Massimo Bacigalupo
Nico
Garrone o la felicità
Il 21 febbraio 2009 è morto a Roma Nico Garrone, nato nel 1940 e fulminato da un tumore ai polomoni. Il 31 gennaio aveva ancora presentato un dibattito sul teatro danza. Alla cerimonia funebre a Santa Maria del Popolo c’era tutta la Roma (e in spirito tutta l’Italia) del teatro di ricerca degli ultimi quarant’anni – tanti in cui Garrone aveva vigilato sulle sorti delle compagnie off scrivendone prima su “Paese Sera”, poi su “Repubblica”, muovendosi instancabilmente in patria e all’estero alla ricerca di nuove idee e invenzioni, soprattutto di talento e qualità. A Genova era diventato un amico del Teatro della Tosse, che incontrava il suo gusto per il carattere improvvisato e amichevole della gestione, per il l’allegro genius loci di Luzzati.
Infatti Nico Garrone era essenzialmente caratterizzato dalla felicità. Una felicità pacata, non ridanciana o chiassosa, ma miracolosamente disponibile e ben ambientata nella realtà pur travagliata dell’ultimo mezzo secolo. Se ne è andato come è vissuto, con leggerezza, ha detto la sua amica regista Maria Bosio. Non ha avuto la (s)fortuna di invecchiare,
Garrone amava i geni bizzarri, da Raymond Roussel (su cui scrisse una sceneggiatura per Memè Perlini) al dandy Max Beerbohm. Scherzavamo molto sul fatto che una volta, ospite a casa mia, aveva dormito in un letto con baldacchino che si favoleggia appartenuto all’“incomparabile” Max, e sull’effetto che quelle notti avevano avuto sulle sue relazioni di coppia. Intollerante senza faziosità degli spocchiosi, andava sempre rapido per la sua strada. E tutto intorno a lui sembrava funzionare come non ho mai visto intorno a nessun’altra persona. C’era sempre uno spettacolo da vedere cogliendolo all’ultimo momento, degli amici pieni di vita da invitare a cena a casa, dove si poteva parlare con gusto, sempre cogliendo i lati comici, senza asperità. Valentino Zeichen, Stefano Malatesta erano fra gli ospiti abituali. Nel grande appartamento dei Parioli c’erano quadri importanti (Novelli, Adami, Angeli), due deliziosi disegni di Montale (una scena di convegno con annoiatissimi partecipanti, fili di microfoni, e l’oratore di turno che annuncia “sarò breve”), freschi schizzi di grembi femminili di Schifano dedicati “A Nico”, certo allusivi ai suoi tanti amori, che pure gli valsero molte amicizie vere. Immaginando il suo capezzale negli ultimi giorni di vita m’è venuto in mente il film di Bergman A proposito di tutte queste signore, dove molte compagne di vita si alternano presso il Maestro morente.
Sulla scena Garrone amava i fenomeni spontanei, come il Teatro Povero di Monticchiello, o le ricerche di Marco Baliani che coinvolge i ragazzini delle casbe in spettacoli memorabili. L’arte naif, tutto ciò che non si prende sul serio. Era interessato alla tradizione della comicità popolare toscana da cui provengono Benigni e Chiti, e su di essa ha curato un libro, e portava contastorie al raffinato festival teatrale di Radicondoli che dirigeva. Realizzava speciali per la Rai (“Prima della prima”), e un suo video sul calciatore Totti andò a ruba in edicola.
Scoprì per tempo la videocamera digitale e con essa documentò spettacoli e mostre, in reportage sempre freschi, perché Garrone avava una capacità straordinaria di mettere a loro agio le persone, renderle capaci di parlare e ascoltare. Fra 2006 e 2007 curò anche un foglio romano dal titolo “Off. Quotidiano di Spettacolo”, che faceva la cronaca di tutto quello che succedeva sulla scena. Mi chiese un pezzo su Auden teatrale per il centenario della nascita (vedi http://digilander.libero.it/biblioego/Auden100.htm): lo scrissi a casa sua e Nico si compiacque della rapidità con cui fu pronto. Poi andammo nel vicino eccentrico Spazio Archimede gestito dalla moglie Donatella per spedirlo in tipografia.
Alcune immagini realizzate da Garrone si possono scaricare da YouTube: un “Video Opera Rom” girato nei Balcani, uno speciale sul museo all’aperto di Fiumara di Tusa... Danno un’idea del suo interesse per ciò che è fuori dal giro ma vitale: un sindaco del Salento che apre all’arte contemporanea, gli spettacoli dei campi nomadi... Il tutto visto nella sua ricchezza di fenomeno, con rapidità che non toglie profondità e partecipazione.
Garrone non ha raccolto le sue innumerevoli recensioni, sicché ha lasciato poco di scritto. La parola era per lui qualcosa di agito, un fare continuo eppure calmo, giacché i suoi tempi di svago sembravano lunghi. Poi si metteva una fascia alle tempie, e via a correre per Villa Borghese. La sua serenità si è trasmessa al figlio Matteo, candido narratore di storie trucide, che in un film bello e poco noto, Estate romana, rende omaggio al mondo paterno dei teatrini raccontando di un’attrice in declino che torna sui luoghi dell’avanguardia e vive male e sola...
Sicché a Santa Maria del Popolo nel febbraio 2009 Roma ha pianto e festeggiato colui che forse ha meglio rappresentato in questi anni una pacata vitalità, una felicità che non pensavamo più possibile. Salutiamo l’eterno ragazzo Garrone, come si conviene, con una misteriosa e azzeccata citazione da Shakespere: “I suoi piaceri erano come delfini: mostravano la sua schiena sopra l’elemento in cui vivevano”.