Massimo Bacigalupo
Francesca Duranti e i tormenti della giovane Giulietta
“C’è una causa in natura che produce questi cuori duri?” chiede Re Lear
quando intenta un grottesco processo alle sadiche figlie. Potrebbe essere
l’epigrafe dell’ultimo conciso romanzo di Francesca Duranti, Un’estate senza
canzoni (Marsilio, pp. 109, €15,00). Fin dalla bella copertina di Cari Ann
Wyman, la storia ci porta nel mondo di una Giovane Holden italiana, la
quindicenne Giulietta, abbandonata a se stessa a Milano nell’estate 2001 mentre
i genitori separati sono in vacanza con i nuovi compagni in luoghi esotici.
Giulietta ci racconta la vicenda dei suoi trasferimenti obbligati dalla natia e
protettiva Lucca in ambienti estranei ed esclusivi, come quello di un liceo di
Milano, e dei metodi che mette in atto per trovare compagnia, farsi accettare.
Il più semplice è andare a letto con un ragazzo, anche se la cosa non le
provoca particolare piacere, anzi. Così si ha un biglietto di ingresso nel
branco.
Poi questo rapporto si sfalda
e Giulietta per un po’ si incontra anche con un uomo maturo, mentre si
interroga sulle sue reazioni e assenza di reazioni in campo sessuale. S’è fatta
una cultura dai film porno che d’ogni tanto vede sui canali satellitari. Ma si
racconta insieme con franchezza e discrezione, ad occhi asciutti. In questo è
simile alla sua autrice, Francesca Duranti, che ha una certa genovese sbrigatività
e laconicità in tutti i suoi libri. Lascia che le cose parlino, e non sta a
infiorettarle o a “scrivere”.
“L’ho incontrato in tram, in
un pomeriggio di tempo schifoso, come ce ne sono tanti da queste parti. Era
vecchio, avrà avuto quaranta o cinquant’anni, ma si vedeva che era uno che
sapeva stare al mondo. Eravamo nella seconda carrozza di uno di quei tram
doppi, in un’ora morta. Non c’era nessuno, con noi, solo il manovratore, un
paio di chilometri avanti. ‘Dove vai?’
mi ha chiesto. ‘A casa mia’ ho risposto. Si è seduto vicino a me e ha
cominciato a toccarmi fino a quando non
è salita una signora con due sacchetti di plastica della Rinascente. Andrea ha
tolto le mani da sotto il mio golfino e si è ricomposto. ‘Perché non vieni
invece a casa mia. Ti faccio il
ritratto’ ha detto sottovoce”.
In un romanzo convenzionale
questa situazione potrebbe condurre a uno sviluppo hard o horror. L’erotismo
(se così vogliamo chiamarlo) e il senso di minaccia di Un’estate senza
canzoni sta invece nel fatto che non succeda nulla del genere. E’ solo la
normalità della (insoddisfacente) relazione con Andrea a colpire la nostra
fantasia, e il tono distaccato con cui Giulietta ce la racconta come se non vi
fosse nulla di strano. Guarda e impara e non c’è molto da dire. Giulietta e
Duranti sembrano praticare quel motto che un nostro amico scrisse una volta nel
libro degli ospiti: “The less said anytime, anywhere, the better”.
Nel presente del 2001 la
solitudine di Giulietta si incontra con quella di Schiva, la compagna di liceo
ostracizzata perché “grassa”, per quanto viva in un appartamento lussuoso e
abbia un cane e una domestica extracomunitaria (l’unica figura materna del
libro). I cani nei libri di Francesca Duranti portano sempre buone notizie ai
cuori duri degli uomini, anche se qui il rasserenamento dura poco. Fra tanti libri in cui entra l’11 settembre
e viene letto in rapporto alle nostre estati di adolescenti e adulti, questo
racconto molto piano della Duranti si segnala per acutezza e dignità. L’immagine
degli aerei che si infilano nelle torri è un’enormità ma la domanda di Re Lear
vale per essa come per il piccolo mondo di esclusioni e indifferenza di cui è
testimone Giulietta.
“il Secolo XIX”, 12 ottobre 2009