Massino Bacigalupo
Elena Vivante, interni di una villa senese
Elena De Bosis Vivante (Roma 1905-Siena 1963) è stato un
personaggio magnetico della storia culturale italiana degli anni intorno
all’ultima guerra. Figlia del dannunziano Adolfo De Bosis, sorella dello
shelleyano Lauro perito nel 1931 in un gesto simbolico di protesta contro la
dittatura, visse nella campagna senese accanto a un marito pensatore, Leone
Vivante, e fu fulcro luminoso di un gruppo internazionale di letterari e
pittori, da Herbert Read a Shirley Hazzard, da De Pisis a Montale (che la
celebra nelle sue tarde poesie) a Sbarbaro. Proprio Sbarbaro le fu legato da
una corrispondenza intima di spiriti acuti e innamorati degli aspetti del mondo
ma anche vigili sulle proprie e altrui debolezze. Sbarbaro, che non si sposò
mai, trovò a Siena un ambiente familiare che lo sollevava dall’aridità della
vita del letterato, traduttore e lichenologo. A Solaia, questo il nome della mitica
villa senese, tutto fioriva, i colori erano incantevoli, la conversazione
rilassata e animata dal vinello aspro del luogo. Si conobbero verso il 1935, e
fu un’amicizia profonda, senza sensualità, ma non per questo meno intensa. In
seguito alle leggi razziali, i Vivante (Leone era ebreo, figlio di un padre
giurista famoso e fascistissimo) si rifugiarono in Inghilterra, ed Elena fece
di tutto, dai lavori domestici alle corrispondenze per la BBC, salvo rientrare
nell’Italia tanto rimpianta passata la buriana, non ritrovandovi però
l’ambiente e il fuoco degli anni giovanili. Ed Elena si spense precocemente,
lasciando un buon numero di tele (dipingeva e affrescava), lasciando
soprattutto le lettere a Sbarbaro.
Il quale,
gravemente colpito dalla perdita di quella che era stata il sole della sua
vita, volle farla ancora parlare scegliendo dalle lettere (che pare Elena non
datasse) brani di descrizione e osservazioni di luoghi paesaggi e persone. Sbarbaro
naturalmente era un maestro del frammento in prosa, che a quel tempo
raccoglieva, dopo Trucioli, in vari volumetti.
Nelle lettere nitide e concise ma vibranti di Elena trovò già pronti dei
frammenti perfetti e spontanei, da grande pittrice di parole. Ed entro l’anno
della morte di lei, il 1963, pubblicò, complice Vanni Scheiwiller, il frutto
del suo lavoro amoroso: Autoritratto
(involontario) di Elena De Bosis Vivante da sue lettere. Oggi, a
cinquant’anni dalla prima edizione e dalla scomparsa di Elena, ne esce un’ottima
edizione annotata e arricchita, a cura di Riccardo Donati (Fondazione Devoto,
pp. 211, €22,00).
Elena potrebbe
essere definita una Dickinson italiana, tale è l’intensità delle sue
impressioni e comunicazioni (“Questa è la mia lettera al mondo / che a me non
scrisse mai”). L’Autoritratto si
legge con meraviglia, se abbiamo occhi e orecchie per seguirne il rapido
percorso. “...bello cenare in giardino, tutto pare buono e una benedizione che
ci sia. Arriva il profumo di quel gelsomino bianco rampicante e c’è la luna
crescente e le lucciole verdoline... Che annata di cicale! assordano
addirittura...” Oppure: “... da una bella osteriola (a sfondo del cortiletto
celeste con pergola, incannucciata gentilissima che pare un lavorino del tempo
di Giotto – o meglio un delizioso de Pisis...), stupenda visione delle Alpi
Apuane, fantastiche e incorporee nella luce della sera”.
L’altro lato
della medaglia è l’incompatibilità occasionale con ospiti o familiari:
“Bruttarello, sentirsi tanto sollevati dalla partenza di persone care... ma
anche il rimorso di non fargli migliore compagnia, di non poter quasi parlare
certi giorni (come chi ha male istintivamente si muove in modo da non farlo
dolere)”. Ed ecco la pittrice: “Che giornata! non c’era stecco che non paresse
un gioiello, e oggi, tutto il mondo una
festa – e che crepuscolo e che notte di diamante, ora! Sono stata sempre fuori,
la mattina sopra un greppo della via maestra, a dipingere. Vedevo meraviglie e
se pure non ne saprò uscire, quelle le ho viste!”.
Poi ci sono i
letterati, a volte maltrattati, o gustati per la loro autenticità (Ungaretti). L’Autoritratto è anche una galleria di
quegli anni ricchi e dolenti per la nostra cultura, come rivela anche
l’antologia delle recensioni che nel 1963 accolsero la prima edizione inserita
opportunamente da Donati: Bertolucci, Betocchi, Montale, Prezzolini... Cioè c’è
molto materiale per lo storico e il lettore avvertito. Ma è soprattutto la
storia minima di un’esistenza lucidissima, appassionata, senza indulgenze per
sé o altri, a far dell’Autoritratto (involontario) di Elena una lettura
indimenticabile.
“Il manifesto-Alias” 4 luglio
2014