Di Heaney, nato nel 1940 presso Belfast e Premio Nobel per la letteratura nel 1995,  sono usciti in Italia molti volumi di poesia e saggistica, fra cui Attenzioni, Il governo della lingua e La riparazione della poesia (editi da Fazi e curati da Massimo Bacigalupo).

Massimo Bacigalupo

la Catena umana di Seamus Heaney

E’ appena uscito l’ultimo libro di poesie di Seamus Heaney, premio Nobel irlandese sui settant’anni, più di quanti ne aveva il suo maestro e connazionale Yeats quando venne a Rapallo. Si intitola Catena umana e conviene correre a comprarlo nella elegante confezione della collana Lo Specchio della  Mondadori (traduzione di Luca Guerneri, pp. 171, €15,00, con testo inglese a fronte). Potrebbe essere un modo di scoprire la poesia di un grande di oggi in un formato appetibile.

   La prima poesia si chiama Non fossi stato sveglio e racconta quella che sembra un’impressione notturna, con grande semplicità:

 

Non fossi stato sveglio l’avrei mancato,

un vento che s’alzò e mulinò sinché il tetto

mormorò di un crepitio di foglie di sicomòro

 

e mi fece alzare, io tutto un mormorio... 

 

     Sono momenti imprevisti come questi che ci fanno realizzare cosa significa essere vivi.

    L’ultima poesia, dedicata a una nipotina con un nome irlandese naturalmente, Un aquilone per Aibhín (Aibhin sarebbe il nostro Yvonne), è un rifacimento di L’aquilone di Pascoli:

 

Aria d’altra vita e tempo e luogo,

aria celestina, sostiene

un’ala bianca che batte alta contro la brezza....

 

    (Questa è la ritraduzione di Guarnieri dell’inglese:

 

Air from another life and time and place,

Pale blue heavenly air is supporting

A white wing beating high against the breeze…

 

    Pascoli aveva scritto, inimitabilmente:

 

un’aria d’altro luogo e d’altro mese

e d’altra vita: un’aria celestina

che regga molte bianche ali sospese...”)

    

     Questo rifacimento ha una storia. Qualche anno fa Heaney e io eravamo insieme a cena a Dublino da una comune amica, Mary Kelleher, bibliotecaria della Royal Dublin Society, grande amica dell’Italia, e abbiamo trascorso una serata piacevolmente irlandese, leggendo fra l’altro a turno brani del millenario poema Beowulf nell’originale anglosassone, nella versione inglese di Heaney e in quella italiana mia (edita da Fazi nel 2002). Quando poco dopo Mary è andata in pensione, i colleghi le hanno dedicato un volume con scritti di amici, fra cui Heaney e io. L’omaggio di Heaney consisteva in una versione molto bella di L’aquilone.

     Quando la lessi gli dissi che speravo l’avrebbe inclusa nella sua prossima raccolta, ma lui obiettò che esitava a mettere troppe traduzioni in un volume originale. Ed ecco però che proprio alla fine di Catena umana l’ha inserita, anche se in forma molto scorciata e cambiata, come regalo alla nipotina. Così le emozioni del nostro Pascoli più scolastico ma non dimenticato tornano a vivere in quello che è forse il maggiore poeta oggi attivo in lingua inglese (e Catena umana gli ha già valso l’importante premio dell’Irish Times – del resto a chi altro poteva andare?).

    Heaney è nato in una famiglia cattolica contadina dell’Ulster, cioè nell’Irlanda protestante, primo di una nidiata numerosa come quella di un altro predecessore, James Joyce, che però era di Dublino. I genitori ricorrono frequentemente, senza schermi, anche in Catena umana, che fin dal titolo lascia presumere un passaggio di generazioni, quattro per la precisione, da Patrick e Margaret Heaney alla bisnipotina Aidhin.

    Una delle prime poesie della raccolta si chiama Album e presenta proprio delle istantanee dei genitori come Heaney li immagina da fidanzati e sposi:

 

E’ inverno e sono andati al mare

per il pranzo nuziale. Io siedo al tavolo

non invitato, ineluttabile.

 

Stridio di gabbiani. Odore di pesce che cuoce.

Pesanti posate d’argento sonnecchianti. Silenzio a strisce. Lacrime.

La cameriera in pettorina scoperchia un piatto tintinnante...

 

    Non è una scena allegra, anche se i due sono legati da vero amore: “Gli anniversari di quel giorno / non li celebreranno mai / e nemmeno li nomineranno negli anni a venire...” E’ la vita di persone troppo occupate dalla fatica di sopravvivere. Questa come altre poesie di Catena umana è scritta in gruppi di tre versi, terzine non rimate ma pur sempre legate da assonanze e ritmi. Heaney a 70 anni è molto franco, ci fa entrare nel suo mondo con generosità e discrezione, così insegnandoci come riflettere sui nostri affetti, la nostra cultura, la nostra lingua. “Avessi dovuto abbracciarlo da qualche parte / sarebbe dovuto accadere sulla riva del fiume”, dice del padre.

    Fra altri episodi Heaney evoca un’emergenza recente, quando è stato vittima di un ictus e ha dovuto essere ricoverato: “Fissato con le fibbie, carrellato, sollevato, bloccato / in posizione per il trasporto...”. Non è che egli indulga al sentimentalismo autobiografico, ma ci mostra come l’esperienza personale diventa conoscenza. E’ per questo che consiglio di acquistare e  meditare queste pagine preziose.

     Dove si trova persino, verso la fine, un testo riflessivo su un amico scomparso (tema inevitabilmente ricorrente nell’opera di un settantenne, che qui invoca spesso non solo Dante ma anche la discesa agli Inferi di Enea):

 

La porta era aperta e la casa era buia

ecco perché chiamai il suo nome, benché sapessi

che la risposta questa volta sarebbe stata il silenzio...

 

    Ci vuole un grande poeta per essere così schietto e semplice.

    Non che a prima vista i versi di Heaney siano facili. Bisogna prendersi tempo per colloquiare con lui. Chi sa un po’ di inglese può scoprire che splendido lettore delle sue poesie egli è cercando su YouTube appunto “Heaney-Human Chain”. Lo sentirà leggere le poesie iniziali sui genitori e sul miracolo evangelico del paralitico, di cui dà una lettura originale: sono gli amici che sollevarono il letto per avvicinarlo a Gesù che meritano attenzione ancor più del miracolato. Abbiamo tutti dei debiti.   

     Così Heaney passa dalla sua vita a quella dei conoscenti, al mondo dei poeti e delle letture (quella copia dell’Eneide comprata da ginnasiale in una libreria di Belfast) al testo sacro. Il poeta, lo diceva già Yeats, svolge una funzione sacerdotale giacché parla di (e ricorda, e commenta) cose sacre. E quotidiane.

    Qualche anno fa Heaney ha ricevuto il Premio LericiPea per l’Opera Poetica, e in quell’occasione si è fermato anche a Rapallo per vedere la casa abitata da Yeats con la sua eloquente lapide (presso il Ponte d’Annibale) e fare un salto a S. Ambrogio a godersi la vista sul Tigullio dalla casa di Olga Rudge ed Ezra Pound, che di Yeats fu bizzoso discepolo. A S. Ambrogio siamo stati accolti dalla gentile padrona di casa, Raffaella Graziani, e da una vicina con i suoi ricordi del “poeta”. Era bello ritrovarsi in quei luoghi cari alle Muse con un altro eloquente esponente del ruolo della poesia, anche e soprattutto nel nostro tempo.

    Apro Catena umana e leggo:

 

Cosa c’era di meglio allora

 

che schiacciare una foglia o un’erba

tra i palmi delle mani

 

e poi sventolarla lentamente, rasserenante,

davanti al naso e alla bocca / e respirare?

 

      Ecco, i poeti ci insegnano a... respirare. 

 “il Mare”, 2011