Massimo Bacigalupo

Luciano Del Grande, la rivoluzione dellartista barbiere

Nel 2007 ha chiuso per sempre a Genova un museo d’arte spontanea insostituibile. Luciano Del Grande e il fratello Ernesto gestivano un negozio di barbiere a Caricamento, in Vico Morchi. Luciano, un tempo studente ribelle dell’Accademia Ligustica, è autore di dipinti e sculture composte con materiali di trovarobato: maniglie, campanelli, bielle, decorazioni, pezzi di macchinari, pendoli, razzetti. Raffigurano con tecnica allusiva e surrealista cavalieri dell’apocalisse e vittime anonime di torture politiche ed ecclesiali. Alcune hanno argomenti di fantasia, clown e ballerinette, ma Luciano Del Grande ha un forte impegno ideologico di fondo. La barberia, oltre alle sculture e alle scaffalature fatte a mano e colorate in stile anni ’60, era decorata da affreschi in cui si riconoscevano visi di uomini politici, Agnelli o Andreotti nella testa di un avvoltoio... Un’altra curiosità erano i calendari appesi nel negozio, con le facce di Fidel e del Che. Il tutto creava un insieme di rara armonia, una vera e propria installazione, un avamposto della rivoluzione mondiale presidiato da due anziani combattenti non scalfiti dai decenni trascorsi da quegli anni di fuoco. Vi si poteva trovare ciò che spesso manca nelle installazioni dei musei d’arte moderna, l’integrazione fra arte e vita quotidiana. Luciano Del Grande forniva brevi spiegazioni sulle opere, aggiungeva che non gli interessava esporre, su richiesta accompagnava nell’attigua torre che dà su Caricamento dove i vari piani esponevano altre sue opere polverose, gioiose e provocatorie.

     Io ci andavo a sentire la conversazione con i clienti e le risposte del barbiere-scultore. Se qualcuno gli diceva, guardando il calendario, “Povero Che!”, Luciano rispondeva “Poveri noi senza lui”. C’era anche in bella mostra il libro di Robert Conquest su Stalin, che denuncia le mostruosità dell’ex-seminarista. Perché tenere in negozio un libro antistalinista? Luciano spiega che non importa il contenuto, ciò che conta è la copertina con la faccia di Baffone. C’era dunque una componente umoristica nei nostri incontri. Qualche volta gli portavo dei visitatori americani che inevitabilmente lo invitavano a venirli a trovare... in Florida. Luciano Del Grande li guardava perplesso.

     A febbraio 2007 è morto il fratello maggiore Ernesto, ottantenne, e Luciano ha deciso di chiudere il negozio. Gli affreschi scompariranno, la torre è stata resa al proprietario, non è più un museo privato, la piazzetta Morchi è abbandonta al degrado, con le lastre divelte dai tossici per cercarvi la razione. Fidel, il Che e Stalin hanno forse battuto in ritirata davanti alla società dei consumi e alle sue vittime più disperate? Luciano afferma che è stata una liberazione. Non era quello il suo mestiere, l’aveva ereditato dal padre per cui originalmente realizzò gli infissi. Adesso può finalmente dedicarsi a tempo pieno a rivedere e sistemare le sue opere, può “tornare alle origini, alla povertà assoluta”. La Torre di Via de’ Morchi, già residenza di Mark Twain, Henry James e tanti altri quando era l’Hotel Croce di Malta, continua a proiettare un fascio di creatività sui vicoli sottostanti. E’ un episodio della storia dell’arte figurativa a Genova che merita di essere ricordato.

“Il Secolo XIX”, 5 giugno2007