Massimo Bacigalupo

Jorie Graham, prospettive americane sul flusso

 Jorie Graham è la figlia della nota e brava scultrice americana Beverly Pepper, da sempre attiva in Italia e residente a Todi. Graham si è affermata ancora giovane con la sua personalità e il suo aspetto di figlia dei fiori, divisa fra l’Italia dove è cresciuta e ai cui pittori (Piero, Masaccio, Signorelli) dedica molte poesie, la Francia dove ha studiato e si è formata intellettualmente alla scuola dei maîtres à penser parigini, e gli Stati Uniti dove ha insegnato prima nel workshop dell’Università di Iowa, poi dal 1999 a Harvard. Ha avuto, se conto bene, tre matrimoni e una figlia. Le sue poesie, spesso di misura ampia, hanno un andamento riflessivo-meditativo: partono da oggetti naturali (o opere d’arte) o qualche episodio quotidiano per una serie di divagazione astratte non prive di angoscia. “A Roma, al 26 / di Piazza di Spagna, / ai piedi d’una lunga scalinata, / ci sono le stanze / affittate a Keats // nel 1820, / dove morì. Puoi / visitarle ora, / il terrazzino, / la camera da letto. I pezzi  / di carta // su cui scriveva / versi / conservati sotto vetro, / alcuni ingialliti, altri fotocopiati o / ciclostilati... // Fuori dalla finestra / senti lo scirocco / smuovere / l’invisibile...” (Scirocco).

     Rientra in una certa tradizione americana (Pound, Lowell) la tendenza a scrivere poesia su fatti culturali, poesia sulla poesia. Nulla potrebbe essere più diverso da un John Ashbery: “Peccato che io di lui abbia questa idea / basata su qualcun altro, di nome Matt / (altro nome non pasticciato), che mi era antipatico / per nessun’altra ragione se non che una volta pensavo / non mi apprezzasse, cosa che poi non credevo davvero. (Boh!)” (Idea di Steve, London Review of Books, 27-8-09).

    In Ashbery non c’è nessun oggetto culturale, solo l’interferenza di lingua e pensiero. In Scirocco la frase “lo scirocco smuove l’invisibile” rappresenta l’evidente salto poetico che si inserisce nel discorso da guida turistica. Il rischio è  appunto che suoni “poetico”, come non avviene con le considerazioni stralunate di Idea di Steve.

     Graham ha utilizzato stili molto diversi nelle otto pluripremiate raccolte antologizzate da Antonella Francini in collaborazione con l’autrice in L’angelo della piccola utopia. Poesie scelte 1983-2005 (Luca Sossella editore, Roma 2008, pp. 284, € 15,00). I titoli sono un buon indice dei temi ricorrenti: Erosione, Fine della bellezza, Terra della differenza, Materialismo, L’erranza, Mai, Overlord... Si va da parole indicative di problematiche esistenziali a una maggiore, forse, attenzione al contesto storico (“Operation Overlord” era il nome in codice dello sbarco in Normandia).

    Nel libro di grande formato che l’editore Sossella ha generosamente offerto alla poetessa americana-italo-francese (nonché di origine ebraica), i testi di Graham possono dispiegarsi nelle loro ricerche formali. Presto Graham comincia a usare versi lunghi, a volte separandoli in brevi stanze numerate, o stampandoli spaziati, cioè con una riga bianca fra ogni verso. Anche questo suo sperimentalismo accentuato rimanda alla “poesia di flusso” modernista che negli USA ha maggiore fortuna che altrove. Si sa che esiste il movimento dei “L=A=N=G=U=A=G=E Poets”, e le antologie di poesia americana divise per città edite da Luigi Ballerini e Paul Vangelisti negli Oscar Mondadori ospitano quasi esclusivamente questa poesia sperimentale. (E’ recente – 2009 – la pubblicazione del volume dedicato a New York, di ben XXXII+975 pagine. Chissà chi le leggerà.)

    Però Graham, a differenza della maggior parte dei poeti raccolti da Ballerini, appartiene al mondo della poesia ufficiale, i cui protagonisti scrivono di solito in maniera relativamente tradizionale. E’ infatti ospitata con Mark Strand, Charles Wright, Charles Simic, Louise Glück, Robert Pinsky e altri “laureati” dell’establishment editoriale newyorchese nell’ottima antologia West of Your Cities di Mark Strand e Damiano Abeni (Minimum Fax, 2003).

    Una poesia divisa in 33 sezioni  numerate è Autoritratto come il gesto fra loro (Adamo ed Eva): “1. Il gesto come un frutto strappato da un ramo, strappato velocemente. / 2. Si piega tutto il ramo poi scatta all’indietro come per un’improvvisa visione./ 3. Lo strappo nella trama dove incomincia l’azione, l’apertura del varco stretto...11. Intanto le sommità delle cose erano vere. Intanto la distanza dei / campi era vera. Intanto lo strofinio della luce sulle loro schiene / mente camminavano per i campi nominando le cose, vero, / il tocco della luce lungo il dorso dei loro corpi...”

    Graham affronta addirittura il mito del Genesi, come altrove le vicende di Dafne, o Orfeo e Euridice. Dafne consta di 70 versi staccati (dunque 140 righe – ci sarà immagino un significato numerologico). Comincia: “Prendi    una carta. // Sbagliato di nuovo. // Interrompi     fede.// Scrivi    speranza. // Muovi le labbra nel sonno. // Amplia. // Traduci. // Sii   di meno. // Sii trovata. / Sii     imbavagliata...” Qui l’interpretazione è abbastanza aleatoria, ma il titolo fornisce una guida e non dovremmo essere lontani da un’area generalmente femminista. (Molto utile e lucida la prefazione di Antonella Francini.)

    Un elemento che mi pare non sia stato sottolineato abbastanza è il carattere retorico e fatico, poundiano-whitmaniano, dell’eloquio di Graham, che in fondo tiene sempre delle orazioni e suole ripetere le parole con funzione emotiva. Parla rapidamente, tende ad accavallare impressioni su impressioni per creare un effetto di saturazione. Aveva 18 anni nel 1968.

(Poesia”, novembre 2009)