comoda assenza di peso

e la sicurezza fatale della luce cangiante

potrebbe stringere un sacco sulla nostra anima boccheggiante?

Qui persino la valle dell’ombra della morte

ha indossato il manto della bellezza...

 

Ogni spettatore e artista rivela la cultura cui appartiene. Il polacco ha uno sguardo lieve, l’anglosassone ragiona con una certa preoccupazione, l’americano tende all’astrazione figurativa. Almeno così fa Robert Creeley (1926-2005), poeta fra i più stimati del secondo dopoguerra, amico minimalista dei vati della beat generation, che fu a Bogliasco nel 2003 e così registrò il paesaggio marino:

Il cupo cargo dal ponte basso con l’alto cassero arancione che vedevamo qui dalla finestra aperta tutti i giorni là davanti sul mare proverbiale è salpato, spostando il punto focale di quel blu a un’implacabile distanza che ora si estende fino a una linea d’ombra scancellata di cielo oltre tutti i sogni e luoghi del ricordo... Ora il suono impastato ricorrente del mare, il suo spezzarsi di bianche creste sugli scogli, forze insieme libere e a me sconosciute, non hanno altro compito che questo stanco ricorso, sogni ripetuti, insistenti, inutili.

(Genova per noi. Testimonianze di scittori contemporanei, Genova, Accademia Ligure di Scienze e Lettere, 2004).

Lo stile americano come si vede si allontana apparentemente di più dal linguaggio comune, compone un quadro che insieme descrive il paesaggio e il sentimento di stanchezza del poeta. L’americano si direbbe meno ottimista del polacco e meno realista del neozelandese. E scrive una poesia in prosa lavorando sulle parole come pennellate. Il cargo se n’è andato e così la vita. Infatti fu l’ultima visita di Creeley al Mediterraneo e alla Liguria che amava anche per il ricordo di Ezra Pound, uno dei maestri della sua generazione. Era un uomo alto, con un occhio semichiuso per un incidente giovanile, accompagnato da una vivace moglie australiana. Ci raccontò che era da poco uscita una sua biografia in America, il cui autore aveva dato molto credito ai racconti poco edificanti della prima  moglie, presentandolo come un grande egoista. Invece Creeley era un uomo sereno e buono, con decenni di lavoro poetico e ricerca all’attivo.

La poesia di Adam Zagajewski sul suo decollo sul mare di Sestri Ponente nel 2003 si può confrontare con un’altra poesia di partenza da Genova, fra le più celebri della letteratura americana del dopoguerra, “Salpando verso casa da Rapallo” di Robert Lowell, scritta cinquant’anni prima. Lowell fu fra i primi a scoprire una forma di poesia “confessionale”, basata sull’esperienza della psicoanalisi, e fece scalpore con il volume Studi dal vivo, dedicato in gran parte alla sua famiglia bostoniana e alle sue disavventure psichiatriche e matrimoniali, ma con uno stile denso e vistoso. Nel febbraio 1954 la madre di Lowell ebbe un ictus a Rapallo, dove era in visita presso una signora della bella società della Virginia, Katharine Lightner Raffalovich (aveva sposato un banchiere russo, e chi scrive ancora ne ricorda lo stile di vita). Robert, già poeta affermato a 37 anni, accorse dagli Stati Uniti ma non arrivò in tempo e dovette occuparsi delle formalità per riportare la defunta in patria, come racconta con dovizia di particolari Giuseppe Bacigalupo (1912-99), il medico che ricoverò la malata, nel libro Ieri a Rapallo (Pasiàn di Prato, Campanotto, 1993).

Da queste circostanze nacque la poesia sulla partenza dal porto di Genova, che porta il titolo fuorviante Sailing Home from Rapallo perché appunto la madre era morta nella cittadina rivierasca e Lowell aveva stretti rapporti con Ezra Pound, all’epoca ospite coatto di un ospedale psichiatrico di Washington; sicché il riferimento a Rapallo nel titolo è un richiamo a Pound in quanto genius loci della cittadina almeno per i poeti americani.

La poesia si apre con una descrizione della partenza della nave che ha dato qualche difficoltà ai traduttori:

La tua infermiera parlava solo italiano,

ma dopo venti minuti potei figurarmi la tua ultima settimana,

e le lacrime mi piovvero sulle guance...

 

Quando m’imbarcai dall’Italia con il cadavere di mia madre,

tutta la costa del Golfo di Genova

stava sbocciando in fiori di fuoco.

I pazzi fuoribordo gialli e azzurri

crepitanti come martelli pneumatici

attraverso la scia di spumante ribollente del nostro piroscafo

ricordavano i colori stridenti della mia Ford.

Mamma viaggiava in prima classe nella stiva...”

(Robert Lowell, Poesie 1940-1970, Milano, Guanda 2001).

 

Lowell inizia dialogando con la madre defunta, poi si rivolge al lettore registrando le sue impressioni di un febbraio particolarmente solare, un Mar Ligure infuocato di colori, che nel seguito contrasterà con la neve del cimitero americano destinazione del ferretro. E c’è lo strano particolare dei “fuoribordo” (“sea-sleds”, slitte marine, nell’originale) che accompagnano la nave mentre esce dal porto attraversandone la rotta. In una prosa in cui descrive la stessa scena Lowell dice che c’era solo un motoscafo di un “barone piemontese” che pazzamente volteggiava davanti alla prua della nave, così spiegando l’oscuro particolare. La sua poesia, che si rifà in parte a Eliot e ai poeti metafisici barocchi, si compiace di dettagli incongrui per arricchire il quadro di un dolore contrastato. Una piccola ricerca potrebbe rivelarci il nome della nave partita da Genova per New York intorno al 20 febbraio 1954 portando il nevrotico poeta con la madre defunta, situazione di cui gli piace sottolineare il carattere grandioso e grottesco. Il suo mondo è quello dell’ansia esistenziale del dopoguerra, dell’assurdo celebrato da Beckett, ed egli è un rappresentante dell’aristocrazia americana in un mondo sfuggente.

Il Dott. Bacigalupo che l’aveva accolto alla stazione di Rapallo scrive:

Vidi scendere un uomo alto con capelli biondi disordinati, e giustamente pensai che fosse lui. Ci presentammo e notai subito lo sguardo che sembrava guardare al di là della persona che gli stava di fronte.

L’ironia della sorte volle che la madre morisse proprio mentre Lowell arrivava, e quando i due uomini giunsero alla clinica “Villa Chiara”, racconta Bacigalupo,

mi riferirono che la signora aveva nuovamente perduto conoscenza. Corsi subito a vederla, ma non dava più segni di vita... Il figlio, che aveva seguito tutto il viavai con un certo disorientamento, accolse la notizia con distacco tutto anglosassone....

E’ curioso che questo retroscena paradossale e se si vuole simbolico non sia entrato nella poesia, dove invece ha trovato spazio il fuoribordo e l’incontro con l’infermiera della deceduta.

Ma torniamo al Mar Ligure e visto che siamo con Lowell a Rapallo ricordiamo una delle più ricercate e note descrizioni di una marina della prosa del secolo XX, all’inizio del racconto di Ernest Hemingway Gatto nella pioggia, ambientato proprio a Rapallo in un albergo davanti al mare. Hemingway e la moglie Hadley vi soggiornarono nel febbraio 1923, e Gatto nella pioggia descrive in poche pagine una giovane coppia americana tesa e annoiata nel corso di una vacanza solitaria e piovosa. Ecco ciò che la moglie vede dalla finestra:

La loro stanza era al primo piano e dava sul mare. Dava anche sui giardini pubblici e sul monumento ai caduti... Pioveva. La pioggia gocciolava dai palmizi. L’acqua stagnava nelle pozzanghere sulla ghiaia dei sentieri. Il mare si rompeva in una lunga riga sotto la pioggia e scivolava sul piano inclinato della spiaggia per tornare a rompersi di nuovo in una lunga riga sotto la pioggia...

(E. Hemingway, Tutti i racconti, Milano, Mondadori, 1990).

Questa è la Riviera degli anni d’oro, ma colta con uno sguardo diverso, in una giornata infelice: dopo tutto Hemingway è uno dei grandi modernisti che descrissero il disagio del primo dopoguerra, quello dei reduci che non si lasciavano abbagliare dall’Età del Jazz ma scorgevano la Terra desolata. Con maestria e semplicità di mezzi Hemingway evoca la monotonia di quel mare, ripetendo nella frase le parole come le onde pigre rifanno il loro corso. Si comprende come questa maniera possa portare alla descrizione analogamente malinconica e astratta composta da Robert Creeley ottant’anni dopo. In effetti durante il soggiorno di Creeley  Bogliasco andammo un giorno a pranzo proprio nell’albergo dove aveva soggiornato Hemigway e dove la protagonista della storia si era fissata sul gattino nella pioggia (come scoprirà chi andrà a rileggersi il fulmineo straordinario racconto).

Nel Golfo Tigullio ho visto ancora nuotare negli anni ’60 il vecchio tritone Ezra Pound, che quel mare ha così spesso cantato nei versi dei Cantos. Alcuni anni fa sulla spiaggia presso il Convento delle Clarisse si depositarono grandi mucchi di piccoli organismi vagamente simili alle meduse, formate da una pellicola semitrasparente, che nel sole estivo producevano un forte fetore. Poi li vidi dalla barca, galleggianti stranamente, con la lamina che fuoriusciva dall’acqua. Per questo, mi fu spiegato, sono chiamati “velelle”, cioè hanno come delle piccole vele che li sospingono. Allora compresi la chiusa di alcuni versi inediti del 1940 circa che avevo ritrovato nell’archivio di Pound:

Ma qui nel Tigullio

smeraldo sopra zaffiro

uccelli d’aprile nel silenzio

quando il fico ingrossa in due settimane

un lontano tac di bambù per battere giù le olive

e il nautilo portato a riva sotto la scogliera, banchina galleggiante,

sospinto come fiori di glicine

poi fetore nel sole.

(E. Pound, Canti postumi, Milano, Mondadori, 2002).

 

Pound registra semplicemente il mondo incantato degli eventi naturali, colori, suoni, odori. Per lui la Liguria è un Eden, specialmente in quel periodo di guerra quando tutto precipitava. Non per nulla in un brano su Brancusi Pound spiegò che a Parigi  il posto più rinfrancante era lo studio dell’amico scultore, “dove potevi immergere e lavarti a fondo la mente come puoi farlo nel Golfo Tigullio in una giornata di giugno su un pattino mentre il sole cade sulle vele latine”.

E’ lo stesso mare che fu caro a Byron, il leggendario nuotatore di Portovenere, che nel maggio 1823 trovò ancora fredda l’acqua di Albaro e si prese un raffreddore:

Ho cominciato i bagni l’altro giorno, ma il mare era ancora freddino, e tuffandomi per recuperare una lira genovese in acqua chiara ma profonda, me ne è entrata tanta dalle orecchie, che mi sono preso un’emicrania...  (Lady Blessington’s Conversations of Lord Byron, Princeton Univ. Press, 1969, p. 18)

Ed è lo stesso mare di Shelley, che lo amava e vi perì, facendo prova di quella ambiguità segnalata nella poesia di Stead. Il Don Juan, il veliero senza coperta su cui Shelley e i suoi due compagni affondarono poco fuori Viareggio l’8 luglio 1822, fu in seguito recuperato e continuò a navigare. Lady Blessington, che nella primavera del 1823 frequentò Byron a Genova, ricorda una scena notevole quando il poeta era venuta a trovarla nell’Hotel de Ville (nei pressi del Banco di San Giorgio):

Affacciandomi  dal balcone stamattina con Byron, osservai che il suo volto mutava espressione acquistando una profonda tristezza. Dopo alcuni momenti di silenzio mi indicò una barca ancorata alla destra, la stessa in cui il suo amico Shelley era naufragato. “Avreste dovuto conoscere Shelley”, disse Byron, “per sapere quanto lo rimpiango...”. (Conversations of Lord Byron, p. 52)

Poche settimane dopo anche Byron salpava da Genova alla volta della Grecia per un viaggio senza ritorno.

Così il Mar Ligure ha parlato attraverso molti poeti nel corso di due secoli, e ha parlato con le loro voci. Come dice Zagajewski,

Canta canzoni che nessuno

ricorda,

canticchia arcaiche ninnananne.

Il mare parla a se stesso

e a noi.

 Viaggio in Liguria - Rivista trimestrale della Fondazione regionale per la Cultura e lo Spettacolo”, aprile 2009