Massimo Bacigalupo

Guido Fink nel segno di Proteo

Per festeggiare gli ottant’anni di Guido Fink (nato a Ferrara nel 1935), amici e allievi hanno raccolto venticinque suoi articoli in un volume fra i più ghiotti per gli appassionati della cultura soprattutto americana del ’900: Nel segno di Proteo. Da Shakespeare a Bassani, nota di Roberto Barbolini (Guaraldi, Rimini 2015, pp. 414). Fink è autore di libri e libretti importanti su cinema e letteratura (Lubitsch, Woody Allen, William Wyler, Stevenson, i “testimoni dell’immaginario” Irving, Hawthorne, Poe, Melville...) ed è stato, oltre che rimpianto professore di letteratura angloamericana a Bologna e Firenze, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles, vicino al cuore del cinema da lui seguito fin da ragazzo con la sua eccezionale onnivora intelligenza. Ma Nel segno di Proteo è dedicato quasi esclusivamente ai suoi saggi letterari, che sono fra i più acuti, propositivi e documentati del dopoguerra (i più vecchi, ma non invecchiati, su Edmund Wilson, William Styron e Bernard Malamud, sono del 1968).

Fa eccezione il memorabile articolo “Le tre Notti del 1943”, che riunisce il racconto di Bassani, il bel film di Vancini e i ricordi personali di Fink proprio di quella Notte e quell’eccidio: una delle poche concessioni all’autobiografia, posta giustamente in fondo al corposo e indispensabile volume insieme alla prefazione (del 1969!) alle Storie ferraresi di Bassani e a ricordi, toccanti ma sempre innervati dall’umorismo, della scuola e dell’indimenticabile cimitero ebraico di Ferrara, dove lo zio Giacomino passava quotidianamente per “prenderci l’abitudine... tanto prima o poi ci si doveva finire”. Lo dicevano, aggiunge Fink in uno dei suoi rapidi affondi, anche “quei parenti più anziani che purtroppo per loro non ci sarebbero finiti affatto”. Perché  deportati.

Ma Nel segno di Proteo offre soprattutto contributi decisivi di uno dei lettori e studiosi più acuti che abbiamo avuto sugli autori che ha perlustrato negli anni, da Shakespeare appunto (delle cui “misletture” e “proliferazioni” dicono i saggi d’apertura), a Mark Twain “in fondo al pozzo” (un saggio fondamentale di oltre trenta pagine su un autore difficile da cogliere nella diseguale grandezza e nell’immensa bibliografia critica).

Pagine altrettanto istruttive sono dedicate a quell’opposto di Mark Twain che fu Henry James con i suoi “bambini terribili”: Maisie, Miles e Flora, lo “scolaro” Morgan Moreen – ma anche novelle che si direbbe solo Fink ha letto come la giovanile “Master Eustace”: “Mai James ha fissato con altrettanta economia e icasticità la terribile legge di mercato – di sentimenti di arte di denaro di vita – che domina tutti i suoi personaggi, fino a The Sacred Fount, fino a The Wings of the Dove”. Altro che James sublime snob! Fink ci parla della “corresponsabilità dell’osservatore”, che poi è anche il tema del jamesiano Bassani in “Una notte del ’43” (e della hitchcockiana Finestra sul cortile).

Fink sembra non essersi occupato degli scrittori canonici tipo Americana e Pivano (Hemingway, Faulkner, Anderson), anche se in James scopre Fitzgerald. Il suo spirito, arguto nella perfetta serietà, ama invece – sulla scorta del suo maestro Carlo Izzo – le eccentricità di Carroll, i nonsense di Lear e la demenzialità di Wodehouse; investiga persino il Maugham “malese”, attento a cogliere le indicazioni della letteratura di consumo oltre alle squisitezze apocalittiche dei grandi. Per lo studente e lo specialista le sue succinte bibliografie forniscono spunti inesauribili, ma è per il lettore che vuole (ri)scoprire grandi e piccoli testi con un critico impareggiabile che Nel segno di Proteo svolge una funzione di straordinario messaggio sul senso del leggere, dello scrivere, della stessa impresa letteraria e umana.

 “il manifesto-alias domenica”, 17 aprile 2014