Massimo Bacigalupo

Billy Collins. Raffinato per tutti i gusti

Billy Collins, americano di origine irlandese, è un poeta popolarissimo negli Stati Uniti, con 250.000 copie vendute della sua antologia del 2001, A vela in solitaria intorno alla stanza, che ora arriva in Italia per la cura di Franco Nasi (Fazi, pp. 356, € 19,00). Sono 86 poesie compatte, semplici, affilate, soprattutto divertenti. Veleggiano appunto intorno a un comune interno suburbano, con intorno un po’ di campagna, e il viaggio si compie “in solitaria”, perché in effetti la poesia si legge e si fa da soli. D’altra parte essa si presta alla lettura ad alta voce, e Collins dà spesso affollati reading: se ne possono vedere alcuni in rete, dove proietta anche delle animazioni delle sue poesie. Che hanno una componente surreale in quanto il quotidiano attraverso gli occhi poetici diventa strano, tutto da scoprire. Sicché chi acquisterà A vela in solitaria intorno alla stanza troverà testi quasi infallibilmente efficaci da leggere ad alta voce a un amico mentre si prende il caffè. Come un sonetto del Belli, diciamo, ma con una visione meno sofferta, una equanimità americana. E poi la lingua si raccomanda per l’assoluta perspicuità, il lessico piano, il che è una vecchia costante americana, anche dei poeti che passano per difficili. Gli americani, fin dal ’700, si sono fatti vanto della chiarezza e uniformità del loro inglese, invitando invano i britannici a imitarli.

Ecco un esempio del quieto veleggiare di Collins, la poesia Centro:

 

Al primo spiraglio dell’alba

le finestre su un lato della casa

sono raggelate da una cruda luce arancione,

 

e in ogni finestra azzurra

sull’altro lato

una luna piena si libra, una fiamma bianca, rotonda.

 

Guardo fuori da un lato, poi dall’altro,

spostandomi di stanza in stanza

come tra nazioni o parti della mia vita.

 

Poi mi fermo e rimango in piedi nel mezzo,

apro entrambe le braccia

come l’uomo di Leonardo, nudo in un cerchio perfetto.

 

E quando inizio a girare lentamente

sento l’intera casa girare con me,

e ruotare staccata da terra.

 

Il sole e la luna in ogni finestra

si muovono anche, insieme alla punta delle mie dita,

mentre il sistema solare ruota per gradi

 

assieme a me, egomaniaco del mattino,

che ruoto sulla moquette dell’ingresso in pantofole,

e porto l’arancione, blu e bianco freddi

 

a fare un giro calmo e tranquillo,

tutto ruota e compasso, perno e bobina,

sveglio quanto sarò mai.

 

L’uomo solitario porta il mondo con sé, lo porta “a fare un giro calmo e tranquillo”, che forse è proprio il progetto poetico di Collins, in cui non c’è nulla di concitato, ma con sicurezza il mondo si stacca e fa un giro inaspettato a beneficio del lettore. E alla fine è posta la condizione d’animo a cui tutto ciò conduce: “sveglio quanto sarò mai” (as wide awake as I will ever be), al grado massimo del mio essere sveglio, e come mi auguro (ci auguriamo) di essere tante altre volte. Anche grazie a testi come questo.

La funzione estetica sta infatti nel destarci dall’incoscienza e l’assuefazione e farci vedere insieme da fuori e dentro la nostra condizione. Davanti alle acrobazie espressive di un Proust, di un Joyce, di uno Schubert o, si licet, di un Billy Collins, respiriamo più profondamente. Toh, abbiamo capito qualcosa. La giornata è cambiata. Siamo per un attimo svegli. E grati ai compagni di viaggio che ci hanno aperto la strada.

Center è una poesia piuttosto seria, al livello di una normale conversazione. Allude a un disegno di Leonardo che tutti conoscono. Collins, accusato dai superciliosi di essere un poeta vernacolare buono per le masse che tradisce la missione salvifica della poesia, in realtà si rivolge a un pubblico di media cultura come siamo tutti  fuori dal nostro campo di specializzazione, e le sue pagine sono costellate di riferimenti impliciti o espliciti a Petrarca, Thoreau, Wordsworth, Dickinson, Nabokov, Frost, Plath. Credo faccia bene l’attento curatore Franco Nasi (autore di una postfazione assai illuminante) a non fornire note. Non ci dice che Ballando verso Betlemme allude alla celebre chiusa di The Second Coming (Il secondo Avvento) di Yeats: “E quale belva... striscia verso Betlemme per nascervi?”.

Yeats annunciava la fine di un ciclo universale, Collins parla della fine del millennio e naturalmente prende tutto per un verso molto più soft:

 

Se ci fosse solo il tempo nei minuti

finali del ventesimo secolo per un ultimo ballo

vorrei ballarlo lentamente con te,

 

diciamo, nel salone di un hotel sul mare.

..........................................................................

Non ci sarà tempo per ordinare un altro drink

o preoccuparsi di ciò che non è stato mai detto,

 

non con l’orchestra che scivola in mare

e noi concentrati a canticchiare a bocca chiusa

quel motivo qualunque che stavano suonando.

 

Di nuovo un’esperienza di totale ma lieve concentrazione.

 

Collins è un cultore del jazz e del buon pop. “Senza alcun particolare motivo questo pomeriggio / ascolto Johnny Hartman / la cui voce scura sa avvolgere / i concetti di amore, bellezza e pazzia / come nessun’altra...”.  E c’è Domenica mattina con i Sensational Nightingales: “Non sono stati i Five Mississippi Blind Boys / a farmi prendere il volo / quella domenica mattina / mentre in auto ero uscito per il giornale, qualche arancia e pane”. Cercheremo questi gruppi in rete e forse non ce ne pentiremo.

Durante il suo periodo come poeta laureato Usa, iniziato poco prima dell’11 settembre, Billy Collins ha curato dei progetti per diffondere la poesia liberandola da ogni pretesa edificante e didascalica. Ha messo in rete 180 poesie per i 180 giorni di scuola all’anno, raccomandando agli insegnanti di leggerle e non commentarle. Suggerisce che gli incontri di lavoro potrebbero (dovrebbero) iniziare con la lettura di una poesia. (Svegliatevi!) Ha preparato per la Delta Airlines un canale di poesie con accompagnamento jazz che i passeggeri potevano trovare fra quelli offerti in cuffia. E’ nemico di ogni pretesa per la poesia in sé. Infatti, come per le torte, la prova delle poesie sta nel mangiarle. E, dice, se non si comincia da qualcosa di pacifico e noto, come possiamo avventurarci in territori più misteriosi, quelli che in effetti la poesia ci consente di esplorare? Sicché un numero sorprendentemente alto dei suoi testi riguarda proprio l’attività poetica, in modo non ozioso, ma riflettendo l’operazione della lettura-ascolto che il destinatario va compiendo. Nella loro assoluta chiarezza, hanno il nitore memorabile di un disegno di Escher.

Ecco l’inizio di Workshop:

 

Tanto vale che cominci dicendo quanto mi piace il titolo.

Mi prende subito perché mi trovo proprio in un workshop

sicché la poesia ha immediatamente tutta la mia attenzione,

come il Vecchio Marinaio che mi afferra per la manica.

 

(Ecco una delle sue tipiche allusioni a una poesia che quasi tutti, anche in Italia, conoscono.)

E mi piacciono le prime due strofe,

come riescono a stabilire questo modo autoreferenziale

che attraversa tutta la poesia

..........................................................................................

 

Ma ciò di cui non sono sicuro è la voce,

che a volte ha un tono molto casual, molto blue jeans,

ma altre volte sembra sulle sue,

professorale nel peggior senso del termine

come se la poesia mi gettasse fumo di pipa in faccia.

Ma forse è proprio quello che vuol fare.

 

E così via, di strofa in strofa, dicendosi mentre si va componendo. La descrizione del tono è di nuovo un autoritratto ironico.

Molto notevole, sulla stessa linea, è Aristotele:

 

Questo è l’inizio.

Può succedere quasi tutto.

Qui trovi

la creazione della luce, un pesce che striscia in terra,

le prime parole del Paradiso perduto su una pagina vuota.

 

E’ un’antichissima tradizione quella della poesia come gioco autoreferenziale, labirinto, illusionismo, particolarmente cara ai bardi irlandesi alla Joyce: e forse qui traspare l’origine appunto irlandese e la formazione cattolica di Billy Collins. Che ci sia un’analogia fra l’illeggibile Finnegans Wake e il poeta americano più leggibile e popolare dei nostri giorni?

Ognuno troverà pane per i suoi denti, e pane nutriente, in questa esemplare edizione e traduzione di un poeta raffinatissimo ma per tutti i gusti, purché si sia alla ricerca di quel tanto di più che ci permette di girare per la casa, come dice una poesia, “pimpanti di caffè”:

Questo è il massimo:

cacciar giù le lenzuola leggere,

mettere i piedi sul pavimento freddo,

e ronzare per casa pimpanti di caffè.

(Mattino)

 

Ecco ancora una volta, in quattro versi, l’effetto poesia-Collins.

“il manifesto-alias”, 29 settembre 2013